Forse bisognerebbe chiedersi (o chiederlo a loro) perchè tre senatori d’un tratto lasciano la maggioranza per correre tra le braccia degli oppositori. Nel Parlamento italiano siamo abituati al salto della quaglia, alla corsa sul carro dei vincitori, non alla danza del cavalluccio marino. Battute a parte è stato un giovedì nero per il M5S. La prima uscita è quella del senatore M5s Ugo Grassi. Chi è? È un giurista irpino. Ha 55 anni. Insegna alla Università Parthenope di Napoli. Salì sul carro lanciassimo del M5S. Si fece candidare al Senato. Fu eletto in Campania. Collegio 3. Se avessero candidato un cavallo, oggi quel cavallo sarebbe senatore.
Ugo Grassi. Senatore e direttore di Dipartimento di Giurisprudenza Università “Parthenope” di Napoli
Dopo il 4 marzo del 2018 (giorno del trionfo elettorale dei Cinquestelle), erano i bei tempi delle cavalcate trionfali di Luigi Di Maio, il professor Ugo Grassi (in)seguiva il capo politico del MoVimento, sembrava quasi uno scolaretto. Oggi il professore Grassi, emerito ed insigne giurista, direttore di Dipartimento di Giurisprudenza alla Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, ha cambiato idea su Di Maio e sul MoVimento ed è passato (lui, irpino e campano) con la Lega. È un diritto costituzionalmente garantito ad ogni parlamentare. Dunque anche a Grassi, che oggi è membro della Commissione Affari Costituzionali al Senato. Urlare al complotto, al mercato delle vacche, alla compravendita di senatori serve nell’agone politico ma non ci fa capire che cosa ha spinto quest’uomo del sud innamorato del M5S, questo professore che pendeva dalle labbra di Di Maio a cambiare casacca e passare con Salvini. Avrebbe voluto essere nella compagine di Governo? Forse pensava che l’Irpinia sarebbe stata meglio rappresentata, con più merito e maggiore competenza, se ci fosse stato lui al Ministero dell’Interno o a quello della Giustizia?
Francesco Urraro. Senatore e avvocato
Francesco Urraro, avvocato, 46 anni, eletto nel collegio 5 di Portici, Napoli, è il secondo senatore campano che ha cambiato casacca. Anche lui eletto con i voti del M5S in Campania ha traslocato in via Bellerio a Milano. Urraro è persona tranquilla, mite, grande lavoratore, eccellente avvocato, uno che si è fatto da solo, con merito, con stile e studiando tanto. Quando è rimasto “folgorato” da Luigi Di Maio era un avvocato in carriera, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola. Anche per lui, senza offesa, vale quel che abbiamo detto per Grassi: se Di Maio avesse scelto un cavallo in quel collegio, oggi avremmo due cavalli senatori. Invece abbiamo due ottimi giuristi che sono stati eletti con i voti del M5s ed hanno scelto di passare con la Lega. Urraro è in Commissione Giustizia, Commissione Antimafia ed è stimato e apprezzato in Senato. Che cosa l’ha indotto a passare armi e bagagli con Salvini? Legittime ambizioni frustrate? Aspirava ad entrare nella compagine di Governo? Non ha gradito vedere qualche “ciuccio” su poltrone ministeriali? Forse non lo sapremo mai.
Stefano Lucidi. Senatore e ingegnere elettronico
Poi c’è il caso di Stefano Lucidi. Ha 50 anni. È un ingegnere elettronico. Eletto in Umbria con percentuali bulgare. Vale per lui lo stesso discorso fatto per Grassi e Urraro. Poteva continuare a fare la sua professione, nessuno se ne sarebbe accorto della perdita del suo apporto di idee al Sentato della Repubblica se Di Maio avesse candidato un cavallo in Umbria. Invece candidò Lucidi e ora se lo ritroverà intruppato nello schieramento della Lega. Lucidi da tempo era in rotta di collisione col Movimento. Non aveva gradito le scelte fatte per le elezioni in Umbria. Anche lui aveva legittime aspirazioni a strapuntini governativi frustrati. Anche lui ha deciso in questo momento di passare con Salvini. Grassi, Urraro e Lucidi avevano adottato lo slogan scelto per loro dal M5S: partecipa, scegli, cambia. Diciamo – e non è una battuta – che ora sono nella terza fase del loro mandato. Quella del “cambia”. Quello che possiamo dire noi, alla luce di questi fatti, è che il potere logora. E logora sempre chi ce l’ha. Su Wikipedia i tre senatori sono da ieri già in forza alla Lega. Liquidare questi tre cambi di casacca con accuse di tradimento, o peggio di compravendita, è rabbia, non è una spiegazione politica.
I tre ex M5S si ritroveranno assieme nel corpaccione della balena nera leghista che sta “ingoiando” tutti gli scontenti del M5S. Che cosa abbia promesso Salvini (parliamo di politica), come saranno ripagati (Di Maio sostiene che vengano pagati) politicamente lo capiremo presto. Certo ora il Governo ha qualche problemino serio al Senato con tre senatori in meno. Ci sarà bisogno di qualche responsabile per proseguire in questa Legislatura.
Luigi Di Maio. Capo politico del M5S
Per ora sono in tre ma Di Maio sa che la lista potrebbe non fermarsi qui e lancia il suo anatema contro il “mercato delle vacche” avviato da Salvini, al cui confronto, dice, “Silvio Berlusconi pare quasi un pivello”. Nei confronti degli “Scilipoti” della nuova stagione politica c’è indignazione e rabbia: “Gli hanno promesso qualcosa alle elezioni regionali, un seggio alle elezioni nazionali… dicano quanto costa al kg un senatore per la Lega”. Per Di Maio si tratta solo di persone che vanno misurate per il “prezzo che danno alla propria dignità”. Parole pesanti che mostrano plasticamente come nel MoVimento si sia aperta una profonda crepa, piena di veleni. Con tante incognite legate al pressing di ortodossi e malpancisti sul leader, sia per quanto riguarda il sostegno al governo sia per quanto riguarda i rischi concreti di nuovi addii.
Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.
Il suo discorso l’hanno ascoltato, o letto, praticamente tutti. E tutti ne parlano nel Transatlantico di Montecitorio affollato per il voto di fiducia sul decreto Pnrr. Ma quasi nessuno commenta a microfoni aperti. E nemmeno con comunicati che quotidianamente intasano le mail delle redazioni. Mario Draghi che racconta la sua idea di un cambio “radicale” dell’Europa spiazza i partiti, a partire da quelli di maggioranza, che non sapevamo bene cosa aspettarsi dal suo intervento all’evento organizzato dalla presidenza belga dell’Unione.
Tra le opposizioni Elena Bonetti, che era ministra del governo Draghi, plaude all’intervento dell’ex premier mentre Emma Bonino vede un futuro per Draghi non tanto alla commissione ma a capo del Consiglio europeo. “Ha i titoli per ambire a ogni ruolo”, dice interpellato proprio su questa ipotesi dai cronisti il presidente del Senato Ignazio La Russa, precisando però di non aver letto il discorso e di non avere niente da dire “sull’ipotesi concreta” che l’ex presidente della Bce possa veramente avere un incarico di primo piano nel nuovo assetto europeo che uscirà dopo il voto di giugno. Non si può dimenticare, come osserva il ministro Francesco Lollobrigida (altro solo tra i colonnelli di Fdi a esprimersi) che Draghi è stato tra “i protagonisti del passato di politiche ben diverse” da quelle che va proponendo ora ma “siamo ben contenti” che vengano riconosciuti “gli errori del passato”. Ma sono le uniche due voci della maggioranza, oltre a Maurizio Lupi.
Giorgia Meloni resta in silenzio, per tutto il giorno chiusa a Palazzo Chigi tra incontri (c’è un via vai di vari ministri) e la preparazione del nuovo viaggio in Tunisia e del Consiglio europeo, che proprio di competitività (il dossier che sta preparando Draghi) si dovrà occupare. Difficile, dicono i suoi, che fosse stata informata della mossa del suo predecessore che certo, uno dei ragionamenti, non facilita un eventuale percorso per portare davvero la sua candidatura quando ci si siederà al tavolo delle trattative dopo il 9 giugno. Nel tam tam parlamentare ricorre spesso, tra l’altro, il ricordo di quella che fu letta come una autocandidatura al Quirinale (il celebre “sono un nonno al servizio delle istituzioni”) che non portò poi all’esito di Draghi al Colle ma al bis di Sergio Mattarella.
La premier, dice chi le ha parlato, resta concentrata sull’attività di governo, che la vede anche presidente del G7 nella delicatissima congiuntura internazionale. E se anche dovesse decidere di candidarsi alle europee cercherebbe prima di tutto di non sottrarre tempo e impegno al suo ruolo a Palazzo Chigi. L’annuncio, che in molti nel suo partito danno oramai quasi per scontato, dovrebbe arrivare a fine mese alla conferenza programmatica di Pescara che sarà chiusa da lei, come dice Fdi sui social postando altri manifesti con la foto della premier e lo slogan ‘l’Italia cambia l’Europa’.
Nel frattempo Meloni sta sentendo a uno a uno i suoi alleati di Ecr in Europa, come ha fatto sapere il polacco Mateusz Morawiecki. Sul tavolo oltre all’ipotesi di un approdo del partito di Viktor Orban nei conservatori europei (la domanda formale non è stata ancora avanzata e in ogni caso i nuovi ingressi sarebbero stati rinviati a dopo il voto), ci sarebbe anche quella dell’indicazione da parte di Ecr di uno Spitzenkandidat. Al momento le quotazioni di questa ipotesi sarebbero in calo, anche perché la candidatura di Ursula von der Leyen si starebbe indebolendo e non sembrerebbe più necessario indicare formalmente, ora, una alternativa.
“Oggi è arrivata una notizia che aspettavo da tempo. La richiesta di risarcimento danni presentata da me e da Carmelo Satta per ingiusta detenzione sarà trattata in udienza con alta probabilità di accoglimento.” Così il leader di Sud chiama Nord e federatore della lista Libertà, Cateno De Luca commenta il decreto notificato dal collegio riparazione ingiusta detenzione della Corte d’appello di Messina che ha fissato al prossimo 23 maggio l’udienza. I due erano stati reclusi ai domiciliari per 12 giorni. Cateno De Luca insieme a Carmelo Satta, presidente nazionale Fenapi, e altri, erano già stati assolti in primo e secondo grado dall’accusa di evasione fiscale.
La sentenza di assoluzione era passata in giudicato perché la Procura di Messina aveva rinunciato a ricorrere in Cassazione, dopo aver ottenuto l’arresto l’8 novembre 2017, subito dopo la rielezione al Parlamento Siciliano di Cateno De Luca e un giorno prima dell’ultima udienza del processo per il quale era stato arrestato una prima volta nel 2011.
“Dopo 16 processi e 2 arresti sono incensurato e continuo a lottare contro i poteri forti e il sistema politico mafioso a testa alta – prosegue De Luca -. Già il 20 novembre 2017, subito dopo la revoca degli arresti domiciliari avevo anticipato che avrei portato avanti un’azione per chiedere ed ottenere di ristabilire la giustizia. Oggi con questo decreto siamo sempre più vicini alla verità dei fatti, ed al trionfo della giustizia”. “E il 23 maggio sarò ancora una volta in quell’aula di tribunale per ottenere una volta per tutte la certificazione che Cateno De Luca non doveva essere arrestato” conclude.
Il ministro Matteo Salvini lancia la Conferenza dei servizi sul Ponte sullo Stretto, per avviare entro l’estate i cantieri della sua opera-bandiera. Ma il primo sgambetto gli arriva proprio da un altro ministero, quello dell’Ambiente, guidato da Gilberto Pichetto di Forza Italia. Alla prima riunione della Conferenza dei servizi, che riunisce tutti i soggetti interessati per sveltire le procedure (imprese, Ministeri, enti locali), il Mase ha chiesto alla Società Stretto di Messina S.p.a. ben 239 integrazioni di documenti. Per il ministero, la documentazione presentata dalla concessionaria è superficiale, insufficiente e non aggiornata, e va approfondita su tutti i fronti.
I tecnici della Commissione Via-Vas, quelli che devono fare la valutazione di impatto ambientale dell’opera, in 42 pagine di relazione hanno chiesto nuove informazioni praticamente su ogni aspetto del progetto. Le richieste di integrazione di documenti riguardano la compatibilità coi vincoli ambientali, la valutazione dei costi e benefici, la descrizione di tutti gli interventi previsti, il sistema di cantierizzazione, la gestione delle terre e rocce di scavo. Il Mase chiede dati più approfonditi e aggiornati sul rischio di maremoti, sull’inquinamento dell’aria, sull’impatto del Ponte sull’ambiente marino e di terra e sull’agricoltura, sulle acque, sui rischi di subsidenza e dissesto, sulla flora e sulla fauna, sul rumore e i campi magnetici, sulle aree protette di rilevanza europea Natura 2000. Le associazioni ambientaliste come Wwf e Legambiente e i comitati locali anti-Ponte parlano di “passo falso” e di “farsa”, e ribadiscono “il progetto non sta in piedi”.
Ma sono soprattutto le opposizioni a cavalcare la vicenda. Per Marco Simiani del Pd, “il ministero dell’Ambiente sconfessa clamorosamente Matteo Salvini, bloccando di fatto il progetto”. Proprio il leader della Lega era assente alla Conferenza dei servizi, che si è tenuta al suo ministero delle Infrastrutture. “Dal ministero dell’Ambiente arriva un macigno sul progetto del Ponte sullo Stretto”, commenta il leader Cinquestelle Giuseppe Conte, che parla di “un progetto vecchio, risalente al 2011/2012, pieno di falle sul piano ingegneristico, ambientale, trasportistico e finanziario”. Angelo Bonelli di Avs rincara la dose: “La commissione tecnica Via del Ministero dell’Ambiente ha demolito il progetto definitivo sul ponte. Ma esiste un progetto definitivo? O quello che avete presentato è quello di 15 anni fa, che era stato bocciato nel 2012 dal ministero dell’Ambiente?”. Mentre il Codacons chiede l’intervento della Corte dei Conti, l’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, non si mostra preoccupato per le osservazioni del Mase: “Sono richieste congrue, data l’entità dell’opera. In 30 giorni daremo tutti i chiarimenti richiesti”.
Il ministro Gilberto Pichetto si trova all’improvviso in una posizione scomodissima, con gli uffici del suo ministero che bastonano un progetto che è il cavallo di battaglia di un suo collega. “Con queste istanze abbiamo dato via alla procedura di valutazione di impatto ambientale”, commenta asettico. La richiesta di integrazioni “è atto tipico della prima parte di ogni procedimento di valutazione di impatto ambientale”. Per il Ponte “si è tenuto conto, come di consueto, anche di elementi tratti dai contributi di Ispra e di soggetti non pubblici aventi diritto, per legge, ad esprimersi”. “Le richieste della Commissione Via-Vas del Mase non rappresentato assolutamente una bocciatura del Ponte sullo Stretto, ma sono legittime integrazioni proporzionate ad un progetto enorme – ha commentato Matilde Siracusano, sottosegretario di FI ai Rapporti con il Parlamento – Ho sentito il ministro Pichetto e anche Pietro Ciucci, e non ci sono criticità”.