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Governo e dimissioni di Conte, freno per Ristori e Recovery Fund

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L’iter del confronto per definire l’uso dei fondi del Recovery Plan, il decreto Ristori per aiutare imprese e lavoratori a reggere la crisi provocata dal Covid e, infine, il rinvio del blocco delle cartelle fiscali che scade a fine mese: la crisi di Governo arriva in un momento delicato per il varo di alcuni importanti dossier. L’attivita’ dell’esecutivo limitata al disbrigo degli affari correnti avra’ l’effetto di rallentare le scelte piu’ importanti, ma al momento – spinti dall’emergenza del Covid – su questi tre fronti l’attivita’ non si blocca. Il primo provvedimento sul tavolo del governo e’ l’ultimo decreto Ristori, il quinto, che era gia’ in rampa di lancio e per il quale il governo ha chiesto e ottenuto con l’ok di maggiora e opposizione lo scostamento di bilancio da 32 miliardi. Si tratta di un atto che il governo potrebbe varare perche’ – in base alla direttiva firmata da Giuseppe Conte dopo le dimissioni – rientra nella categoria delle misure necessarie “per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid 19 e ogni relativa conseguenza”. Il governo non ha fermato il lavoro sul provvedimento, che non solo prevedrebbe aiuti a molte categorie penalizzate dalle restrizioni anti-Covid, ma anche un ampliamento di altre 18 settimane delle possibilita’ di cassa integrazione Covid. I tempi delle consultazioni rendono pero’ improbabile che le norme – come qualcuno ha ipotizzato – possano arrivare gia’ con il Consiglio dei ministri che si terrebbe domenica prossima. Le misure sarebbero schedulate per la prossima settimana. Nello stesso decreto – o forse con un atto autonomo – potrebbe esser disposta una proroga anche per il blocco delle cartelle esattoriali. Si tratta di 50 milioni di atti che, dopo lo stop di fine anno, sono stati ‘congelati’ fino a tutto gennaio, in pratica ancora per pochi giorni. La proroga arriverebbe, anche se a tempi oramai scaduti. Il governo lavorava inizialmente all’idea di introdurre non solo uno scaglionamento delle cartelle – cosi’ come indicato nello scostamento di bilancio da 32 miliardi – ma anche una nuova rottamazione e un ‘saldo e stralcio’ per alleggerire i contribuenti e gli uffici dalle piccole richieste in questo periodo di crisi. Bisognera’ vedere se questo sara’ ancora possibile o si sceglie la via di una proroga con la possibilita’ di introdurre queste regolarizzazioni in sede parlamentare. C’e’ poi il Recovery Plan. Il governo ha tenuto i primi due tavoli con i sindacati e gli imprenditori. E’ invece saltato quello con gli enti locali. Ma le linee guida sono in parlamento che ha deciso all’unanimita’ di proseguire le audizioni in commissioni sul Piano di Rilancio e Resilienza. Certo spettera’ pero’ all’esecutivo in carica fare poi la sintesi delle indicazioni del parlamento e dei suggerimenti delle parti sociali. Rimangono inoltre nodi importanti da sciogliere, anche politicamente: ad esempio quello della governance per l’attuazione concreta delle misure e delle riforme collegate agli oltre 220 miliardi di fondi europei. Ma i provvedimenti che incappano nelle difficolta’ di un governo che non e’ nella pienezza dei propri poteri sono anche altri. In parlamento ci sono tre decreti in corso di conversione: il primo e’ il Milleproroghe, nel quale si ipotizza l’arrivo delle risorse per estendere il lavoro dei Navigator impegnati nel reddito di cittadinanza, al quale si aggiungono i due decreti “Natale” e “Elezioni 2021” per adeguare le consultazioni alle norme anticovid. Nelle commissioni parlamentari, inoltre, ci sono le norme per l’ “assegno unico” per alleggerire il fisco sui figli a carico e che rappresentano il primo passo della riforma dell’Irpef, altro progetto atteso nel corso dell’anno. Se la proroga della Cig potrebbe arrivare con il Dl Ristori 5 rimane da affrontare il blocco dei licenziamenti, che finisce a marzo e che divide sindacati e imprenditori. Un ostacolo impossibile da eludere. Sempre nelle commissioni parlamentari ci sono poi altre riforme importanti: il progetto di nuova legge elettorale parcheggiato nella prima commissione alla Camera e quelli per la riforma della giustizia penale e civile in attesa nelle commissioni competenti del Senato. Ci sono quindi i dossier societari piu’ sensibili alla politica. Basta pensare al passaggio di Autostrade per l’Italia dal controllo dei Benetton a quello di Cdp oppure al dossier Alitalia che – dopo il varo della nuova Ita – vede ancora una forte dialettica con la Commissione Europea. O ancora all’ipotesi che il Monte dei Paschi di Siena, ora controllato dal ministero dell’Economia, possa entrare nell’orbita di Unicredit, un tema che divide anche l’attuale maggioranza.

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Politica

Il governo valuta un nuovo dl Albania. Il Pd, una follia

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Un decreto per rendere operativi i centri in Albania. Il governo è deciso a non sospendere gli accordi con Tirana e, anzi, per consentire il trattenimento dei migranti starebbe valutando di rilanciare con un nuovo provvedimento, probabilmente un decreto legge. A parlarne, in un’intervista, è il ministro Tommaso Foti, esponente di spicco di FdI: “Valuteremo se intervenire prima della sentenza” della Corte di giustizia europea, che potrebbe arrivare non prima di marzo. Di certo, in un momento in cui sembrano aprirsi spiragli di dialogo tra governo e magistrati, una mossa del genere non sarebbe un buon viatico per una nuova stagione dei rapporti con l’Anm.

E lo sanno bene le opposizioni, che attaccano a testa bassa: “Perseverare è diabolico – dice il Pd per voce di Simona Bonafè -, il governo fermi questa follia istituzionale che sta creando uno scontro tra poteri senza precedenti e uno spreco di risorse”. Chiudere “questa pagina vergognosa, scusarsi e devolvere gli 800 milioni di euro destinati ad un centro inumano e inutile a sanità e sicurezza”, la richiesta del responsabile politiche migratorie del Nazareno Pierfrancesco Majorino.

A puntare il dito sono anche Avs e Più Europa. “Si sono ormai cacciati in un pasticcio, per uscirne rinuncino ‘all’avventura albanese’ e smettano di sperperare i soldi degli italiani”, afferma Filiberto Zaratti. “Non gli sono bastate le pronunce dei tribunali di ogni ordine e grado a dire che è una procedura illegittima? Errare umano, perseverare è meloniano”, punge Riccardo Magi nel giorno della sua conferma a segretario di +Europa.

Ma nel partito di Giorgia Meloni non ci stanno ad essere etichettati come pasticcioni. “Sui centri in Albania andiamo avanti – annuncia la vice capogruppo di FdI alla Camera, Augusta Montaruli -. L’accordo, del resto, è un modello che fa scuola in Europa con gli Stati membri, i quali stanno assumendo la posizione italiana, ad iniziare dalla presidente Ue Ursula von der Leyen. La follia è stata quella del centrosinistra, che per anni non ha governato l’immigrazione incontrollata. Le opposizioni si rassegnino”. L’iniziativa però non appare destinata a essere discussa a breve in una riunione del Consiglio dei ministri. Di certo l’idea è in campo da diversi giorni: era infatti già emersa l’intenzione di una norma specifica per evitare che nelle Corti d’appello (titolari della convalida dei trattenimenti) si possano trasferire i magistrati delle ‘sezioni immigrazione’: ovvero gli stessi giudici che finora hanno sempre bocciato le richieste di convalida dei trattenimenti in Albania.

Se così fosse, il provvedimento potrebbe diventare il nuovo terreno di scontro tra maggioranza e opposizione. Aggiungendosi a diversi fronti caldissimi: dal caso Santanchè ad Almasri fino a Paragon. Stretta tra le critiche del centrosinistra, la premier deve sciogliere anche i nodi della sua coalizione. Da ultimo, la battaglia della Lega per una nuova rottamazione delle cartelle, che rappresenti un intervento “definitivo” di “tranquillità fiscale”. Il viceministro di FdI Maurizio Leo, artefice della riforma fiscale, nei giorni scorsi si è mostrato cauto facendo capire che prima toccherebbe individuare le risorse, ma in giornata il leader leghista Matteo Salvini è tornato ad incalzare: “Pace fiscale e rottamazione di tutte le cartelle esattoriali: 120 rate tutte uguali in dieci anni, senza sanzioni e interessi, per aiutare milioni di italiani onesti in difficoltà”.

Da Forza Italia, Maurizio Gasparri, pur dicendosi “favorevole alla rottamazione delle cartelle con una lunga rateizzazione” tiene a precisare che la priorità è “anche la riduzione dell’Irpef dal 35 al 33 per cento per i redditi fino a 60mila euro”.

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“Da Meloni senza cedere”, In salita dialogo Anm-governo

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Nessuno stop allo sciopero e disponibilità ad incontrare la premier Giorgia Meloni, ma “senza alcun cedimento”. Le possibilità di un dialogo tra le toghe e il governo devono, da subito, fare i conti con paletti e perimetri di azione ben delimitati. Quelli della nuova giunta dell’Anm, che con il neo presidente Cesare Parodi (foto Imagoeconomica in evidenza) muove i primi passi, ma anche quelli del sottosegretario Mantovano, che sabato aveva auspicato un “superamento delle contrapposizioni” ma che rivendica di aver “incorniciato” nella sua stanza la comunicazione di “iscrizione nel registro delle notizie di reato” trasmessa dalla Procura di Roma nella vicenda Almasri. E quelli di Forza Italia, che parla di “esordio pessimo” per il neocapo del sindacato. Insomma, tutti segnali che dimostrano quanto il terreno del confronto sia denso di insidie, anche se le parole della premier alla richiesta d’incontro del neo presidente del sindacato delle toghe sono arrivate a strettissimo giro e sono, anche quelle, un segnale.

“Auspico che da subito si possa riprendere un sano confronto sui principali temi”, ha affermato nella serata di sabato Meloni. Parole che vengono valutate come “una novità di rilievo” dal numero uno dell’Anm, eletto nelle fila di Magistratura Indipendente, la corrente moderata. “Non possiamo sottrarci – taglia corto Parodi – ad un incontro che io ho chiesto senza consultarmi con i colleghi” perché “l’avvertivo con una certa intensità”. Ma si tratta di “una occasione – aggiunge il presidente – per spiegare una volta di più con chiarezza, fermezza, lucidità e senza nessun cedimento quelle che sono le nostre ragioni”.

Al momento comunque non c’è ancora una data per l’incontro sul tema di riforma della giustizia. Un faccia a faccia con il capo dell’esecutivo che viene collocato dai vertici dell’Anm “nel quadro storico di impegno” delle toghe anche contro il progetto di separazione delle carriere. Una mobilitazione che ha portato ad indire una giornata di sciopero per il 27 febbraio. Ed è su questa iniziativa che le forze di maggioranza in Parlamento chiedono ai magistrati un passo indietro, proprio per dimostrare una reale volontà di apertura. “Il primo segnale di dialogo sarebbe certamente la revoca di uno sciopero azzardato di un ordine contro un potere dello Stato”, afferma Tommaso Calderone, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia a Montecitorio.

L’Anm però fa quadrato. “Non avrebbe alcun senso una revoca formale dello sciopero – spiega Parodi – e anzi ora dovremo capire cosa si dovrà fare” in vista della mobilitazione. Per quel giorno il sindacato non esclude l’organizzazione di dibattiti o conferenze stampa nei distretti per “illustrare con chiarezza e pacatezza le ragioni della nostra iniziativa”. La convinzione del presidente della nuova giunta del sindacato, in cui sono presenti tutte le correnti ad eccezione di Articolo 101, è che il giorno di protesta non rappresenterà l’atto conclusivo della mobilitazione antiriforma.

“Non sarà un momento decisivo di questo nostro impegno. Il discorso non finisce con lo sciopero ma anzi inizia. Dobbiamo mettere in conto che alcuni non aderiranno e dobbiamo essere pronti quando ci salteranno addosso e ci diranno ‘vedete neanche i vostri colleghi vi seguono”, ha aggiunto Parodi. L’Anm chiede agli associati anche un gesto simbolico: indossare una coccarda tricolore sulle toghe da lunedì e fino al 27. Una iniziativa su cui interviene il presidente di Fi, Maurizio Gasparri che definisce “eversivo” lo sciopero e suggerisce ai magistrati ad indossare una coccarda “rossa, così confermeranno la loro natura di avanguardia militante della sinistra politica”. Parole che con un dialogo vero hanno poco a che vedere.

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Arriva la mozione di sfiducia. Santanchè, non ho paura

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Nessuna preoccupazione per l’udienza sul caso Visibilia in programma per la fine di marzo. Daniela Santanchè ostenta sicurezza e dalla Bit (la Borsa Internazionale del Turismo che si tiene alla Fiera di Milano) la ministra del Turismo invia un messaggio chiaro: “Sto lavorando tranquillamente, rispondo a tutto. Lavoro e porto avanti le attività del ministero”. Parole che non lasciano spazio ad interpretazioni e che arrivano alla vigilia della mozione di sfiducia, targata Movimento Cinque Stelle e sottoscritta anche dal Partito Democratico. L’appuntamento è per domani alle 14, quando salvo sorprese, la ministra si siederà ai banchi del governo della Camera per ascoltare un’ora e mezza di accuse da parte delle opposizioni. Santanchè non dovrebbe replicare e potrebbe restare in silenzio anche il giorno della votazione.

I tempi della discussione generale poi sono dimezzati rispetto alla normalità, perchè il centrodestra all’unisono ha deciso di non intervenire. La spiegazione ufficiale richiama il precedente del 2024, quando la maggioranza bocciò la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni sempre a Santanchè. Anche in quell’occasione i gruppi di maggioranza scelsero di non partecipare alla discussione generale, ma di intervenire solo nelle dichiarazioni di voto. Al di là dell’ufficialità è chiaro però che il silenzio dei gruppi di centrodestra, ed in particolare di FdI, abbia un peso differente. Che i rapporti tra la titolare del Turismo e Fratelli d’Italia siano ai minimi storici è cosa nota, così come la freddezza di palazzo Chigi nei confronti della ministra.

Anzi, c’è chi arriva a sospettare che il silenzio degli azzurri e della Lega (che in pubblico hanno difeso la titolare del Turismo) sia motivato dalla scelta di evitare che FdI resti l’unico gruppo a non intervenire, certificando di fatto una spaccatura nel centrodestra. L’input che arriva dai piani alti del partito di via della Scrofa comunque è quello di abbassare i toni, evitare lo scontro e rinviare il più possibile il dossier. Sulla carta la votazione della mozione è in programma per martedì, ma come ultimo punto all’ordine del giorno. Difficile dunque, visti gli argomenti in coda, che entro la settimana si arrivi ad un responso. Anzi c’è chi nella maggioranza pronostica che il voto possa slittare addirittura ai primi di marzo.

Per la prossima settimana infatti sono attesi dei decreti alla Camera che da regolamento hanno la precedenza rispetto ai provvedimenti ordinari. Prendere tempo dunque ed abbassare la tensione. E chi ostenta calma e serenità è proprio Santanchè che fa sapere di non avere nessuna preoccupazione: “sto lavorando normalmente”, ripete a più riprese. La ministra per il Turismo però rischia di non essere l’unica a dover fare i conti con una mozione di sfiducia. Il Pd infatti starebbe lavorando ad mozione – questa volta al Senato, ma i tempi sarebbero ancora lunghi – contro il ministro della Giustizia Carlo Nordio per la gestione del dossier Almasri.

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