Ostinarsi a spiegare Napoli con il solito ritornello della camorra e dei suoi “stracci assassini” è una narrativa che tradisce la realtà e non aiuta a costruire una visione costruttiva. Questo modo di raccontare non illumina Napoli, non ci fa vedere dove si potrebbe migliorare, chi potrebbe essere un alleato o un avversario, chi merita sostegno e chi necessita di opposizione. E, cosa ancor più grave, allontana Napoli da sé stessa, dai suoi cittadini e dalla loro voglia di riscatto.
Ogni volta che accade un fatto di cronaca, i media sembrano attivarsi come su un riflesso condizionato, richiamando i soliti nomi, i cosiddetti “esperti” che vivono a Milano, Roma, Miami, o chissà dove, per darci lezioni su cosa è Napoli oggi. E ogni volta, dalle pagine dei giornali o dagli schermi televisivi, vediamo uscire un’immagine che è lontana dalla Napoli reale: è la Napoli che alcuni vogliono vedere, non quella che Napoli è.
Questa è una deformazione, un inveramento dei pregiudizi, una caricatura che nasconde una metropoli ricca, complessa, piena di sfumature. Ridurre la città alla solita sceneggiatura di camorra, pizza e mandolino è, ormai, non solo una banalità ma un affronto. Napoli è molto di più. È una città che resiste, che vive di cultura, di lavoro e di impegno, di talento e innovazione.
Forse è arrivato il momento che anche chi racconta Napoli impari a capirla per davvero, a entrare nelle sue dinamiche con occhi aperti e cuore libero da pregiudizi. Solo allora potremo vedere emergere, tra le sue mille contraddizioni, la vera Napoli: quella che lotta, che crea, che cerca un futuro oltre gli stereotipi.
Concludo questo articolo tornando al punto di partenza: ci sono tre ragazzi morti, tre vite spezzate, tre giovani travolti da una violenza cieca e assurda. E dietro queste tragedie c’è un dolore che appartiene a intere famiglie, amici, persone comuni. A loro va concesso rispetto. È verso di loro che bisogna rivolgere uno sguardo serio e rigoroso, non per cancellare queste tragedie ma per affrontarle in profondità, per imparare, per lavorare affinché non accadano più.
Napoli non può restare prigioniera della sua storia di contrasti. Occorre pensare a una Napoli diversa, migliore, e per farlo bisogna lavorare sulle radici di questo male, attaccandole con forza e costanza. Lo Stato ha il compito di intervenire, di usare tutti i mezzi legali e la forza del monopolio della violenza di cui dispone per levare di mezzo le armi, non solo dalle mani dei criminali ma anche dai troppi che le detengono legalmente, e soprattutto per impedire che i giovani possano acquistare armi con facilità sul mercato nero. L’altra grande battaglia è contro la diffusione della droga, un veleno che alimenta il degrado, la disperazione, la violenza.
Non basta raccontare la città, bisogna cambiarla. E per farlo, occorre combattere sulle vere cause, agire con fermezza, dare ai giovani alternative reali e spazi di crescita, non lasciarli intrappolati tra l’ombra delle armi e l’inganno della droga. Solo così si potrà sperare in una Napoli che non sia più teatro di queste tragedie, ma una città in cui il rispetto per la vita prevalga finalmente sulla cultura della morte.