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Google investe un miliardo di dollari per trasformare Toronto in smart city del futuro

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Google presenta il suo piano per trasformare parte di Toronto in una città del futuro. Sidewalk, la divisione di Mountain View che si occupa dello sviluppo urbano intelligente, propone investimenti per 980 milioni di dollari per trasformare l’area di Toronto che si affaccia sul lago Ontario in una smart city a tutti gli effetti, grazie a semafori intelligenti, marciapiedi dinamici, piste ciclabili e pavimenti esterni riscaldati contro le rigide temperature invernali. L’obiettivo che “il progetto può centrare è storico”, con un impatto profondo sulla vita urbana, afferma l’amministratore delegato di Sidewalk, Dan Doctoroff. La prima fase di lavori potrebbe già iniziare nel 2022, ma dipenderà dalle approvazioni necessarie da parte delle autorità locali e del governo canadese. Sidewalk è consapevole che il processo di approvazione del suo progetto non è facile visto che richiede una radicale revisione delle norme attuali.

“Tutto è così nuovo che richiede un nuovo contesto regolamentare” per la gestione delle nuove tecnologie e l’esatta natura delle regole dovrà essere definita dal governo, spiega Doctoroff. Uno dei nodi da sciogliere è quello del trattamento dei dati personali anche se Google ha ribadito che non li venderà, non li userà per la pubblicità e non li offrirà a terzi senza esplicito consenso del governo. Google aveva scelto Toronto per diventare la sua città digitale nel 2017, anno in cui ha ricevuto anche il via libera delle autorità al progetto.

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Napoli e i media, le distorsioni che alimentano lo stigma di una città di sangue senza fede e speranza

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Negli ultimi mesi, Napoli ha pianto la perdita di tre giovani, vittime di una violenza cieca, sanguinaria, drammatica. Episodi che avrebbero dovuto far riflettere e spingere a un racconto equilibrato, attento, rispettoso della realtà e del dolore. E invece no. Di fronte a ogni tragedia che colpisce questa città, i media mainstream sembrano rinnovare una perversa voglia di stigmatizzare, di alimentare lo stereotipo, di dipingere Napoli come un palcoscenico di sangue e camorra, senza speranza.

L’ultimo caso della morte di Arcangelo Correra, un ragazzo di 18 anni rimasto ucciso in circostanze tragiche e tuttora poco chiare, ha dimostrato ancora una volta la prontezza con cui certi media si lanciano a capofitto su un racconto deformato. Le prime notizie? Hanno parlato di una esecuzione della camorra, di killer a sangue freddo, di un ragazzo “condannato” da una faida che si dipana nei vicoli del centro storico di Napoli. Tutto questo, senza uno straccio di prova, senza un minimo di verifica, senza una fonte degna che suffragasse tesi idiote e banali. E quando i fatti hanno iniziato a emergere, rivelando che si trattava forse di una tragica fatalità, l’eco mediatica non ha fatto marcia indietro, lasciando che l’errore alimentasse il circuito del pregiudizio.

È una logica brutale e ingiusta. Napoli non è una metafora su cui speculare, non è una caricatura utile per suscitare scalpore, né un luogo destinato ad essere raccontato con la lente del sospetto e del disprezzo. Ogni volta che accade un fatto di cronaca, una frangia di giornalisti e commentatori si sente in dovere di pontificare su Napoli, sui suoi cittadini, sulla camorra e sul “degrado sociale”. Un’opinione fondamentalmente ignorante e pregna di giudizi affrettati, spesso emessi da chi non ha mai neppure respirato l’aria dei Quartieri Spagnoli o del Rione Sanità. Eppure, il diritto di sentenziare è dato per scontato, come se Napoli fosse una realtà a disposizione del pubblico schermo.

L’informazione dovrebbe rappresentare la verità, non amplificare l’immaginario di una Napoli a tinte fosche, non accendere i riflettori su uno stereotipo che non fa altro che alimentare il disprezzo e allontanare il resto del paese da una realtà ben più complessa. Ogni tragedia strumentalizzata è una pugnalata alla città, che deve sopportare lo stigma, subire il peso dell’ignoranza e la superficialità di chi sceglie le prime pagine senza preoccuparsi della verità.

È ora di dirlo chiaramente: Napoli non è solo la somma delle sue ferite e dei suoi dolori. E chiunque racconti questa città ha la responsabilità di farlo con rispetto, con il coraggio di ascoltare, di scavare e di restituire un’immagine che vada oltre la paura e il pregiudizio. Non è chiedere troppo; è solo chiedere dignità e rispetto per una città che, come tutte, merita di essere capita e non solo sfruttata.

Ostinarsi a spiegare Napoli con il solito ritornello della camorra e dei suoi “stracci assassini” è una narrativa che tradisce la realtà e non aiuta a costruire una visione costruttiva. Questo modo di raccontare non illumina Napoli, non ci fa vedere dove si potrebbe migliorare, chi potrebbe essere un alleato o un avversario, chi merita sostegno e chi necessita di opposizione. E, cosa ancor più grave, allontana Napoli da sé stessa, dai suoi cittadini e dalla loro voglia di riscatto.

Ogni volta che accade un fatto di cronaca, i media sembrano attivarsi come su un riflesso condizionato, richiamando i soliti nomi, i cosiddetti “esperti” che vivono a Milano, Roma, Miami, o chissà dove, per darci lezioni su cosa è Napoli oggi. E ogni volta, dalle pagine dei giornali o dagli schermi televisivi, vediamo uscire un’immagine che è lontana dalla Napoli reale: è la Napoli che alcuni vogliono vedere, non quella che Napoli è.

Questa è una deformazione, un inveramento dei pregiudizi, una caricatura che nasconde una metropoli ricca, complessa, piena di sfumature. Ridurre la città alla solita sceneggiatura di camorra, pizza e mandolino è, ormai, non solo una banalità ma un affronto. Napoli è molto di più. È una città che resiste, che vive di cultura, di lavoro e di impegno, di talento e innovazione.

Forse è arrivato il momento che anche chi racconta Napoli impari a capirla per davvero, a entrare nelle sue dinamiche con occhi aperti e cuore libero da pregiudizi. Solo allora potremo vedere emergere, tra le sue mille contraddizioni, la vera Napoli: quella che lotta, che crea, che cerca un futuro oltre gli stereotipi.

Concludo questo articolo tornando al punto di partenza: ci sono tre ragazzi morti, tre vite spezzate, tre giovani travolti da una violenza cieca e assurda. E dietro queste tragedie c’è un dolore che appartiene a intere famiglie, amici, persone comuni. A loro va concesso rispetto. È verso di loro che bisogna rivolgere uno sguardo serio e rigoroso, non per cancellare queste tragedie ma per affrontarle in profondità, per imparare, per lavorare affinché non accadano più.

Napoli non può restare prigioniera della sua storia di contrasti. Occorre pensare a una Napoli diversa, migliore, e per farlo bisogna lavorare sulle radici di questo male, attaccandole con forza e costanza. Lo Stato ha il compito di intervenire, di usare tutti i mezzi legali e la forza del monopolio della violenza di cui dispone per levare di mezzo le armi, non solo dalle mani dei criminali ma anche dai troppi che le detengono legalmente, e soprattutto per impedire che i giovani possano acquistare armi con facilità sul mercato nero. L’altra grande battaglia è contro la diffusione della droga, un veleno che alimenta il degrado, la disperazione, la violenza.

Non basta raccontare la città, bisogna cambiarla. E per farlo, occorre combattere sulle vere cause, agire con fermezza, dare ai giovani alternative reali e spazi di crescita, non lasciarli intrappolati tra l’ombra delle armi e l’inganno della droga. Solo così si potrà sperare in una Napoli che non sia più teatro di queste tragedie, ma una città in cui il rispetto per la vita prevalga finalmente sulla cultura della morte.

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Emendamenti e tesoretto, parte l’assalto alla manovra

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Alzare ulteriormente le pensioni minime, abrogare la norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, limitare il blocco parziale del turnover, ridurre la tassa sui bitcoin, modificare la web tax. Parte l’assalto dei partiti alla legge di bilancio. Le opposizioni si preparano a dare battaglia, mentre nella maggioranza c’è chi spinge per “migliorare” il testo e chi è più cauto. Su tutti pende la spada di Damocle del piano di aggiustamento dei conti, che rende la strada più stretta, vincolando qualsiasi modifica all’obbligo di avere la relativa copertura.

Il lavoro degli uffici legislativi andrà avanti per tutto il fine settimana per mettere a punto gli emendamenti, che entro lunedì vanno presentati in commissione Bilancio alla Camera. I parlamentari hanno a disposizione un ‘tesoretto’ di 120 milioni per il 2025, ma non sarebbe ancora stato definito come dividerlo tra maggioranza e opposizione. Sul fronte delle risorse aggiuntive si attende poi l’esito definitivo del concordato biennale per le partite Iva.

Alla scadenza del 31 ottobre sono stati raccolti circa 1,3 miliardi (non abbastanza per procedere l’ulteriore step sull’Irpef), ma il governo è al lavoro per una riapertura dei termini: un decreto legge ad hoc, atteso in cdm forse già martedì, dovrebbe fissare il nuovo termine al 10 dicembre (ma circola anche l’ipotesi del 15). Nella maggioranza sono ore cruciali e non si escludono possibili incontri,forse a valle della consegna degli emendamenti. Le modifiche di Forza Italia si concentrano su alcuni macro-temi: alzare ulteriormente le pensioni minime, escludere le forze dell’ordine dal blocco parziale del turnover nella Pa, rimodulazione dell’Irpef (con il taglio della seconda aliquota dal 35 al 33% e l’estensione dello scaglione fino a 60mila euro), sgravi fiscali per chi reinveste gli utili in azienda, abrogazione della norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, anche rinvio della sugar tax e modifica della web tax (reintroducendo la soglia dei 750 milioni di fatturato globale).

Un tema, quest’ultimo, su cui gli azzurri aumentano il pressing: Basta “asimmetria fiscale”, dice il responsabile Dipartimenti Alessandro Cattaneo; “Bisogna far pagare le tasse ai colossi del web”, rincara il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri. Dentro Fratelli d’Italia, invece, bocche cucite sugli emendamenti: prima di lunedì, è la linea, non si parla. Gli interventi, comunque, saranno limitati. “Sappiamo bene che per il 97/98% la manovra è quella, e non si tocca. Qualcosa si può modificare o migliorare. Ma ci diamo un limite”, spiegava nei giorni scorsi il capogruppo Tommaso Foti. Anche nella Lega si attende lunedì e si lavora con l’obiettivo di presentare solo modifiche che verranno approvate. Tra le proposte del partito di via Bellerio è atteso l’intervento per ridurre la tassa sui bitcoin.

Un altro cavallo di battaglia la Lega l’ha già sfoderato nel dl Fisco, con l’emendamento per tagliare anche nel 2025 il canone Rai: una proposta che agita la maggioranza, con FI che ha già promesso che non lo voterà. Dalle opposizioni intanto filtra l’intenzione di replicare quanto fatto l’anno scorso concentrando i soldi del tesoretto su una proposta comune per finanziare i centri anti-violenza. Su come potrà cambiare la manovra qualche indicazione è arrivata direttamente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha già aperto su diversi temi: dai revisori del Mef nelle società con contributi pubblici, purché sia mantenuto il principio che chi riceve soldi dello Stato risponde di come li usa; ai bonus edilizi, ma la distinzione tra prima e seconda casa è “inderogabile”. Disponibilità poi a ragionare anche sul blocco del turnover, a partire dall’esclusione del comparto sicurezza. Ok anche a valutare modifiche sulle criptovalute.

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Trova una terapia e la sperimenta sul suo tumore

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Una ricercatrice si è curata con successo il tumore del seno utilizzando una tecnica da lei messa a punto e basata su due virus da lei stessa coltivati in laboratorio. A seguire questa strada “non convenzionale”, come lei stessa la definisce, è stata la virologa Beata Halassy dell’Università di Zagabria, che sulla rivista Vaccine descrive il suo caso come “qualcosa da non imitare”. Il risultato, del quale parla anche la rivista Nature sul suo sito, sta sollevando un vivace dibattito etico riguardo all’auto-sperimentazione. Halassy aveva scoperto nel 2020, quando aveva 49 anni, che un nuovo tumore si era formato nello stesso sito nel quale in precedenza aveva subito una mastectomia. Davanti a questa recidiva, la seconda, non si è sentita in grado di affrontare nuovamente la chemioterapia ma non si è arresa.

Ha deciso di prendere in mano la situazione e ha cominciato a studiare la letteratura scientifica sfruttando le sue competenze di virologa. Così ha calibrato sulla sua situazione una terapia che oggi si sta solo cominiciando a sperimentare, chiamata viroterapia oncolitica. E’ accaduto quattro anni fa e da allora il tumore non si è riformato. La viroterapia oncolitica è un settore emergente e utilizza i virus sia per aggredire le cellule tumorali, sia per stimolare il sistema immunitario ad attaccare il tumore. Le sperimentazioni cliniche finora basate su questa tecnica, inizialmente condotte solo su tumori con metastasi, ora stanno considerando anche gli stadi più precoci dei tumori. Una di queste sperimentazioni cliniche, per esempio, è in corso negli Stati Uniti su casi di melanoma. Non esistono invece test sul tumore del seno.

A spingere Halassy a sperimentare la tecnica su di sé è stata la sua competenza in virologia. Ha deciso di scatenare contro il suo tumore due virus, uno dopo l’altro: quello del morbillo seguito da uno dei virus della stomatite vescicolare, sui quali la ricercatrice aveva lavorato in passato ed entrambi utilizzati nelle sperimentazioni allora avviate. Il preparato è stato direttamente iniettato nel tumore per due mesi, durante i quali gli oncologi hanno costantemente controllato la situazione per intervenire con la chemioterapia se le cose fossero andate male.

Il tumore si è ridotto progressivamente senza gravi effetti collaterali, finchè non è stato possibile asportarlo chirurgicamente. In seguito la ricercatrice è stata trattata per un anno con un anticorpo monoclonale. L’analisi del tessuto tumorale, infiltarto dalle cellule immunitarie chiamate linfociti, ha dimostrato che la terapia aveva funzionato con successo. Dopo una decina di rifiuti da parte di riviste scientifiche, Hallasy è riuscita a pubblicare i suoi risultati. Nonostante le polemiche, la ricercatrice non ha rimpianti per la sua scelta e ritiene improbabile che qualcuno cerchi di imitarla perché la terapia che ha scoperto nel suo laboratorio richiede una notevole preparazione scientifica. Adesso ha ottenuto un finanziamento per sperimentare la sua terapie per trattare il cancro negli animali domestici.

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