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Economia

Gli Usa fanno la guerra economica all’Iran, in Libia i francesi alimentano la guerra civile e gli automobilsiti in Italia pagano il conto alla pompa di benzina

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Gli Usa fanno la guerra economica all’Iran, i francesi rovesciano il regime libico e creano la guerra civile in Libia e gli automobilisti italiani pagano il conto. In aumento i prezzi dei carburanti. Dopo l’inasprimento delle sanzioni Usa all’Iran e le tensioni in Libia, le quotazioni del greggio e quindi dei prodotti petroliferi sono in rialzo. E sulle autostrade, alla vigilia del ponte del 25 aprile, i prezzi arrivano anche a superare i 2 euro al litro per la benzina: sull’A1 Milano-Napoli, è il caso dei 2,041 euro al litro segnalati nell’area Lucignano est (Arezzo) al servito; 2,051 euro al litro ad Arno ovest (Firenze); 2,071 a San Pietro (Napoli); 2,020 San Zenone est (Milano), come emerge dall’Osservatorio carburanti del Mise.

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Economia

Enel, istruttoria Antitrust per rincari sui rinnovi

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L’Antitrust ha avviato un’istruttoria nei confronti di Enel Energia per accertare l’eventuale pratica commerciale scorretta sulle modalità di comunicazione dei rinnovi. L’informativa di avvio istruttoria è apparsa sul bollettino dell’Authority, che evidenzia il “numero elevato di istanze di intervento pervenute”. In sostanza è stato segnalato “oltre alla difficoltà di sostenere esborsi quadruplicati o quintuplicati rispetto al passato”, anche il “non aver ricevuto alcuna informazione preventiva” sul rinnovo contrattuale e “di non aver potuto, pertanto, esercitare il diritto di recesso”. Enel Energia ha prontamente respinto le ipotesi avanzate nell’istruttoria affermando di “aver sempre agito nel pieno rispetto della normativa primaria e di settore, nonché della disciplina contrattuale” e di confidare pertanto “di poter dimostrare la piena correttezza del proprio operato nel prosieguo del procedimento”.

“Se saranno accertati illeciti, le maggiori somme pagate in bolletta come conseguenza dei rinnovi contrattuali scorretti andranno restituite agli utenti”, ha fatto sapere intanto il Codacons commentando la decisione del Garante della concorrenza e del Mercato. “Gli utenti nell’ultimo periodo avevano ricevuto bollette sensibilmente rincarate, senza però essere stati adeguatamente informati dalla società circa le modifiche tariffarie applicate – ha precisato l’associazione dei consumatori – Attendiamo ora l’esito dell’indagine e, se saranno accertate irregolarità, avvieremo una azione per far ottenere ai consumatori coinvolti la restituzione delle maggiori somme pagate in bolletta per effetto delle scorrette o mancate comunicazioni su rincari tariffari, che in modo evidente hanno impedito ai clienti di esercitare i propri diritti, come quello al recesso”.

“Da mesi le società dell’energia stanno comunicando ai propri clienti modifiche unilaterali delle condizioni economiche, ossia sensibili aumenti delle tariffe praticate, comunicazioni però che avvengono spesso in modo sibillino, ad esempio attraverso mail che l’utente può dimenticare di leggere o messaggi che sembrano contenere informazioni pubblicitarie”, ha stigmatizzato Consumerismo.

“I rialzi erano vergognosi e spropositati – ha invece messo in evidenza l’Unione nazionale consumatori – Stavamo già raccogliendo casi in modo da ottenere un ricalcolo delle bollette. Ora si apre, in caso di condanna, una nuova via per ottenere lo storno di quanto pagato per le bollette fin qui”. Sono oltre 600 le segnalazioni pervenute all’Antitrust di singoli consumatori e microimprese, anche per il tramite di associazioni di consumatori, che lamentano di aver ricevuto, in occasione dei cicli di fatturazione relativi al quadrimestre ottobre 2023-gennaio 2024, bollette recanti un significativo incremento del prezzo delle forniture di gas e di energia elettrica rispetto alle bollette riferite allo stesso arco temporale nell’anno precedente.

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Economia

Vivendi si astiene, strada libera per Labriola in Tim

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Vivendi, il maggior azionista di Tim con il 23,7% del capitale, ha deciso per lo ‘status quo’, all’assemblea del 23 aprile si asterrà su tutto, meno che sulla lista del collegio sindacale da lei stessa presentata. Di fatto si decreta la vittoria della lista del cda con un nuovo mandato triennale a Pietro Labriola che proverà a portare a termine il riassetto del gruppo, passando dalla vendita di Netco a Kkr, anche se i francesi hanno tutt’altro che ‘deposto le armi’.

“Spetta al management in carica e ai suoi sostenitori risolvere la delicata situazione in cui si trova Tim – motiva la sua decisione il gruppo francese -. Di conseguenza, Vivendi ha deciso di astenersi dal voto sul rinnovo del Consiglio nonostante il lodevole impegno dei proponenti di liste alternative di maggioranza”, ovvero il fondo Merlyn che ha candidato Umberto Paolucci e Stefano Siragusa, come presidente e ad, e il fondo Bluebell con Paola Gianotti de Ponti e Laurence Lafont. Merlyn potrebbe aver coagulato intorno al 5% del capitale andando a ipotecare i 3 posti in consiglio destinati alle minoranze, lo stesso sulla carta può fare il fondo di Giuseppe Bivona e Marco Taricco.

L’opposizione però proseguirà, Vivendi infatti spiega che “non sostiene la lista presentata dal consiglio di amministrazione uscente, data la continuità con un consiglio durante il cui mandato il titolo ha perso metà del suo valore e che è responsabile di aver approvato la vendita della rete fissa di Tim nel novembre 2023 ad un prezzo che, a giudizio Vivendi, non riflette il pieno valore dell’asset, senza coinvolgere l’assemblea degli azionisti e il comitato parti correlate e senza fornire, ad oggi, informazioni complete e affidabili al mercato sull’operazione e sui suoi effetti sulla sostenibilità di Tim”. Lo scontro è solo rimandato al 21 maggio, data della prima udienza al Tribunale di Milano. Vivendi infatti “porterà avanti con decisione il ricorso contro la delibera del consiglio di amministrazione del novembre 2023 presso il tribunale di Milano e ogni altro strumento giuridico a sua disposizione per tutelare i propri diritti” sottolinea il gruppo francese. Intanto però l’operazione prosegue, l’Antitrust europeo la sta esaminando e a fine maggio potrebbe già arrivare il via libera (secondo gli analisti di Equita “è improbabile l’ipotesi di andare in fase 2).

“Si conferma quindi giugno come la probabile data per l’ottenimento della seconda e ultima condizione sospensiva al closing dell’operazione Netco” fanno notare gli analisti. Lo step successivo dovrebbe essere la rete unica. L’ad di Cdp Dario Scannapieco va già in pressing, ricorda che la fusione tra Open Fiber e NetCo è un obiettivo strategico e auspica che “si possa aprire presto un tavolo di lavoro. Prima si fa e meglio è”. “La combinazione, con i dovuti remedies, è molto probabile e l’unica strada per risolvere la situazione di stress finanziario su OF e per dare garanzie sulla tenuta di medio termine della top-line di NetCo – commenta Equita -. La chiara presa di posizione di Scannapieco rende molto più concreta l’ipotesi di combinazione e quindi l’attivazione dei potenziali earn-out negoziati da Tim con Kkr, per un importo fino a 2,5 miliardi”.

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Il deficit 2023 vola al 7,4%, ‘il più alto in Europa’

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Ancora una revisione al rialzo per i costi del superbonus, che fa lievitare al 7,4% il deficit 2023, avvicina la probabile procedura d’infrazione Ue e stende un’ombra d’incertezza sulla quadra da trovare fra lo scenario rappresentato nel Def e le misure su cui punta il governo. A partire dalla conferma del taglio del cuneo fiscale, fino all’Irpef a tre aliquote e al fabbisogno della sanità.

Mentre i tecnici del ministero dell’Economia stanno mettendo ancora a punto le misure dal portare al Consiglio dei ministri di martedì 23, a far piovere una tegola sulle stime – quel 7,2% di deficit 2023 conteggiato nel Def – è una fila di audizioni parlamentari sul Documento di economia e finanza. Prima ancora, però, il tandem Istat-Eurostat sfodera l’ennesima revisione del deficit 2023 da incentivi edilizi: dal 5,3% che era stato conteggiato nella Nadef lo scorso autunno, era salito al 7,2% a marzo. Ora il contatore segna 7,4%, “il più alto in Europa” dice Eurostat. Senza escludere ulteriori revisioni “limitate” legate “alla fisiologica stabilizzazione del dato relativo alla cessione dei crediti nei prossimi mesi” e ai “dati sulle detrazioni desunte dalle dichiarazioni fiscali, che saranno disponibili solo dopo la fine dell’anno”. Il tutto, avverte l’Istat, fra “incertezze sull’evoluzione dell’economia, legate soprattutto alle incognite dello scenario geopolitico”. Numeri che scatenano l’opposizione, come Luigi Marattin (Italia Viva) che parla di “governo allo sbando” che viene “smentito dall’Istat”. La Banca d’Italia spiega che le previsioni si discostano solo lievemente dal Def.

Ma il costo del superbonus, fra le deroghe concesse lo scorso anno (a partire dai condomini) a un meccanismo di incentivi di cui Bankitalia invita a non ripetere gli errori in futuro, è lievitato a 77 miliardi solo sul 2023. Cinque volte quanto stimato. E così restano margini risicati per le altre misure: Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di Via Nazionale, di fronte all’intenzione del governo di prorogare il taglio del cuneo fiscale avverte che “un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici”. Con la proroga, “il disavanzo sarebbe superiore rispetto a quello tendenziale a legislazione vigente di circa un punto percentuale del Pil in media d’anno nel triennio 2025-27, rimanendo al di sopra del 3% in tutti gli anni dell’orizzonte previsivo”. Senza contare la necessità di investire nella sanità, dove la Corte dei Conti giudica gli stanziamenti “non in grado” di evitare il decadimento dei servizi offerti. E’ proprio il superamento “non temporaneo” della soglia del 3% nel rapporto deficit-Pil, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, a rendere “molto probabile” l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo da parte dell’Ue nei confronti dell’Italia.

L’Upb, poi, rileva “una carenza di informazioni in tre ambiti di rilevante importanza per la finanza pubblica e il quadro macroeconomico: le politiche invariate, i bonus edilizi e il Pnrr”. E conteggia un taglio del debito da 1,8 punti di Pil l’anno nel triennio 2028-2030 se si vuol tornare dal quasi 140% previsto dal Def per il 2027 (ma il Fmi si aspetta il 140% già l’anno prossimo) ai livelli pre-pandemia (circa 134%). C’è il debito, del resto, sotto la linea finale di bilancio dei massicci incentivi ereditati dalla pandemia. Per ridurlo – osserva la Corte dei Conti – i sette decimi di Pil nel triennio 2025-27 conteggiati nel Def alla voce privatizzazioni sono inferiori alle stime per un punto di Pil stimato dalla Nadef nel triennio 2024-2026. “Sono molte le ragioni che rendono impegnativa la sfida della riduzione del rapporto nel breve e, soprattutto, nel medio termine”, avverte la Corte. “Posizioni debitorie eccessive finiscono per esporre il sistema economico a rischi di instabilità”.

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