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Economia

Gli Agnelli pagano un miliardo al Fisco per portare i soldi in Olanda, Draghi glieli restituirà con gli incentivi auto

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Il gruppo Agnelli pagherà al fisco italiano 949 milioni di euro, quasi un miliardo, per chiudere un contenzioso relativo alla ri-domiciliazione in Olanda del 2016: l’esborso sara’ di 746 milioni per Exor e di 203 milioni per la ex accomandita Giovanni Agnelli, societa’ cassaforte della famiglia. Nessuna sanzione e’ stata comminata dalla Agenzia delle Entrate. Proprio l’assenza di sanzioni – sottolineano Exor e la Giovanni Agnelli – conferma che non e’ stata violata alcuna norma in tema di Exit Tax. Le due societa’ hanno deciso di sottoscrivere l’accordo con il Fisco per evitare un lungo e costoso contenzioso, ma restano convinte di avere sempre agito correttamente secondo le regole. La questione oggetto del contenzioso e’ relativa al 2016, quando entrambe le societa’ decisero di trasferire il domicilio fiscale ad Amsterdam, dove gia’ si trovava la residenza di molte societa’ controllate dalla famiglia, come Cnh Industrial, Fiat-Fca e Ferrari. Anche Stellantis ha mantenuto la residenza fiscale in Olanda. Una scelta – spiega Exor – dovuta all’esigenza dii armonizzare i sistemi di governance e di regole del diritto societario, non di convenienza fiscale: il trattamento fiscale sulle plusvalenze e’ praticamente uguale in Italia e in Olanda. Nel calcolare la Exit Tax nel 2016 – l’imposta sui redditi dovuta sulle plusvalenze realizzate in occasione del trasferimento della residenza verso l’Olanda – le due societa’ hanno applicato la Pex, secondo un’interpretazione prevalente tra i tributaristi. Un istituto che vale in diversi Paesi d’Europa per evitare la diversa imposizione sugli utili, prima sulla societa’ e poi sui soci. L’Agenzia nel maggio del 2021 ha contestato questa possibilita’, sostenendo che nel 2016 non era applicabile nel caso specifico. “La sottoscrizione dell’accordo non puo’ essere interpretata come un’accettazione ne’ tantomeno una condivisione, neppure parziale, delle tesi sostenute a posteriori dall’Agenzia delle Entrate”, sottolineano sia Exor sia la Giovanni Agnelli. La Exit Tax e’, a tutti gli effetti, una imposta “una-tantum” e non si ripetera’: ora Exor e’ regolata da sistemi legali e tributari olandesi, stabili e privi di zone grigie interpretative, e non esistono ulteriori pendenze fiscali in Italia. La cifra pagata da Exor corrisponde a circa il 2,5% del suo valore (circa 30 miliardi di euro) e si riflettera’ sul bilancio chiuso al 31 dicembre 2021 che saranno approvati il 24 marzo: non e’ modifica la sua strategia di investimento e di sviluppo, che andra’ avanti secondo i piani. L’aspetto divertente di questa “negoziazione” tra Fisco e Gruppo Agnelli, finita senza alcuna multa, è però ancora nascosta. O meglio è già nota, ma sarà complicato leggerla su molt giornaloni nazionali di proprietà della Famiglia Agnelli. Quello che è stato realizzato è in tutta evidenza una partita di giro. Quel circa un miliardo che gli Agnelli dovrebbero pagare per spostare le loro casseforti in Olanda dove pagheranno meno tasse, lo Stato italiano lo restituirà con gli incentivi auto. A breve sapremo quanto punta il Governo Draghi sul comparto auto. E vedrete che gli Agnelli grazie agli incentivi (di cui godranno gli italiani, ovviamente) nel settore auto potranno incrementare notevolmente le vendite auto foraggiate con soldi pubblici. Siamo alla solita Fiat Voluntas Agnelli ovvero la pratica della pubblicizzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. In pratica se l’industria auto va male, lo Stato paga. Se l’industria auto va bene, Gli Agnelli incassa. E quanto alle tasse, gli Agnelli italiani diventano olandesi.

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Economia

Natixis, il Consiglio di Amministrazione di Generali sigla l’accordo sul risparmio gestito

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Tutto è pronto per l’operazione Generali-Natixis. Il consiglio di amministrazione di Generali, riunito nel pomeriggio nella City Life a Milano, è proseguito fino a sera. Un cda fiume che dopo cinque ore ha dato l’ok al protocollo d’intesa: un via libera all’operazione che, senza sorprese, non sarebbe all’unanimità viste le perplessità di alcuni grandi soci, che esprimono consiglieri di minoranza. L’intesa preliminare, una sorta di memorandum of understanding, sarà ora svelata al mercato e alla stampa prima dell’apertura dei mercati dall’amministratore delegato di Generali Philippe Donnet e da Nicolas Namias, omologo in Bpce, il gruppo transalpino delle banche popolari che controlla Natixis.

Il consiglio di amministrazione di Generali, riunito nel pomeriggio nella City Life a Milano, è proseguito fino a sera. Un cda fiume con un esito che molti danno per scontato: un via libera all’operazione a maggioranza, viste le perplessità di alcuni grandi soci, che esprimono consiglieri di minoranza. Si tratta per ora di un accordo non vincolante, su cui potrebbe pendere comunque la spada di Damocle del ‘golden power’, essendo il contraente un soggetto estero. Ma soprattutto si tratta di un’operazione che ha scatenato le polemiche tra i due soci rilevanti – Delfin con il 9,77% e Caltagirone con il 6,23% – e il management, espressione di Mediobanca, che ha il 13,13% del Leone.

Quest’ultima, a sua volta, è partecipata da Delfin con il 19,81% e dallo stesso Caltagirone al 7,76%. Già nella lunga seduta della vigilia il comitato investimenti non si era espresso in modo unanime, con il parere contrario di Stefano Marsaglia, espressione della lista Caltagirone, rispetto al via libera degli altri 5 membri. Nello stesso giorno il collegio sindacale aveva espresso riserve sui “tempi stretti” in una missiva inviata al Cda, fuori tempo massimo per essere considerata dal comitato nomine, ed esaminata oggi dal consiglio di amministrazione.

Secondo Caltagirone e Delfin l’asse fra Trieste e Parigi mette a rischio la “sovranità finanziaria” italiana. Una visione opposta a quella del management quindi, che è alla base di uno scontro con possibili sviluppi anche di natura legale. In un servizio pubblicato sabato scorso sul Messaggero, quotidiano che fa capo a Caltagirone, sono state evidenziate una serie di criticità sulle quali la risposta potrebbe essere quello della richiesta di un’assemblea straordinaria.

Pronta la risposta di Generali, che in una lettera pubblicata sullo stesso quotidiano romano e sottoscritta dall’ufficio stampa, ha contestato “affermazioni non rispondenti al vero” su cui sono in corso “opportune valutazioni” per iniziative di tutela “di tutti gli interessi rilevanti così pregiudicati”: in particolare viene spiegato che non è previsto “nessun accordo destinato a far perdere il controllo della società di asset management delle Generali” e neppure “la cessione degli investimenti di proprietà del gruppo Generali”. Vengono quindi escluse “ricadute negative sul personale”. In questo clima rovente il Cda di Generali si avvia a concludere il proprio mandato con il piano triennale che sarà presentato il prossimo 30 gennaio a Venezia.

Seguirà l’assemblea dell’8 maggio a Trieste, per il bilancio e il rinnovo degli organi sociali. Esclusa ormai la presentazione di una lista da parte del Cda uscente, anche per questioni legate alle legge Capitali, come avvenne per l’ultimo rinnovo. Probabile invece il ritorno a una lista di maggioranza, presentata da Mediobanca, e a una di minoranza di Assogestioni. Non è da escludere a questo punto che si possa aggiungere la lista presentata da Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, controllata dalla famiglia Del Vecchio e guidata da Francesco Milleri.

Quanto all’accordo preliminare transfrontaliero, la fusione tecnicamente avviene tra Generali Investment Holding (83,25% Generali e 16,75% Cathay), che ha recentemente rilevato l’americana Mgg per 320 milioni, e Natixis Investment Managers, che fa capo al gruppo gruppo francese Bpce. L’apporto di Generali in termini di masse gestite è di 632 miliardi di euro, mentre i francesi contribuiscono per 1.200 miliardi. A guidare il nuovo soggetto sarà Woody Bradford, amministratore delegato di Generali Investment Holding e di Conning, rilevata lo scorso aprile da Cathay, parte in contati e parte con azioni di nuova emissione.

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Bpm prepara le difese, niente golden power su Anima

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Niente golden power su Anima. Come era nelle attese il governo ha comunicato a Banco Bpm che non eserciterà i ‘poteri speciali’ in relazione all’opa su Anima, trattandosi di una operazione prettamente domestica che non comporta rischi per un settore strategico come quello del risparmio gestito. Il via libera, che segue l’autorizzazione incondizionata dell’Antitrust, arriva alla vigilia del cda in cui il Banco tornerà a discutere della strategia difensiva dall’offerta ostile di Unicredit.

Una riunione al cui ordine del giorno figurano anche “operazioni straordinarie”: i riflettori del mercato sono puntati proprio su Anima, la cui acquisizione consentirà al Banco di migliorare redditività e rendimenti per i soci rendendo più costosa la scalata di Unicredit. Dal consiglio, che servirà al ceo Giuseppe Castagna (foto Imagoeconomica in evidenza) per aggiornare i componenti e condividere i prossimi passi, non sono attese comunicazioni al mercato, se non la pubblicazione del calendario finanziario, con la data di febbraio in cui il cda approverà i risultati dell’esercizio e che potrebbe essere l’occasione per rivedere il piano industriale, anche alla luce dell’apporto di Anima.

“Pensiamo che Banco Bpm continui a perseguire la propria strategia standalone, principalmente focalizzandosi sulla crescita organica e sulla remunerazione degli azionisti”, afferma Intermonte. L’aggiornamento del piano, dopo conti 2024 già “coerenti o vicini” ai target 2026 anche senza il contributo “a pieno regime” delle fabbriche prodotto, e l’acquisizione di Anima, che garantirebbe una redditività senza sinergie del 12% superiore a quella prevista al 2026, sono gli strumenti di difesa a cui la banca può ricorrere, afferma Barclays. Un terzo è la fusione con Mps, la cui realizzazione richiederebbe però il sostegno degli azionisti e del mercato. Per consegnare Anima al Banco intanto la Borsa chiede un ritocco del prezzo dell’opa, visto che l’Sgr quota 6,6 euro, a fronte dei 6,2 euro offerti da Castagna.

Il rilancio, per effetto della passivity rule, dovrà transitare in un’assemblea da convocare tra febbraio e inizio marzo, se il Banco vorrà rispettare la tabella di marcia indicata a novembre. Ma perché l’opa possa procedere occorre anche che la Bce riconosca i benefici sul capitale del Danish Compromise. Sul tema, ha chiarito il Banco, “stanno proseguendo le valutazioni da parte della Bce, che includono il coinvolgimento della European Banking Authority”, a cui Francoforte ha sottoposto alcuni dubbi normativi.

“Ci attendiamo che Banco-Anima riceva il disco verde dei supervisori”, hanno ribadito gli analisti di Mediobanca, secondo cui l’Eba avrebbe già chiarito che il Danish Compromise si applica anche agli investimenti azionari di una controllata assicurativa, come nel caso dell’opa lanciata da Banco attraverso attraverso Banco Bpm Vita. Intanto il governo tedesco continua a fare muro contro la scalata di Unicredit a Commerzbank.

“Il nostro mercato finanziario è molto, molto aperto. Quello su cui siamo perplessi è il comportamento non trasparente, opaco” di Unicredit, ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Jörg Kukies, a margine dell’Eurogruppo a Bruxelles, dove ha anche avuto un bilaterale con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Siamo fermamente convinti – ha ribadito – che le opa ostili non sono una via di successo per le banche sistemiche”.

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La Corte dei Conti: aggiornamento sui controlli interni degli enti locali italiani (2021-2023)

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La Corte dei conti ha pubblicato una relazione sui sistemi di controllo interno adottati dagli enti locali italiani tra il 2021 e il 2023, analizzando oltre 800 comuni con più di 15.000 abitanti.

Dallo studio emerge una diffusione crescente ed efficace dei controlli interni, con particolare attenzione agli aspetti finanziari e agli equilibri di bilancio. Tuttavia, i controlli di stampo manageriale, orientati a decisioni strategiche e gestionali, risultano ancora sottovalutati.

I servizi di controllo interno misurano principalmente le performance confrontando i risultati raggiunti con gli obiettivi e valutando i tempi di realizzazione rispetto alle previsioni. Tuttavia, parametri aggiuntivi, come l’assorbimento delle risorse in relazione ai risultati, il rispetto degli standard qualitativi e l’impatto socioeconomico dei programmi, sono scarsamente utilizzati.

Controllo strategico:
La relazione evidenzia alcune lacune regolamentari nei sistemi di controllo strategico, che spesso si avvalgono di metodi obsoleti e sono scarsamente integrati con la contabilità armonizzata e i centri di costo. Questa situazione limita l’efficacia dei controlli nel supportare le decisioni strategiche.

Organismi partecipati e qualità dei servizi:
Le principali criticità riguardano:

  • Monitoraggio degli organismi partecipati, influenzato dalla mancanza di risorse e strumenti adeguati, oltre che dalla scarsa collaborazione delle società coinvolte.
  • Controllo sulla qualità dei servizi, che, pur adottato dall’84% degli enti nel 2023, presenta un basso utilizzo delle Carte dei Servizi (meno del 60%).

Solo il 30% dei controlli sulla qualità riguarda i servizi offerti attraverso le società partecipate.

Dall’analisi dei sistemi di controllo interni a livello europeo e internazionale, la Corte sottolinea il ruolo strategico di tali controlli nel prevenire fenomeni di maladministration e corruzione, specialmente nei settori più vulnerabili.

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