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Giudice sospende caso contro Trump per assalto al Capitol

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Sarkozy lascia il carcere, è in libertà vigilata con divieto di viaggio e contatti con Darmanin

L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy ottiene la libertà vigilata dopo la detenzione per il caso dei fondi libici. Vietati i contatti con il ministro Darmanin e imposto il divieto di lasciare la Francia.

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L’ex presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy lascerà oggi il carcere della Santé di Parigi, dove era detenuto dal 21 ottobre nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fondi libici che avrebbero finanziato la sua campagna elettorale del 2007.
La Corte d’Appello di Parigi ha accolto la richiesta di scarcerazione, disponendo per Sarkozy un regime di libertà vigilata.


Le condizioni imposte dai giudici

Nel dispositivo, i magistrati hanno sottolineato che “non vi è alcun rischio di manomissione delle prove, pressioni o collusioni”, motivo per cui la custodia cautelare non è più giustificata.
La corte ha tuttavia stabilito che Sarkozy sarà sottoposto a sorveglianza giudiziaria, con il divieto di lasciare la Franciae il divieto di contatto con il ministro della Giustizia Gérald Darmanin, che lo aveva visitato in carcere il 29 ottobre.


Il caso dei fondi libici

L’ex capo dell’Eliseo, già condannato in passato per corruzione in altri procedimenti, è al centro di una lunga indagine sui presunti finanziamenti illeciti provenienti dal regime di Muammar Gheddafi.
Secondo l’accusa, parte dei fondi libici sarebbero stati utilizzati per sostenere la sua campagna elettorale del 2007, che lo portò alla vittoria. Sarkozy ha sempre negato ogni addebito, parlando di accuse infondate e politicamente motivate.


Una scarcerazione dal forte valore politico

La decisione della Corte arriva in un momento delicato per la politica francese, dove il nome di Sarkozy continua a esercitare influenza.
La libertà vigilata, seppur con restrizioni, rappresenta una boccata d’ossigeno per l’ex presidente, che ora potrà preparare la sua difesa fuori dal carcere, in attesa dei prossimi sviluppi giudiziari nel caso dei fondi libici.

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Bufera sulla BBC: si dimettono i vertici dopo le accuse di faziosità sul documentario dedicato a Donald Trump

Dimissioni shock ai vertici della BBC dopo le accuse di faziosità per un documentario su Donald Trump. La Casa Bianca e Israele applaudono, mentre in Regno Unito si riaccende il dibattito sull’imparzialità dell’emittente pubblica.

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Tempesta alla BBC. Sotto il peso delle polemiche e delle accuse di faziosità politica, i vertici dell’emittente pubblica britannica — Tim Davie, direttore generale, e Deborah Turness, CEO di BBC News — hanno presentato le dimissioni. La decisione arriva dopo giorni di forti pressioni seguite alla messa in onda del documentario Trump: A Second Chance?, accusato di aver manipolato un discorso dell’ex presidente americano per farlo apparire come un incitamento all’assalto di Capitol Hill.

Davie e Turness hanno ammesso che “ci sono stati degli errori”, ma hanno difeso “la qualità e l’affidabilità della BBC”, respingendo come “sbagliate” le accuse di parzialità.


La reazione di Trump e l’attacco della Casa Bianca

La Casa Bianca e Donald Trump hanno accolto con entusiasmo la notizia.

“I vertici della BBC si sono dimessi perché sorpresi a manipolare il mio perfetto discorso del 6 gennaio”, ha scritto Trump sulla sua piattaforma Truth Social, ringraziando il Daily Telegraph per aver “smascherato questi giornalisti corrotti”.

La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha definito la BBC “una macchina di propaganda di sinistra”, accusandola di “intenzionale disonestà” e ricordando che i contribuenti britannici “sono costretti a pagare il conto di un sistema che tradisce l’imparzialità”.


La scintilla: il documentario “Trump: A Second Chance?”

Il caso nasce dal programma d’inchiesta Panorama, che avrebbe montato in modo fuorviante due parti diverse di un discorso di Trump, facendolo sembrare un incitamento diretto ai manifestanti del 6 gennaio 2021.
Le rivelazioni del Daily Telegraph hanno innescato una vera e propria crisi politica e mediatica, con la leader conservatrice Kemi Badenoch che ha parlato di “parzialità grave e sistematica” e ha chiesto che “cadano teste”.


Israele plaude, Farage chiede un “cambiamento radicale”

Le dimissioni dei vertici della BBC sono state accolte con favore anche da Israele, che ha accusato la rete britannica di aver mantenuto una “copertura faziosa e distorta” del conflitto a Gaza tramite il canale BBC Arabic, accusato di “minimizzare le sofferenze israeliane”.
Il ministero degli Esteri israeliano ha affermato che “le dimissioni evidenziano la natura distorta della copertura mediatica della BBC, che ha alimentato antisemitismo ed estremismo”.

Sulla stessa linea Nigel Farage, leader di Reform UK, che ha definito l’episodio “l’ultima occasione per una svolta alla BBC”:

“Se non cambieranno, milioni di britannici smetteranno di pagare il canone”.


Una crisi che scuote l’immagine della BBC

Non è la prima volta che la BBC viene accusata di mancanza di neutralità. Nei mesi scorsi era finita sotto tiro anche per la gestione del Festival di Glastonbury, quando non interruppe la diretta dopo frasi anti-israeliane pronunciate dal duo rap Bob Vylan. Allora arrivarono scuse ufficiali e la promessa di “fare chiarezza”.

Oggi, però, la crisi è di proporzioni ben più ampie: l’emittente simbolo del giornalismo britannico si trova al centro di una tempesta politica internazionale che mette in discussione la sua indipendenza, la sua credibilità e il suo ruolo nella democrazia moderna.

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Accordo bipartisan al Senato Usa per porre fine allo shutdown, ma non manca l’opposizione democratica

Raggiunto al Senato americano un accordo bipartisan per finanziare il governo fino al 30 gennaio e chiudere lo shutdown. Prevista la riassunzione dei dipendenti federali licenziati, ma Schumer e parte dei democratici si oppongono.

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Dopo giorni di stallo politico e tensione istituzionale, al Senato degli Stati Uniti è stato raggiunto un accordo bipartisanper finanziare il governo federale fino al 30 gennaio, ponendo così fine allo shutdown in corso. La notizia è stata diffusa dalla Cnn, che cita fonti parlamentari vicine ai negoziati.

L’intesa separa dal pacchetto principale il voto sull’Obamacare, che sarà affrontato a dicembre, evitando così di bloccare ulteriormente l’approvazione del disegno di legge di spesa temporaneo.


Previste tutele per i dipendenti federali

Il compromesso prevede alcune misure chiave volute dai democratici, tra cui la riassunzione dei dipendenti federali licenziati durante lo shutdown e il pagamento retroattivo per coloro che sono stati costretti al congedo forzato.
Il testo impedisce inoltre all’Ufficio di Gestione e Bilancio di procedere con nuovi licenziamenti di massa fino al termine del periodo di finanziamento, fissato al 30 gennaio.


Trump: “Ci stiamo avvicinando alla fine dello shutdown”

Il presidente Donald Trump ha commentato positivamente l’accordo, parlando di un passo decisivo verso la normalizzazione delle attività governative:

“Ci stiamo avvicinando alla fine dello shutdown”, ha dichiarato, esprimendo fiducia nella rapida approvazione del provvedimento.


Parte dei democratici contrari all’intesa

Nonostante il carattere bipartisan dell’accordo, alcuni esponenti democratici hanno annunciato la loro opposizione.
Il leader della minoranza al Senato, Chuck Schumer, ha dichiarato che voterà contro la misura, mentre anche il senatore Brian Schatz ha confermato la sua contrarietà.

Secondo le prime indiscrezioni, le resistenze di parte democratica deriverebbero dalla decisione di rimandare la discussione su alcuni capitoli di spesa, tra cui proprio quello relativo all’Obamacare, rinviato a dicembre.


Con l’approvazione definitiva del provvedimento, il governo federale statunitense dovrebbe tornare pienamente operativo, mentre il Congresso si prepara a un dicembre politicamente infuocato, con nuove sfide su bilancio, sanità e debito pubblico.

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