La questione ambientale e l’impatto dell’inquinamento sulla diffusione del contagio da covid 19. La terra dei fuochi. I veleni interrati in Italia. Alla trasmissione Uno Mattina, su Rai 1, del 22 febbraio, c’è stato un ospite d’eccezione, il professor Antonio Giordano, scienziato di origini italiane, da quasi 30 anni negli States, dove dirige un centro di ricerca d’eccellenza contro i tumori. Nel programma si è discusso della prossima riunione tra Governo e Regioni per implementare la campagna vaccinale, che potrebbe coinvolgere anche i medici di base, nonchè delle novità legislative del prossimo Dpcm.
Sulla potenziale correlazione tra diffusione virale del COVID e inquinamento ambientale è stato richiesto il parere del Professore Antonio Giordano, oncologo di fama internazionale, da anni impegnato in studi sulla correlazione dell’ambiente nello sviluppo di svariate patologie, soprattutto il cancro. Al Professore, in collegamento da Philadelphia, dove vive e dirige un centro di ricerca (lo SHRO) presso la Temple University, è stato chiesto di commentare i risultati ottenuti da un recentissimo studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
È ormai provato che l’inquinamento di aria, suolo ed acqua provochi un aumento di determinate patologie come evidenziato in un recente studio realizzato dall’ISS su istanza della procura Napoli Nord sulla situazione di 38 comuni della provincia di Napoli e Caserta.
La Terra dei Fuochi è costituita da circa 1000 kmq tra le province di Napoli e Caserta, dove per decenni sono stati smaltiti, in modo illecito, rifiuti tossici speciali, inquinando aria, suolo e falde acquifere con conseguenze significative sulla salute pubblica.
Ed infatti questo studio ha accertato un rapporto causa-effetto tra lo smaltimento illecito dei rifiuti e l’aumento di malattie come tumori, leucemie, asma e malformazioni. Già nel 2019, il progetto Veritas, uno studio indipendente su un campione di 95 malati oncologici, aveva rilevato livelli più elevati di cadmio, piombo, arsenico e mercurio nel sangue di chi viveva nella terra dei fuochi. In particolare, nei paesi di Giugliano, Qualiano, Pianura e Castel Volturno. Metalli pesanti che si sommano alle polveri sottili e si ritrovano anche nel muschio che cresce in zona ad ulteriore riprova che siamo tutti parte di un unico ecosistema alterato dall’inquinamento.
Professore, Lei ha diretto il Progetto Veritas, per studiare il rapporto tra inquinamento e patologie ed inoltre, colpisce il fatto che nel muschio ci sia lo stesso livello di inquinanti che è nel corpo delle persone che abitano li. Questo elemento che cosa ci dice?
Per quanto riguarda lo studio Veritas i risultati sono stati già anticipati, per cui posso brevemente aggiungere che la circostanza di aver trovato nel sangue di pazienti oncologici residenti nella terra dei Fuochi livelli superiori ai limiti di legge previsti di alcuni metalli pesanti è sicuramente da non sottovalutare. A questi dati, si aggiungono quelli ottenuti da diversi studi condotti dalla Professoressa Adriana Basile, dell’Università di Napoli, in cui viene dimostrato che anche i muschi, presenti nelle suddette zone, accumulano e, quindi, presentano grandi quantità di metalli pesanti, suggerendo un eccessivo livello di tossicità presente in quelle aree. I muschi possono essere considerati, quindi, indicatori, “biomarcatori naturali”; i metalli pesanti, a causa della loro elevata tossicità, richiedono la necessità di un monitoraggio continuo e attento per valutarne la presenza nelle matrici ambientali al fine di tutelare l’integrità degli ecosistemi e della salute umana. È importante, infatti, sottolineare che i metalli pesanti (e non solo) insultano il DNA.
Gli inquinanti possono modificare il nostro DNA?
Si. Pensiamo al cloruro di vinile, benzopirene, amianto, che in sinergia tra loro trasformano, modificano qualsiasi forma di vita. Finalmente, l’ISS con la Procura di Napoli Nord ha diffuso un report confermando anni di indagini, ricerche e denunce in tal senso, che spesso, purtroppo, sono rimasti inascoltati da una certa politica.
È ragionevole ipotizzare che la diffusione del virus nella Pianura Padana, in Lombardia etc abbia colpito in maniera più severa la popolazione anche a causa di un forte inquinamento dell’aria?
Le ipotesi sono tante e ben supportate. La pandemia e gli studi ad essa correlati sono ancora molto giovani, ma è ragionevole pensare che l’inquinamento possa avere un effetto moltiplicatore e peggiorativo sull’infezione. I rischi per la salute correlati al degrado ambientale presentano svariate complessità che, oggi, acquistano particolare rilievo, se correlate alla diffusione del nuovo coronavirus. Le conseguenze negative per la salute possono essere amplificate in presenza di inquinanti ambientali, ma addirittura qualcuno ipotizza che il virus possa essere trasportato dalle polveri sottili. Queste ipotesi devono essere ancora validate, ma se confermate bisognerà intervenire in maniera tempestiva.
Le evidenze rilevate nella Terra dei Fuochi possono essere rilevate anche altrove?
Certamente si. La Campania può fungere da “modello” per nuovi studi su altri siti di interesse nazionale per l’inquinamento. Vincenza, Varese, Brescia e la stessa Milano sicuramente non godono di una qualità ambientale invidiabile. Direi che attualmente è più corretto parlare di “Terre dei Fuochi” per indicare un fenomeno italiano e non solo campano.
Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).
Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.
Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.
Il mese di febbraio 2024 è stato il piu’ caldo mai registrato al mondo, parte di una serie di nove record mensili consecutivi, con temperature ben al di sopra della norma in Europa. Lo ha annunciato Copernicus. La temperatura degli oceani, insolita da quasi un anno, contribuisce in gran parte a questa straordinaria serie. Secondo il bollettino mensile dell’Osservatorio europeo si e’ raggiunto un nuovo record assoluto, sommando tutti i mesi, con 21,06 C registrati a febbraio sulla superficie dei mari (escluse le zone vicine ai poli).
Dal Centro Nazionale Meteomont arrivano i consigli per evitare di trovarsi coinvolti in valanghe in montagna: le recenti nevicate, scrivono i carabinieri, localmente ancora in corso ed associate a vento forte, determinano attualmente e per i prossimi giorni un ulteriore aumento del pericolo valanghe su tutti i settori alpini. Fortemente sconsigliate le uscite escursionistiche ed alpinistiche al di fuori delle piste battute e segnalate. Attendere qualche giorno dopo le perturbazioni affinchè il manto nevoso si stabilizzi. Pericolo moderato ma in diminuzione alle alte quote dei settori liguri, emiliani ed abruzzesi. Seguire attentamente l’evoluzione dei prossimi giorni anche attraverso l’app METEOMONT CARABINIERI. In dettaglio:
– ALPI. Le diffuse ed abbondanti nevicate delle ultime 24 ore, localmente ancora in corso, associate con quelle dei giorni precedenti e con un forte vento, hanno determinato un ulteriore aumento del pericolo valanghe su tutti i settori alpini, con gradi diversificati a seconda delle cumulate registrate al suolo, delle quote e della posizione geografica. Dalle Alpi Marittime a quelle Lepontine, dalle Retiche alle Giulie, in generale, il grado di pericolo sale a FORTE 4 alle alte quote al di sopra dei 1700/1900 mslm, per problemi connessi principalmente alla NEVE FRESCA, localmente anche ai LASTRONI DA VENTO, mentre al di sotto di tali quote sale a MARCATO 3, per problemi connessi alla NEVE BAGNATA.
In generale, le uscite escursionistiche al di fuori delle piste battute e segnalate, sono sconsigliate alle alte quote delle Alpi. Attendere qualche giorno che il manto nevoso si stabilizzi. Fortemente limitate le attività a quote inferiori. Previste localmente in alta quota ulteriori nevicate nel corso della settimana. Seguire con attenzione l’evoluzione giornaliera e settimanale delle condizioni di stabilità del manto nevoso.
In alta quota il problema è legato alle nevicate in atto o più recenti, il cui sovraccarico progressivo prodotto sul manto nevoso preesistente è il fattore cruciale. Possibili valanghe di medie e, in taluni casi, di grandi dimensioni, a lastroni e a debole coesione asciutte, spontanee e provocate con debole sovraccarico, a tutte le esposizioni, per presenza di strati deboli nel manto nevoso e mancanza di coesione tra le particelle di precipitazione recenti. Pericolo presente durante le nevicate residuali ancora in corso e fino ad alcuni giorni dopo le nevicate. In caso di ulteriori nevicate pericolo stazionario. Avvertenze: fare attenzione ai cambiamenti minimali delle condizioni meteorologiche (es: il cambiamento dell’umidità e della temperatura dell’aria) che influenzano le condizioni della neve fresca. In alcuni casi il pericolo di caduta è più importante del pericolo di seppellimento. Attenzione ai pendii ripidi !
A quote inferiori il problema è legato all’indebolimento del manto nevoso per la presenza di acqua che si infiltra per fusione o per pioggia. Possibili valanghe di medie e, in taluni casi, anche di grandi dimensioni, a lastroni ed a debole coesione di neve bagnata, principalmente spontanee, a tutte le esposizioni (al di sotto dello zero termico o della quota limite della nevicata). Durata del pericolo da ore ad alcuni giorni, possibile una rapida perdita della stabilità. Avvertenze: l’inizio della pioggia, la formazione di pallottole e chiocciole di neve e piccole valanghe a lastroni bagnati o valanghe di neve bagnata a debole coesione sono precursori di un ciclo di valanghe spontanee a lastroni di neve bagnata. Un elevato sprofondamento dello scarpone è un altro segnale di progressivo inumidimento del manto nevoso. Valutare ed evitare le abituali zone di scorrimento ed accumulo delle valanghe di neve bagnata.
– APPENNINO, pericolo valanghe di grado MODERATO 2 alle alte quote dei settori LIGURI,EMILIANO ed ABRUZZESE, per NEVE BAGNATA, ma in progressiva e rapida diminuzione. Da seguire con attenzione l’evoluzione sui settori liguri (Alpi ed Appennino) nel corso della settimana.
Per le necessarie ed indispensabili informazioni locali, di dettaglio e di approfondimento, da seguire con attenzione nel corso della settimana, nonché per interpretare con correttezza i termini, le simbologie, i problemi e le situazioni tipo sopra riportate ed indicate nei bollettini valanghe nel rispetto degli standard europei EAWS, si consiglia di consultare il sito e l’app METEOMONT CARABINIERI.