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I Sentieri del Bello

Gerardo Ferrara e i ricordi de “Il Postino”

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Certe volte, ciò che è scritto in una lettera può diventare il lascito di un’intera esistenza. Gerardo Ferrara è stato colui che ha permesso di girare le scene più impegnative nel film de “Il Postino” affiancando Massimo Troisi nella realizzazione del suo iconico capolavoro. Campano anche lui, precisamente di Sapri, con la sua bici si può dire abbia fatto, allegoricamente, il giro del mondo. Lo ha fatto, come ci racconterà, pedalando con amore per un Troisi già provato.

Divennero presto amici grazie alla sensibilità di entrambi e alla grande empatia del poetico attore di San Giorgio a Cremano. Tutti amavano Massimo ed il sentimento è ancora vivo. Dalle parole di Gerardo, in questa intervista, è facile comprenderne il perché.

Quando hai conosciuto Massimo?

L’ho conosciuto nel 1994 proprio durante le riprese del film de Il Postino. Era uno dei miei primi giorni di lavorazione ed eravamo a Cinecittà.

Cosa significa per te aver fatto la sua conoscenza?

Conoscerlo è stato per me un dono che la vita ha voluto riservarmi. Massimo ha rappresentato sempre il mito dei nostri tempi ed averlo conosciuto ed averne apprezzato soprattutto la persona, il suo volto umano, è stato un arricchimento meraviglioso di cui ringrazierò sempre la vita.

Uomo e attore, a quale dei due aspetti ti sei più affezionato e perché?

Prima di conoscerlo ero chiaramente affezionato all’artista, al suo modo di raccontare Napoli e la napoletaneità in un modo del tutto originale e mai scontato. Ero dunque coinvolto sensibilmente dalla sua arte. Poi, quando ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, sono rimasto affascinato dall’uomo Troisi: dalla persona sempre attenta alle esigenze di tutti, vicino ad ognuno dei suoi collaboratori; dai suoi sorrisi; dalle sue dolci parole; dal suo modo di essere spontaneo, sincero e generoso nei confronti davvero di tutti.

E’ iconico il film de Il Postino che ti ha visto come interprete in alcune scene in sostituzione di Troisi. Raccontaci qualche aneddoto sul set.

Di aneddoti ce ne sono stati molti ed è difficile sceglierne uno ed esternarlo. Mi vengono in mente particolari situazioni e momenti vissuti insieme. E’ davvero difficile ma a doverne raccontare uno, ti racconto di quando stavamo girando la scena di un passaggio in bicicletta a Salina, mi avvicinai a Casa Neruda, scesi dalla bicicletta e feci un gesto spontaneo nello scostarmi il cappello quasi a voler scrollare la fatica di dosso. Lui era li, accanto a me aspettando di fare il cambio della bici visto che la prendeva per fare i primi piani, suonare il famoso campanellino e avvisare il poeta del suo arrivo. Sorrise dicendomi: “mamma Gerà, hai fatto esattamente quello che avrei fatto io!”. La troupe fece un caloroso applauso in quel momento. Sono stati quegli istanti, quei particolari e quei sorrisi che hanno effettivamente segnato l’intero percorso.

Massimo cosa pensava intimamente di questo suo ultimo lavoro?

Ci teneva tantissimo a questo film. Forse proprio perché era diverso dal genere classico.

Per me, il personaggio “Mario Ruoppolo”, quello che lui interpreta ne Il Postino, è esattamente lui. Vi era tutto il suo fascino per la cultura, l’amore per la poesia, la sua timidezza nel rapportarsi con il poeta e la generosità nel volerlo omaggiare in tutti i modi, la sua ricerca di quell’ amicizia bellissima con Neruda. Massimo era così: un amante della cultura, una persona meravigliosa e in questo film ha dato tutto se stesso. 

Lo ripeto sempre. Lui il film l’ha finito di girare, lo ha fatto tutto. Io l’ho solo sostituito nelle scene pesanti, l’ho affiancato e, di questo, mi era particolarmente grato. Delle volte era lui che mi veniva vicino dicendomi: “grazie Gerardo per quello che hai fatto”. Io ero esterrefatto poiché pensavo assurdo che fosse lui a ringraziare me. Mi sembrava una cosa così tanto fuori dal normale… ma Massimo era fatto così, era questo!

Durante le riprese del film gli sei stato vicino e così hai potuto vivere i momenti in cui la sua fragilità era ormai manifesta. Raccontaci una frase, un consiglio, un momento di quel periodo che, più di altri, rimarrà sempre con te.

Posso dire che io ho avuto, sin dall’inizio la giusta percezione. A distanza di anni mi sento orgoglioso e fiero di non aver mai pensato che quella poteva essere un’opportunità per un mio futuro. Ho da subito sentito di affrontare un ruolo particolare, quello di affiancare Massimo ed alleviarne la fatica affinchè riuscisse a portare a compimento il progetto che aveva in quel momento intenzione di concludere.

Come frase, ricordo nell’ultimo giorno, quando girò i primi piani di alcune scene a Salina. Noi eravamo soliti salutarci con un abbraccio e prima di farlo, poichè doveva andare e sottoporsi ad alcuni accertamenti, mi ringraziò ancora (e ripeto, immeritatamente) e mi disse: “Gerà, ti verrò a trovare a Sapri perché mi voglio riposare un po’ e tu me fai stà bbuon”.

Si era creato un bellissimo rapporto empatico seppur, purtroppo, per poco tempo. Eravamo entrati subito in sintonia (chiaramente non per merito mio ma suo). Questo mi ha permesso di vivere quei momenti con grandissima spontaneità e con una grandissima voglia di operare al meglio affinchè tutto il suo progetto potesse andar a buon fine.

Durante le riprese aveva qualche sentore di ciò che, purtroppo, poi è capitato?

Sicuramente era abbastanza provato e abbastanza affaticato soprattutto nell’ultimo periodo. Lui però ci teneva tantissimo a realizzare questo progetto e questo lo ha indotto a non desistere mai…

Chiunque parli di Troisi lo fa con amore. Da dove nasce questo immenso sentimento?

Tutti ne parlano con amore perché Massimo era un’espressione di sentimenti veri. Era un’esplosione di sentimenti veri! Non solo attraverso il set, lo schermo, la tv… no! Tu lo percepivi osservandolo. Eri inondato da questa esplosione di sentimenti veri, sinceri, spontanei guardandolo semplicemente negli occhi. Questo suo modo di essere spontaneo e generoso, impermeava tutta la persona. Faceva sempre in modo che tu ti sentissi a tuo agio e che entrassi in sintonia con lui ma con spontaneità senza alcun artificio. Era così che arrivava al cuore di tutti… per poi rimanerci!

 

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L’amore per la natura, una via per essere felici

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“In ogni passeggiata nella natura l’uomo riceve molto di più di ciò che cerca”.
Nelle parole di John Muir, autore che ho già citato in passato (https://www.juorno.it/ritornare-alle-origini-per-riscoprire-il-benessere/), traspare tutta la potenza della natura e la sua capacità intrinseca di generare benessere, della quale non possiamo fare a meno: come un bambino dipende da sua madre, gli esseri umani sono sempre dipesi dalla natura per la loro sopravvivenza. 

Provate a recarvi in un luogo naturale, un bosco per esempio. Prima di addentrarvi, provate ad alleggerire il vostro cuore e la vostra mente, focalizzando la vostra attenzione sul respiro e sul momento che state vivendo. Dedicate qualche minuto alla preparazione del vostro mindset. Vi assicuro che l’esperienza che vivrete sarà entusiasmante. Aprite i vostri sensi con curiosità e con sguardo aperto attivata una forma di attenzione involontaria (o soft fascination) che, diversamente da quella volontaria o diretta (che sperimentiamo quando siamo in città o quando siamo concentrati su qualcosa per esempio), non richiede uno sforzo cosciente e quindi consente alla mente di vagare, ripristinando così la capacità di pensare in modo lucido. Ecco, entrate quindi in profonda connessione con tutto ciò che è attorno a voi. 

Stare in un ambiente naturale ci procura benessere, ci fa sentire a nostro agio, dà un grosso beneficio a livello emotivo e fisico. Questa idea che il contatto con la natura sia un’esigenza imprescindibile per l’essere umano prende il nome di biofilia, dal greco “amore per la vita”. Insomma abbiamo “impresso” nei geni un legame istintivo con la natura e con gli organismi viventi con cui condividiamo il nostro pianeta.

Un concetto questo introdotto da Erich Fromm negli anni ’60 e ripreso da Edward O. Wilson negli anni ’80 del secolo scorso. Secondo questa teoria, le persone hanno un’affinità, anche emotiva, intrinseca con la natura, sviluppata nel corso dell’evoluzione e poiché abbiamo trascorso la maggior parte della nostra storia evolutiva nella natura prima di iniziare a formare delle comunità o costruire città, noi proviamo un amore innato per i paesaggi naturali. La natura, quindi, avrebbe la capacità di affascinare l’essere umano, permettendogli di riposarsi e rigenerarsi mentalmente. È sufficiente immergersi in un ambiente biofilico, adatto per stimolare l’amore per la Natura, per sentirci subito meglio. Oggi tale concetto viene utilizzato anche per modificare gli ambienti artificiali e renderli il più possibile naturali. Si parla proprio biophilic design (progettazione biofilica).


Il nostro amore per la natura quindi pare essere innato, ma non istintivo. E quindi va coltivato, studiato, alimentato da un sapere che è naturale, ma anche culturale. La questione ce la spiega meglio Giuseppe Barbiero, docente di biologia e di ecopsicologia, nonché direttore del Laboratorio di Ecologia Affettiva all’Università della Valle d’Aosta.  E’ venuto ad Ischia un paio di anni fa nell’ambito della seconda edizione del Festival della Natura, organizzato dalla sezione isolana del CAI (Club Alpino Italiano). Nel suo intervento lo studioso evidenziò come la biofilia sia un concetto eco-psicologico e quindi con due accezioni: psicologica ed ecologica. La prima è stata introdotta, come accennavo prima, dallo psicologo Erich Fromm nel 1964; la seconda dall’ecologo E.O. Wilson nel 1984. Fromm usa il termine biofilia per descrivere l’orientamento psicologico ad essere attratti da tutto ciò che è vivo e vitale. Wilson usa il termine per descrivere il tratto evoluzionisticamente adattivo dell’essere attratti da ciò che è vivo e vitale.
La biofilia è dunque una predisposizione genetica che tutti noi possediamo, ma che dobbiamo stimolare ed educare se vogliamo che fiorisca. E, a parte quanto si dimostri necessario per il nostro benessere, è indubbio che questa potrebbe essere la via che ci (ri)condurrebbe verso una concreta e consapevole transizione ecologica. Intanto io continuo ad alimentare la mia voglia di natura. Che fate, mi seguite?

 

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“Il mio amico Massimo” parla il regista Alessandro Bencivenga

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Alessandro Bencivenga, nato a Formia nel 1974, ha trascorso l’infanzia a Sessa Aurunca. Autore, regista e sceneggiatore dal cuore campano, troisiano, si è trasferito in Trentino nel 1999. Una vita passata all’insegna dello spettacolo che lo ha condotto, dopo diversi altri lavori, ad esordire al cinema nel 2019 con il lungometraggio “Exitus – Il passaggio” che ha partecipato al Capri Hollywood Film Festival (2020), al Los Angeles Italia Film Festival (2021) e all’Ischia Global Film & Music Festival (2021). Lo scorso 15 dicembre il cinema ha visto uscire il suo ultimo lavoro, il docufilm “Il mio amico Massimo” Vita straordinaria di Massimo Troisi. A pochi giorni dalla ricorrenza del compleanno del geniale attore, lo abbiamo intervistato.

Come è nato il progetto?

Il progetto è nato da un libro che si chiama “Piripì zozò” scritto da Alfredo Cozzolino, amico di sempre di Massimo Troisi. Il libro ricostruisce  i giochi l’infanzia di un piccolissimo Troisi. Leggendo il libro, ho capito che poteva essere un modo diverso di raccontare un documentario su Troisi in modo diverso dai precedenti. 

Quali sono i personaggi che hanno offerto il loro contributo?

Sono stati, davvero tanti. Ho interpellato vari artisti e amici di Massimo. Ho avuto un immediato “si!”: da Carlo Verdone a Ficarra e Picone, ai suoi amici di sempre, Alfredo Cozzolino, Massimo Bonetti, Giovanni Benincasa, ma lo stesso Nino Frassica, Marigrazia Cucinotta, Clrois Brosca e tanti altri. Mi sono subito resoconto che non potevo metterli tutti, ho dovuto fare una scelta dolorosa, mettendone solo una piccola parte. Quando parli di Massimo, a tutti brillano gli occhi.

Come è strutturato l’intero documentario?

L’intera struttura è semplice ma allo stesso tempo complessa nella sua fattispecie.  Partiamo da una Sapri del 1979 in cui un giovane Gerardo Ferrara, sedicenne, sta correndo per andare a vedere lo spettacolo del Trio “La Smorfia”. Questo sarà il primo contatto che Gerardo avrà con Massimo Troisi. Gerardo che in un bravo futuro, avrà la fortuna di lavorare sul set de “Il Postino”. alleviando le fatiche di Massimo facendogli la controfigura. 

Un salto temporale ti trascina in una Sapri di oggi, con un Gerardo adulto, maturo che ricorda l’amico Massimo e la gentilezza di quest’ultimo dimostrata durante tutti i tre mesi delle riprese. Umanità che il grande Troisi dimostrava verso tutto lo staff tecnico ed artistico dispensando gentilezza e bontà sempre. Gerardo, ogni volta che ne parla, si commuove.

Dopo ancora, si racconta la storia vera e propria di Troisi con l’intenzione di evidenziare un Massimo “umano” più che “artistico”. Vi è stata la scelta infatti di non mettere alcun spezzone del film (per i quali invitiamo, sin dall’inizio, di vederli in altra sede qualora uno se li aspetti). Abbiamo puntato tutto proprio sulla gentilezza che Massimo ci ha regalato. In sostanza dunque si passa da un Massimo bambino ad uno Massimo raccontato dagli occhi innamorati degli amici. Raccontato dalla VFC di Lello Arena e Cloris Brosca. E’ stata un grande onore aver potuto lavorare a stretto contatto con Lello Arena.

E’ quindi un monumento all’uomo più che all’attore

Si! Come detto prima, ho lavorato sull’aspetto umano poiché su quello artistico si è visto tanto anche se non abbastanza. Ci ha lasciati troppo presto. Chissà quante perle ancora ci avrebbe regalato: basta pensare alle sole interviste che faceva con Pippo Baudo, con Minà ecc. e ci si rende conto che erano tutti sketch singolari ed esilaranti.

Sono un troisiano da sempre, ho sempre visto in Massimo un lato sensibile, poetico. Il docufilm l’ho voluto impostare proprio scorrendo in questa vena sentimentale e poetica. Sono entrato nella sfera Troisi in punta di piedi con molta delicatezza cercando, in ogni modo, di non essere  invadente. Massimo mi ha dato l’imput per sognare. Lucio Anneo Seneca diceva: “hai più voglia di volare o paura di cadere?”.IO, ho più voglia di volare. A me Massimo ha insegnato a volare nel sogno.

Quale è il messaggio finale, la morale che si intende lasciare allo spettatore?

Ho voluto creare l’attesa di vedere un Troisi già visto e, metaforicamente, ho voluto far salire ogni spettatore su una barca con delle onde altissime senza aver paura di cadere. 

Nel film Il Postino, Massimo disse: “mi sento come una barca sbattuta in mezzo al mare”. Ecco!!! Io ho voluto ricreare questa tempesta di immagini e di emozioni in cui la barca, e su di essa lo spettatore, si è imbattuta senza mai naufragare. Intendevo far navigare lo spettatore fra i sentimenti germogliati dal vedere un Troisi inedito a quelli di una sana rabbia per non poter più gioire delle sue perle salendo fin sulla cresta del divertimento. Un viaggio su una sinusoide che ti conduce a dei picchi positivi di risate alternati a rabbia. Il tutto profuso di sentimenti e di poesia. Sembra d’aver centrato l’obiettivo.

So dell’idea di voler proiettare, qui sull’isola d’Ischia, il docufilm e devolvere parte del ricavato alle persone in difficoltà per la frana dello scorso 26 novembre.

Sarebbe un onore venire ad Ischia per la proiezione. Tutto ciò che è campano è un po’ l’estensione di Napoli e Troisi a Napoli è come San Gennaro insieme a Maradona, a Pino Daniele, a Totò, ai fratelli De Filippo. Sono idoli ormai indiscussi sono nell’olimpo degli artisti. 

Oltre a questo, Ischia mi piace tantissimo ed è anche molto onorevole la proposta fatta dagli organizzatori che sono alla base di questa proposta di “vicinanza” alla popolazione colpita da questa sciagura. Se anche noi, nel nostro piccolo, possiamo offrire un contributo, ne saremo fieri. Da parte mia c’è tutta la solidarietà e mi stringo alle famiglie di tutti i coinvolti.

Riguardo quest’ultima, hai avuto modo di vedere il video “Dint’ ‘a Nuttata”? Cosa ne pensi?

L’ho visto. Ti dirò di più: l’ho anche condiviso sui social. Quando mi è arrivato, l’ho rivisto due o tre volte e mi è arrivata una bella vibrazione. Sai, quando ti fanno sobbalzare per l’emozione. 

D’impulso ho chiamato subito Leonardo (Bilardi) che conosco e gli ho fatto i complimenti per la recitazione. Ha usato dei tempi da grande attore teatrale: il movimento lento degli occhi, il guardare lontano ma, allo stesso tempo, penetrare lo spettatore è stato suggello di una gran bella interpretazione.  Il testo poi è scritto con minuziosità e delicatezza senza entrare nella retorica o il banalismo, passami il termine, di chi vuole cavalcare un po’ le tragedie. Qui, non è successo! C’è stata una profonda eleganza nello scrivere questo testo. Nella sua metafora, ci induce a pensare quanto l’uomo sia piccolo rispetto alla natura e quanto quest’ultima sia capace di metterci in ginocchio.

Mi è piaciuta anche la composizione del video. Insomma, complimenti a tutti quelli che hanno realizzato questa piccola perla in onore ed in amore della bellissima isola d’Ischia.

Il 19 febbraio sarà il compleanno di Troisi. Il comune di San Giorgio a Cremano sta organizzando una celebrazione. Ti occuperai della regia, ti va di dirci qualcosa in merito?

Si. Il 19 febbraio Massimo compirà 70 anni. Il Comune di San Giorgio sta organizzando quest’evento straordinario. Io ho avuto la fortuna, dapprima, di essere stato invitato dal Sindaco e dal Vice-sindaco a presenziare insieme ad altri ospiti, amici e attori che hanno avuto la gioia di conoscerlo. Poi, da semplice ospite, ho avuto la telefonata proprio dal Vice-sindaco che mi chiedeva se avessi avuto intenzione di curarne la regia. Con orgoglio ho accettato.

 

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Parla Alfredo Cozzolino: ricordi di un Troisi bambino

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Alfredo Cozzolino, un uomo dal grande cuore. Nato a San Giorgio a Cremano, città natale di Troisi, è stato il suo amico di sempre. Da poco è uscito il suo libro “Piripì zozò” nelle pagine del quale è possibile leggere frizzanti episodi di un Massimo Troisi ricordato geniale sin dalla tenera età.

Di seguito, l’intervista sui ricordi: tra parole intrise d’amore ed una voce realmente commossa.

Tutti ti presentano come il migliore amico di Troisi.

Si! E’ vero. Era stesso lui a presentarmi così a tutti. Su un giornale uscito quarant’anni fa scrisse che le persone che maggiormente frequentava erano Gaetano Daniele, Lello Arena e Alfredo Cozzolino (io) ma, aggiunse, che con me era amico d’infanzia. Ero sempre nei suoi pensieri e nei suoi discorsi così come lui nei miei. Eravamo amici veri, naturali, trasparenti. Eravamo quel genere di amici che hanno sempre diviso praticamente tutto.

Tutto questo mi piace raccontarlo nel libro che ho scritto, Piripì Zozo’, dedicato proprio ai momenti della infanzia che anche a lui piaceva sempre ricordare 

Siete nati e cresciuti nello stesso paese, San Giorgio a Cremano. Ricordi quale sia stato il momento in cui si può dire essere nata la vostra amicizia?

Lui è nato a piazza Garibaldi che noi chiamavamo “piazza Tarallo” per via della sua forma. Precisamente in quel palazzo su cui oggi c’è un murales a lui dedicato. Però poi venne ad abitare in via Cavalli di Bronzo 31, praticamente sotto casa mia. Le sue finestre si affacciavano su una campagna, la mia terra, che è stata per noi la Play Station, il Tik Tok, il computer. Tutta la nostra vita, in quegli anni sessanta, si realizzava tra i profumi di quel campo.

Il nostro primo incontro è avvenuto all’età di cinque anni. Frequentavamo lo stesso asilo e percorrevamo la stessa strada per andarci. Non era la stessa classe però; lui era un anno più avanti nonostante la mia stazza avrebbe fatto sempre pensare il contrario.

Puoi raccontarci un aneddoto della vostra magica infanzia?

Raccontarne uno non è cosa semplice visto che si susseguivano a iosa ed uno era più divertente dell’altro. Per sceglierne uno, ti racconto l’episodio della gallina.

Mia madre aveva un pollaio e noi (Massimo, mio fratello ed io) rimanemmo per giorni a studiare quale di quelle galline avremmo potuto far sparire per poi mangiare. Una volta individuata, toccò a me il compito di “farla fuori” per poi lanciarla al di là di un muro alto oltre tre metri che, per noi bambini, rappresentava un ostacolo non da poco. Nonostante ciò, vista la mia stazza che è sempre stata grossa, riuscì a lanciarla dall’altro lato. Questo, quando ormai avevo pensato d’averla uccisa colpendole fortemente la testa. Ma… una volta finita dall’altro lato, per una reazione che ancor oggi non so spiegarmi, cominciò con nostro enorme stupore a correre per la campagna in mezzo all’erba altissima. Non riuscendola più a trovare, Massimo si ingegnò: venne dov’ero io scavalcando un muretto e ci fece organizzare con mazze, lattine, bottiglie e tutto quello che riuscimmo a trovare e che potesse far rumore. Ci spiegò la sua strategia che consisteva nel farci andare tra l’erba, avanti e indietro, facendo rumore per spaventare il povero volatile e capire dove dunque fosse. Iniziammo una vera battuta di caccia in quella campagna fino a quando Massimo ci disse ridendo: “uajò, ma arò jate! Chesta e recchie non è ten chiù pa ce sentì”. Alla fine riuscimmo comunque a trovarla e andammo poi a casa sua a prepararla. Non ci venne benissimo, la mangiammo quasi cruda ma la soddisfazione del successo fu grande.

 

Massimo era tanto geniale quanto timido. Con le donne, spesso eri tu deputato a sondare per lui il terreno. Così è stato anche da bimbi con la sua prima fidanzatina?

Erano altri tempi, si era seri. Certe cose non si pensavano. Le storie, le frequentazioni con le amichette, erano tanto brevi quanto piene di amore platonico. Per la sua prima fidanzatina, dovrei raccontarti una bella storia che però richiederebbe molto tempo. Voglio invece, anche qui, raccontarti della sua genialità. Di come escogitò un modo per “frequentare” le nostre amichette.

Massimo arrivò a disegnare per terra, nella mia campagna, il “gioco della settimana”. Era un gioco femminile che consisteva nel lanciare per terra una pietra, per poi spingerla e portarla avanti nello schema del disegno ed andare ancora avanti, saltellando. Tutto questo, a quei tempi, solo per riuscire a vedere un po’ la coscia delle amichette.

Quando ha capito di avere la passione per la recitazione?

La sua storia con la recitazione e lo spettacolo in generale, è nata davvero per caso, per una combinazione. Entrando nella chiesa di Sant’Anna, nella via omonima, si trovò a sostituire un ragazzo in una recita. Era una particina forse di un minuto che Massimo invece fece durare una ventina proprio per il suo modo di parlare e gesticolare. La sua stessa timidezza, l’imbarazzo e le difficoltà che manifestava, lo portavano ad essere un vero e proprio capolavoro. 

La cosa piacque fino al punto di partecipare ad una prima compagnia teatrale con la quale si fece anche la prima “trasferta” in un locale di Portici (comune vicino al nostro). La compagnia prima aumentò di numero e poi si andò assottigliando fino ad arrivare alla fatidica sostituzione di Mastelloni a San Galluccio a Napoli.

Gli spettacoli che faceva non portavano grande remunerazione ma era un modo per cercare di esprimersi ed esibirsi. Da li è nata poi tutta la storia della sua carriera. Era un percorso che sembrava già per lui designato. E’ stato abile ad inserirsi nel solco che la storia gli aveva preparato mostrando tutto ciò che è e quanto grande fosse il suo talento.

Quando è stata la volta che lo hai visto più felice e quella in cui gli hai asciugato invece le lacrime?

Asciugargli le lacrime è una cosa un po’ grossa da dire. Lui era felice sempre. Era un divertimento continuo con lui: dall’infanzia al teatro fino al cinema. La felicità era parte di lui, era parte di noi. Non ci si incontrava se non vi era poi un motivo su cui scherzare, ironizzare e dunque ridere. Forse c’era da asciugare le lacrime per le risate.

L’unico passaggio triste della sua vita era legato al fatto che aveva perso la mamma quando ancora era diciassettenne. Era la sua unica sofferenza che riusciva comunque a non mostrare.

Sei stato con lui fino alla fine. Eri li anche negli ultimi istanti della sua carriera e della sua vita

Le ultime tre battute del film Il Postino gliele ho dovute dire io. Le dovemmo registrare per poi inserirle, con il doppiaggio, nel film.  Lui dunque si rasserenò che nulla più c’era da dire e tutto si era concluso nel migliore dei modi. Ritornammo a casa della sorella per farlo riposare e passammo tutta la notte a giocare a “scopone” (classico gioco con le carte napoletane).  Nella tarda mattinata, subito dopo aver pranzato, è successo purtroppo quello che tutti sanno. Il cognato Giorgio, il nipote Lello ed io tentammo di tutto per cercare di riportarlo fra noi. Inutile dirti quanto i nostri cuore, in quegli istanti, si siano fermati con il suo…  E con questo, vorrei fermarmi poiché tutto diviene troppo pesante anche solo nel ricordo.  

 

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