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Cronache

Gemelli nati a due mesi di distanza, la mamma ha dovuto differire il parto rischiando la vita per far nascere Andrea

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Casi simili se ne contano pochi. Eppure una mamma  incinta di due gemelli è riuscita a partorirne solo uno, al settimo mese, rimandando la nascita del secondo di due mesi.
Sembra una storia incredibile e nello stesso tempo drammatica per le conseguenze che avrebbe potuto avere per la salute dei bimbi e della madre. E invece oggi siamo a raccontarla col sorridere i genitori. I due gemelli siano nati in anni diversi (24 dicembre 2018 e 22 febbraio 2019), da grandi potrebbero frequentare anni diversi a scuola. La signora Lucia è una libera professionista nel settore immobiliare. Suo marito, Sergio, lavora in banca e ha 40 anni come lei. Abitano a Lodi. “Ero felice – dice Lucia-. La mia gravidanza procedeva tranquilla”. Il problema arriva a metà dicembre.

Lucia ha delle perdite. È costretta ad un ricovero d’urgenza. Entra in terapia intensiva di terzo livello. Finisce al reparto di ostetricia dell’Ospedale San Gerardo di Monza. Dopo una settimana nasce Alessandro, a 24 settimane di gestazione. Pesa quasi 800 grammi e ha il cinquanta per cento di probabilità di sopravvivere. Il secondo gemello, Andrea, è ancora in utero. Sono attimi. La decisione da prendere in sala parto è drammatica: se Andrea resta nella pancia materna, aumenta le sue possibilità di vita. Ma c’è il rischio di emorragia della mamma. La mamma decide che Andrea è più importante del rischio emorragie. La sua speranza era di protrarre di almeno altri dieci giorni la gravidanza del secondo. Ogni giorno che passa è uno in più di vita per lui. Andrea è nato dopo sessanta giorni, nel 2019, di quasi tre chili. È già a casa. Alessandro invece è ancora in ospedale: dovrebbe uscire tra due settimane.
Papà Sergio dorme pochissimo e fa la spola tra l’ospedale e la banca dove lavora. D’accordo con la moglie ha affittato una casa a cinquanta metri dall’ospedale: “Tutto il giorno Lucia resta vicino ad Alessandro ma almeno la sera dorme in un letto e mangia in cucina”. Sorride. Pensa alla burocrazia con cui dovrà fare i conti. Racconta: “Quando è nato Alessandro all’anagrafe del comune mi hanno detto: “Scusi, dovremmo scrivere che è nato un gemello di due (gemelli) di cui uno ancora deve nascere?”. Non sapevano cosa mettere sul certificato di nascita”.

Un caso analogo a quello di Lodi si è verificato a Colonia.  Due bambine (nella foto in evidenza). La sorella Leonie è rimasta nel grembo materno per altri 97 giorni. La prima, Liana, è nata il 17 novembre 2018 e l’altra il 22 febbraio 2019, ma loro sono sorelle gemelle. È un evento straordinario quello avvenuto in Germania a Colonia. Infatti è lo stesso ospedale, Colonia Holweide che annuncia la nascita di Liana e Leonie la nascita in clinica a 97 giorni di distanza, l’una dall’altra. Le piccoline sono perfettamente in salute e i genitori, Oxana e Alexander sono molto felici. Una nascita gemellare in due fasi è molto rara in tutto il mondo. Ha fatto sapere una portavoce delle cliniche della città di Colonia. Questo è stato reso possibile perché Liana è nata prematura dopo 26 settimane e 5 giorni, infatti al momento del parto pesava solamente 900 grammi.

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Neonati morti, la difesa di Chiara fa ricorso in Cassazione

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Il difensore di Chiara Petrolini, avvocato Nicola Tria, ha depositato il ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale del Riesame di Bologna che il 17 ottobre ha disposto la custodia cautelare in carcere per la 21enne di Traversetolo, con ordinanza depositata il 30 novembre. La giovane è accusata da Procura e carabinieri di Parma di omicidio e soppressione di cadavere in relazione al ritrovamento dei corpi di due neonati, da lei partoriti a poco più di un anno di distanza, maggio 2023 e agosto 2024, al termine di gravidanze di cui nessuno aveva saputo nulla, né familiari né fidanzato. Il Gip del tribunale di Parma il 20 settembre aveva applicato gli arresti domiciliari, la Procura aveva fatto appello e quindi si è pronunciato il Riesame, segnalando il rischio di reiterazione e l’insufficienza della custodia cautelare a casa coi genitori, ma l’esecuzione della misura in carcere rimane sospesa fino alla pronuncia della Cassazione.

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Turismo nel mirino delle mafie, giro affari 3,3 miliardi

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Eventi internazionali come il Giubileo 2025 e le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Ma anche più semplicemente un periodo di difficoltà o dei debiti da saldare. O al contrario una nuova apertura e un inizio promettente. Sono queste le cose grandi e piccole che fanno gola alle mafie e amplificano il rischio di infiltrazioni in un settore vitale, ramificato e dal grande indotto come quello del turismo. Emerge da uno studio realizzato da Demoskopika  che quantifica in 3,3 miliardi di euro, il giro d’affari della criminalità organizzata italiana derivante dall’infiltrazione nell’economia legale del settore turistico del Belpaese di cui quasi 1,5 miliardi concentrato nelle realtà del Nord.

Assoluto primato della ‘ndrangheta con un giro d’affari di 1 miliardo 650 milioni (50% degli introiti totali), poi camorra a 950 milioni (28,8%), mafia a 400 milioni (12,1%) e criminalità organizzata pugliese e lucana con 300 milioni di euro (9,1%). Secondo Demoskopika che utilizzato una serie di dati rilevati da alcune fonti ufficiali o autorevoli: Unioncamere, Direzione Investigativa Antimafia, Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Istat, Cerved e Banca d’Italia si tratta di un’attività sempre più pervasiva di controllo del territorio che metterebbe a rischio quasi 7mila imprese attive pari al 14,2% su un totale di oltre 48mila realtà a “rischio default”, maggiormente fiaccate da crisi di liquidità e indebitamento e, dunque, più vulnerabili al “welfare criminale” delle mafie che dispongono, al contrario, di ingenti risorse finanziarie pronte per essere “ripulite”.

Ben 307, inoltre, gli alberghi e i ristoranti confiscati ad oggi, di cui quasi il 60% nei territori tradizionalmente caratterizzati da un maggiore radicamento della criminalità organizzata. Osservando il livello territoriale emerge che nelle realtà del Mezzogiorno si concentrerebbe il 33,6% degli introiti criminali, pari a 1 miliardo 108 milioni di euro. A seguire il Nord Ovest con 927 milioni di euro (28,1%), il Centro con 715 milioni di euro (21,7%) e il Nord Est con 550 milioni di euro (16,7%). Sono 9 i sistemi turistici regionali a presentare i rischi più elevati di infiltrazione criminale nel tessuto economico, dove si concentra quasi ben il 75% del giro d’affari dei proventi illegali: Campania (380 milioni di euro), Lombardia (560 milioni di euro), Lazio (430 milioni di euro), Puglia (200 milioni di euro), Sicilia (190 milioni di euro). E, ancora, Liguria (90 milioni di euro), Emilia Romagna (230 milioni di euro), Piemonte (260 milioni di euro) e, infine, Calabria (125 milioni di euro).

A pesare sul primato negativo della Campania, che ha totalizzato il massimo del punteggio (122,0 punti), i 67 alberghi e ristoranti confiscati, pari al 21,8% sul totale delle strutture turistiche confiscate dalle autorità competenti, le quasi 2mila richieste di avvio di istruttorie antimafia connesse al Pnrr, i 155 provvedimenti interdittivi antimafia emessi dagli Uffici Territoriali del Governo, nell’intero anno 2023, a seguito degli approfondimenti svolti dalle articolazioni della Dia e, infine, le quasi 16mila operazioni finanziarie sospette comprendenti anche le SOS a rischio criminalità organizzata. “Il turismo italiano – spiega il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio – è sotto attacco. Oltre 7mila aziende vulnerabili rischiano di diventare ghiotta preda dei sodalizi criminali, con la ‘ndrangheta, Cosa Nostra, camorra, criminalità pugliese e lucana che si infiltrano nei settori dell’ospitalità, dalla ricettività alberghiera alla ristorazione passando per l’intermediazione. Debiti erariali, prestanome legati ai clan e una fragilità imprenditoriale sempre più diffusa creano le condizioni ideali per un controllo mafioso”

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Suicida a 21 anni, la procura di Torino indaga sulla sua morte: sedici persone indagate

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È giallo a Torino sulla morte di una donna di 21 anni, di origini albanesi, trovata senza vita nel marzo del 2021 in un alloggio alla periferia della città. La storia della ragazza, Sonila il suo nome, sfruttata da un gruppo anch’esso albanese che gestiva un giro di prostituzione nel capoluogo piemontese, è emersa dopo l’operazione della squadra mobile di Torino, denominata Mariposa, che la scorsa settimana ha portato a cinque misure cautelari per reati che vanno dalla rapina al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sedici le persone indagate.

Per la procura di Torino, come riportato dal quotidiano La Stampa, la ragazza potrebbe essere stata indotta al suicidio. Le indagini sono coordinate dalla pm Valentina Sellaroli. L’operazione che ha portato allo smantellamento della rete ha avuto origine nel maggio 2022 da una rapina ai danni di una prostituta albanese. Le indagini hanno rivelato un sistema criminale che coinvolgeva giovani donne costrette a prostituirsi in zone specifiche della città come Barriera Nizza e Madonna di Campagna. Le vittime, tutte di nazionalità albanese, secondo quanto ricostruito, subivano continue vessazioni fisiche e psicologiche. Le donne erano obbligate a consegnare l’intero guadagno ai propri sfruttatori e versavano in condizioni di totale assoggettamento, mantenuto anche attraverso legami sentimentali manipolatori. Tra di queste c’era Sonila, trovata morta nel bagno di un piccolo alloggio in cui viveva con il compagno – oggi tra gli indagati – e il suo bimbo di due anni.

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