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Esteri

Gaza dopo il ritiro israeliano: controllo, clan e il nodo dei tunnel nella fase due del piano Trump

Dopo il ritiro israeliano, Hamas torna visibile nelle strade della Striscia e cerca di ristabilire il controllo. Tra scontri tra clan, tunnel da distruggere e diplomazia incerta, la fase due del piano Trump entra nel vivo.

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Con il parziale ritiro delle truppe israeliane, Hamas è tornato a occupare spazi visibili nella Striscia di Gaza, riemergendo dalle gallerie e dalle aree civili dove si era nascosto durante i combattimenti.
Secondo fonti internazionali, diverse pattuglie di miliziani sono comparse in più località con l’obiettivo di mantenere l’ordine, catturare gruppi rivali e impedire il caos. La BBC ha riferito di circa settemila uomini mobilitati e della nomina di cinque responsabili territoriali, dati poi smentiti dal movimento islamista, che tuttavia non ha negato la presenza di proprie forze sul campo.
Un funzionario vicino al tavolo negoziale ha riferito all’AFP che Hamas «non parteciperà formalmente alla transizione, ma resta parte integrante della realtà di Gaza».

Scontri tra clan e difficoltà nella distribuzione degli aiuti

L’afflusso di centinaia di camion di aiuti umanitari ha evidenziato la precarietà del territorio, dove la distribuzione di viveri e medicinali avviene in un contesto di forte tensione.
Alcuni convogli sono stati depredati e in diverse aree, da Khan Younis a Rafah, fino a Gaza City, si sono registrati scontri tra clan locali e gruppi armati, con vittime e arresti.
Nel quartiere di Sabra, a Gaza City, la famiglia Doghmush è accusata di omicidi e furti di materiali, e alcuni affiliati sarebbero stati giustiziati pubblicamente. La mappa del potere interno alla Striscia appare sempre più frammentata, segno di una fase di forte instabilità.

Il nodo dei tunnel e la posizione di Israele

Tra le priorità resta la distruzione dei tunnel sotterranei di Hamas, infrastrutture strategiche utilizzate per il contrabbando e le operazioni militari.
Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato che devono essere «eliminati direttamente dalle forze di difesa israeliane o attraverso un meccanismo internazionale sotto supervisione americana».
La sfida è complessa: i tunnel sono numerosi, nascosti e spesso minati. La loro neutralizzazione richiede tecnologie avanzate, volontà politica e il consenso internazionale.

La diplomazia di Sharm el Sheikh e la forza di stabilizzazione

Il vertice di Sharm el Sheikh, convocato per consolidare la tregua e definire la “fase due” del piano Trump, mira a creare un quadro operativo per la stabilizzazione di Gaza.
L’Egitto ha proposto l’invio di 5.000 agenti palestinesi, formati insieme alla Giordania, sotto il coordinamento di un contingente multinazionale approvato dall’Onu.
Resta incerto il mandato effettivo di queste forze, mentre si susseguono dichiarazioni contrastanti da parte di Israele, Hamas e dei mediatori regionali.

L’incognita della stabilità

Sul terreno la situazione rimane fragile: il controllo di Hamas, la distribuzione degli aiuti e la presenza dei tunnelcontinuano a rappresentare i principali ostacoli alla pace duratura.
Il vertice di Sharm el Sheikh è solo un passaggio politico, ma la stabilità della Striscia dipenderà da decisioni operative rapide e condivise.

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Bufera sulla BBC: Trump minaccia una causa da un miliardo per il montaggio manipolato di un discorso del 2021

Donald Trump accusa la BBC di aver manipolato un suo discorso del 2021 per farlo apparire come istigatore dell’assalto a Capitol Hill. Minacciata una causa da un miliardo di dollari contro l’emittente britannica.

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Scricchiola il modello BBC, per decenni sinonimo di servizio pubblico imparziale e autorevole.
La rete britannica è travolta da una bufera internazionale dopo che Donald Trump ha minacciato una causa da un miliardo di dollari accusandola di aver manipolato un suo discorso del 2021, per farlo apparire come incitamento diretto all’assalto di Capitol Hill.


La ricostruzione del Wall Street Journal

Lo scandalo è esploso dopo che il Wall Street Journal ha rivelato che il programma investigativo Panorama avrebbe montato due passaggi separati di un discorso dell’allora presidente, alterandone il senso.
Un’operazione che, secondo i legali di Trump, ha contribuito a diffondere un’immagine falsata e diffamatoria dell’ex presidente, “tentando di interferire con il processo elettorale”.

La Casa Bianca, attraverso i legali di Trump, ha inviato alla BBC una lettera di ultimatum, chiedendo entro il 14 novembre una rettifica pubblica, un mea culpa televisivo e un risarcimento economico adeguato. In caso contrario, si procederà con un’azione legale “non inferiore a un miliardo di dollari”.


Le dimissioni dei vertici e le scuse ufficiali

Nonostante le scuse ufficiali del presidente del cda Samir Shah, che ha definito l’episodio “un grave errore di valutazione”, la Casa Bianca non ritiene chiusa la vicenda.
Nel frattempo, sono arrivate le dimissioni del direttore generale Tim Davie e della ceo di BBC News, Deborah Turness, entrambi travolti dalle polemiche.

Ma le scuse e le dimissioni non bastano a Washington, dove Trump continua ad accusare la BBC di “corruzione giornalistica” e di aver influenzato l’opinione pubblica internazionale contro di lui.


Le reazioni politiche nel Regno Unito

La crisi ha messo in imbarazzo il governo laburista di Keir Starmer, costretto a difendere la BBC pur riconoscendo la “gravità dell’errore”.
Una portavoce di Downing Street ha sottolineato che la tv pubblica “deve agire per riconquistare la fiduciadell’opinione pubblica” ma ha anche ribadito l’importanza di “un servizio pubblico forte e indipendente in un’epoca di disinformazione globale”.

Nel frattempo, la destra britannica — dal Daily Telegraph ai leader Tory come Kemi Badenoch, fino al populista Nigel Farage — ha colto l’occasione per attaccare la BBC e mettere in discussione il canone radiotelevisivo.
Farage, vicino a Trump, ha dichiarato che l’emittente “ha offeso il leader del mondo libero”, dopo averlo sentito personalmente al telefono.


Accuse incrociate e ombre internazionali

La vicenda si intreccia con altre accuse sulla copertura dei conflitti internazionali, in particolare sulla guerra a Gaza.
Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu ha accusato la BBC di diffondere notizie “inquinate da Hamas”, mentre gruppi pacifisti e pro-palestinesi denunciano invece un controllo filo-israeliano sul desk mediorientale.


Un colpo durissimo alla credibilità della BBC

Il caso rischia di diventare un precedente storico per il servizio pubblico britannico, minando la reputazione di imparzialità costruita in oltre un secolo di attività.
In un contesto di crescente polarizzazione e sfiducia nei media, la BBC si trova ora davanti a una doppia sfida: difendere la propria indipendenza e ricostruire la fiducia del pubblico globale, mentre la pressione politica e giudiziaria aumenta da Londra a Washington.

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Trump concede la grazia preventiva a Giuliani e ai fedelissimi: “Grave ingiustizia nazionale”

Donald Trump concede la grazia preventiva a Rudy Giuliani e a decine di suoi alleati coinvolti nei tentativi di ribaltare le elezioni del 2020, definendoli “grandi americani”.

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Nuovo colpo di spugna di Donald Trump sui tentativi di ribaltare l’esito delle presidenziali del 2020, culminati nell’assalto al Campidoglio da parte dei suoi sostenitori.
Dopo aver già graziato o commutato le pene a oltre 1.500 persone coinvolte nell’attacco del 6 gennaio, il presidente ha firmato una grazia preventiva per il suo ex avvocato personale Rudy Giuliani e per una settantina di alleati e consiglieri, definendola una misura “necessaria per correggere una grave ingiustizia nazionale”.


Nella lista anche Meadows, Eastman e Powell

Tra i beneficiari figurano Mark Meadows, ex capo dello staff della Casa Bianca, Boris Epshteyn, ex alto consigliere presidenziale, e gli avvocati John Eastman e Sidney Powell, principali artefici della strategia per bloccare la certificazione della vittoria di Joe Biden al Congresso.
Nell’elenco compaiono anche funzionari statali accusati di aver presentato liste di falsi elettori per sostenere che Trump avesse vinto in Stati in realtà conquistati dai democratici.

A rendere pubblica la copia del provvedimento è stato Ed Martin, avvocato vicino ai rivoltosi del 6 gennaio e sostenitore di lunga data dell’ex presidente.


Una grazia “piena, completa e incondizionata”

Secondo la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, i destinatari del provvedimento sono “grandi americani” perseguitati da un’“amministrazione Biden che ha fatto loro vivere l’inferno per aver contestato un’elezione”.
La grazia è “piena, completa e incondizionata”, intesa a proteggerli da future accuse federali ancora non formalizzate, ma non li mette al riparo da inchieste statali, come quelle ancora pendenti in Arizona, dove risultano imputati Giuliani, Meadows, Epshteyn ed Eastman.

I quattro erano stati indicati come co-cospiratori non incriminati nel caso federale aperto nel 2023 dal procuratore speciale Jack Smith, poi archiviato dopo la rielezione di Trump.


Giuliani, da “sindaco d’America” a graziato

Figura centrale nei tentativi di invalidare i risultati elettorali, Giuliani aveva viaggiato in diversi Stati sostenendo la tesi delle elezioni “rubate” a Trump.
La sua parabola è stata rovinosa: radiato dall’albo degli avvocati di New York, condannato a pagare 148 milioni di dollari per aver diffamato due scrutatrici in Georgia e costretto a patteggiare con Dominion Voting Systems per aver diffuso accuse false sul presunto voto manipolato.

Nonostante tutto, per Trump resta uno dei suoi “great Americans”, degni di grazia e di riabilitazione politica.


Una mossa dal sapore politico

Con questo nuovo atto, Trump continua a riscrivere la narrazione del 6 gennaio, insistendo sulla teoria — più volte smentita — secondo cui il voto del 2020 sarebbe stato truccato.
Una mossa che rafforza la sua immagine di “vendicatore dei patrioti” tra i suoi sostenitori e che potrebbe pesare sui rapporti con l’opposizione e con la magistratura statale, dove diversi procedimenti restano ancora aperti.

La grazia preventiva, precisano i legali della Casa Bianca, non include lo stesso Trump, anche se molti osservatori la considerano un atto autoassolutorio, volto a blindare il suo cerchio politico e a riscrivere, ancora una volta, la storia del Capitol Hill.

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Sabotaggio Nord Stream, la polizia tedesca accusa un’unità ucraina: “Operazione diretta dal generale Zaluzhny”

Secondo la polizia tedesca il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream fu compiuto da un’unità militare ucraina sotto la supervisione del generale Zaluzhny. L’inchiesta rischia di incrinare il sostegno occidentale a Kiev.

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Secondo una nuova ricostruzione del Wall Street Journal, la clamorosa operazione di sabotaggio ai gasdotti Nord Stream del 2022 sarebbe stata condotta da un’unità militare ucraina d’élite sotto la diretta supervisione dell’allora comandante in capo Valeriy Zaluzhny.
L’obiettivo dell’attacco, secondo la polizia tedesca, sarebbe stato quello di ridurre le entrate energetiche di Mosca e interrompere i legami economici con Berlino.

L’inchiesta riaccende uno dei capitoli più oscuri della guerra in Ucraina, scoppiata nel febbraio 2022, e punta il dito verso le più alte sfere militari di Kiev, coinvolgendo il generale che divenne eroe nazionale per aver difeso la capitale nei primi giorni dell’invasione russa.


L’attacco del 2022 e l’inchiesta tedesca

Il sabotaggio ai gasdotti Nord Stream — definito dal Wall Street Journalil più grande della storia moderna” — avvenne nel settembre 2022, sei mesi dopo l’inizio del conflitto.
Dopo anni di indagini e scambi di accuse tra Mosca e Kiev, le autorità tedesche hanno spiccato mandati d’arresto per tre militari di un’unità speciale ucraina e quattro sommozzatori.

Il presunto coordinatore dell’operazione, Serhii Kuznietsov, è stato arrestato in Italia ed è in attesa di estradizione in Germania. Secondo l’accusa, si sarebbe imbarcato da Rostock su uno yacht a vela per piazzare gli esplosivi sotto i gasdotti.
Kuznietsov nega ogni responsabilità, ma gli inquirenti tedeschi sostengono che il blitz non fu un’iniziativa isolata, bensì una missione coordinata direttamente da Kiev.


Zaluzhny, l’eroe di Kiev ora sotto accusa

La ricostruzione del Wall Street Journal indica che la regia dell’operazione porterebbe fino al generale Valeriy Zaluzhny, all’epoca a capo delle forze armate ucraine.
Zaluzhny, celebrato come l’artefice della difesa di Kiev e delle controffensive del 2022, fu poi rimosso da Volodymyr Zelensky due anni dopo, anche per la sua crescente popolarità.
Attualmente ambasciatore a Londra, non ha escluso una futura candidatura alla presidenza una volta terminata la guerra.

L’indagine tedesca, osserva il Journal, rischia di incrinare il sostegno occidentale all’Ucraina, soprattutto in Germania, dove l’estrema destra dell’AfD sta cavalcando il malcontento per il caro energia e chiede di tagliare gli aiuti a Kiev.


La guerra continua e Mattarella convoca il Consiglio di Difesa

Mentre le indagini scuotono la scena diplomatica, la guerra in Ucraina resta drammatica.
Il nuovo comandante in capo, Oleksandr Syrsky, ha confermato al New York Post che la situazione nel Donbass è “tesa”, con le forze russe che stanno concentrando uomini e mezzi per conquistare il Donetsk.

Anche in Italia la crisi sarà al centro dell’agenda istituzionale: il presidente Sergio Mattarella ha convocato per il 17 novembre il Consiglio supremo di difesa, per discutere l’evoluzione dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente e le minacce ibride che potrebbero avere ripercussioni sulla sicurezza europea e italiana.


L’inchiesta sul sabotaggio del Nord Stream, se confermata, rischia di aprire un fronte politico e diplomatico inedito: quello che vede Kiev da protagonista di un’azione militare clandestina contro Mosca, ma con conseguenze che oggi si abbattono anche sui rapporti con i suoi principali alleati occidentali.

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