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Garlasco, nuova udienza sull’omicidio Poggi: il Dna trovato sulle unghie è ancora utilizzabile dopo 18 anni?

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Si è aperta oggi una nuova fase giudiziaria nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007 nella sua abitazione di via Pascoli a Garlasco. L’udienza si è svolta nell’ambito dell’incidente probatorio disposto dal Gip Daniela Garlaschelli su richiesta della Procura di Pavia, per verificare la tenuta nel tempo di una prova centrale: il Dna rinvenuto sotto le unghie della vittima.

Il quesito chiave: il Dna è ancora idoneo alla comparazione?

Al centro dell’indagine vi è la possibilità che quelle tracce genetiche, risalenti a 18 anni fa, siano oggi ancora comparabili. Solo una risposta affermativa potrà legittimare un eventuale confronto con il profilo di Andrea Sempio, oggi 37enne, recentemente iscritto nel registro degli indagati, e con quello di altri frequentatori maschi della villetta della famiglia Poggi. All’attenzione anche un secondo profilo maschile, meno definito, la cui origine resta da chiarire.

Altro tema cruciale riguarda le impronte digitali rilevate sulla scena del crimine, e l’eventuale presenza di materiale biologico (come sudore o sangue) conservato dalle strisce adesive usate per acquisirle.

Il nuovo perito e la svolta processuale

Il nuovo incarico è stato affidato alla genetista Denise Albani, in servizio alla Polizia Scientifica dal 2016, subentrata a Emiliano Giardina, il precedente esperto escluso per incompatibilità dopo un’intervista rilasciata nel 2017 alla trasmissione Le Iene. Albani dovrà rivalutare i risultati ottenuti nel 2014 dal genetista Francesco De Stefano, che aveva ritenuto le tracce inutilizzabili sia per un confronto con Alberto Stasi — condannato in via definitiva a 16 anni nel 2015 — sia con altri soggetti. Ma quella tesi è stata smentita da una nuova consulenza disposta dalla Procura nel febbraio scorso, affidata ai genetisti Carlo Previderé e Pierangela Grignani, già coinvolti nel caso Yara Gambirasio.

L’incidente probatorio e le parti coinvolte

La formula dell’incidente probatorio, richiesta dal procuratore Fabio Napoleone, dall’aggiunto Stefano Civardi e dalla pm Valentina De Stefano (da ieri affiancata dalla collega Giuliana Rizza), ha valore di prova anticipata e potrà essere utilizzata in un eventuale futuro processo. Saranno presenti anche i consulenti delle parti, inclusa la difesa di Alberto Stasi. Per Andrea Sempio, gli avvocati Angela Taccia e Massimo Lovati hanno nominato il generale Luciano Garofano, già comandante dei RIS. L’analisi delle impronte è invece affidata al perito Domenico Marchigiani, della scientifica di Milano.

Le perquisizioni e il contesto

Dopo le perquisizioni effettuate la scorsa settimana a casa di Sempio, dei suoi genitori e di due amici, gli inquirenti hanno ispezionato un canale a Tromello, dove — su indicazione di un testimone — sono stati sequestrati oggetti metallici, tra cui un martello. A compiere il presunto gesto sarebbe stata Stefania Cappa, che però non è indagata. Né lei né la sorella Paola, spesso citate come le «gemelle K», risultano destinatarie di provvedimenti giudiziari.

I messaggi vocali e la questione mediatica

Secondo quanto riportato dal settimanale Giallo, sarebbero stati diffusi presunti messaggi vocali attribuiti a Paola Cappa, nei quali la giovane avrebbe dichiarato: «Mi sa che abbiamo incastrato Stasi». I messaggi, raccolti da un blogger in passato vicino a Fabrizio Corona, non sono mai stati depositati agli atti né ascoltati ufficialmente dagli inquirenti.

Il riferimento, secondo la ricostruzione, sarebbe legato a un momento intercettato e videoregistrato nel 2007, durante il quale Alberto Stasi e Stefania Cappa si abbracciano in una sala della caserma, e la ragazza gli pone domande che — sostiene — le sarebbero state suggerite dai carabinieri, nel tentativo di verificarne l’attendibilità.

Il garantismo prima di tutto

In questa delicata fase istruttoria, tutte le persone coinvolte sono da ritenersi non colpevoli fino a sentenza definitiva, come prevede il principio costituzionale della presunzione di innocenza. L’inchiesta — ancora in corso — si sta muovendo secondo le regole del giusto processo, con particolare attenzione alla veridicità, pertinenza e continenza dell’informazione.

In attesa delle prime conclusioni scientifiche, il caso Garlasco resta una delle vicende giudiziarie più complesse degli ultimi decenni, dove solo la paziente e rigorosa attività istruttoria potrà fare chiarezza su una vicenda che ancora oggi divide l’opinione pubblica.

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La piccola orsa trovata in Molise ha completato lo svezzamento

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L’orsetta Nina, trovata a maggio da sola nei pressi di Pizzone (Isernia) è stata trasferita in un ambiente più simile alle condizioni naturali in cui dovrà vivere una volta libera. Lo ha reso noto il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con un post sui canali social. “Nina era stata trovata nei pressi di Pizzone (Isernia) all’inizio di maggio – si legge nel post – allevata con l’obiettivo di essere reintrodotta in natura non appena le condizioni lo permetteranno. Sabato scorso, i tecnici del Parco, biologi e veterinari, hanno provveduto a trasferire Nina in una nuova struttura.

L’orsetta ha completato con successo lo svezzamento, seguendo il protocollo sviluppato con il supporto di esperti internazionali, sia europei sia nordamericani. Ora può vivere in un ambiente più adatto alle sue esigenze attuali, molto più simile a ciò che incontrerà una volta tornata libera. Si tratta di un ampio recinto immerso nella natura, dove potrà continuare a crescere e prendere peso”. Nel post si ricorda anche che il nome dato all’orsetta “è stato selezionato dopo il concorso lanciato in occasione della seconda edizione della giornata dedicata all’orsa Amarena. Abbiamo deciso di accogliere la proposta degli studenti dell’Istituto Comprensivo “Gesuè” di San Felice a Cancello (Caserta), che hanno suggerito proprio il nome Nina”.

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Omicidio Giulia Tramontano, legali di Impagnatiello: nessun agguato, fu un errore dettato dal narcisismo

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Non un agguato pianificato, ma un delitto “maldestro”, frutto di “errori” e di una personalità narcisistica incapace di sopportare il crollo della propria immagine. È questa la linea della difesa di Alessandro Impagnatiello, l’ex barista dell’Armani Café condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, assassinata a Senago il 27 maggio 2023.

Mercoledì si apre il processo d’appello davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano. L’avvocata Giulia Geradini, che difende l’imputato, chiederà di riformare la sentenza di primo grado, sostenendo che l’omicidio non fu premeditato ma la conseguenza tragica di una relazione doppia che Impagnatiello “avrebbe voluto interrompere”, ma che non è riuscito a gestire, sopraffatto dalla necessità di preservare un’immagine pubblica costruita con cura.

Le richieste della difesa: escludere le aggravanti

La difesa punta a escludere le aggravanti della premeditazione e della crudeltà, non riconosciute dal gip Angela Laura Minerva già nella convalida del fermo, e chiederà il riconoscimento delle attenuanti generiche. Se accolte, queste richieste potrebbero ridurre la condanna a 30 anni.

Secondo l’avvocata, non ci sarebbe “alcuna prova” di un omicidio studiato nei dettagli: la dinamica sarebbe invece “grossolana e maldestra”, come dimostrerebbe il modo in cui Impagnatiello ha cercato di disfarsi del cadavere — bruciandolo con alcol e benzina — e di simulare la scomparsa della 29enne per quattro giorni, spostandone il corpo tra il box, la cantina e l’auto prima di abbandonarlo in un’intercapedine.

L’accusa: 37 coltellate e un corpo dato alle fiamme

La ricostruzione fatta dalla Corte in primo grado parla di 37 coltellate inferte tra le 19.05 e le 19.30 del 27 maggio. Un gesto di violenza estrema, seguito dal tentativo di cancellare ogni traccia, mentre il corpo della giovane, scopertasi poco prima tradita da una collega del compagno, veniva occultato per giorni.

A sostenere l’accusa in aula sarà la sostituta procuratrice generale Maria Pia Gualtieri, che si opporrà alla richiesta della difesa e chiederà la conferma dell’ergastolo.

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Attentati a commissariato e caserma CC per vendetta, un arresto

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Arrestato il presunto autore degli attentati incendiari avvenuti a febbraio scorso nelle sedi della compagnia carabinieri di Castel Gandolfo e del commissariato di polizia di Albano Laziale, vicino Roma. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Frascati, del ROS, e gli agenti della Digos di Roma hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Velletri su richiesta della Procura, nei confronti di un 34enne di origine egiziana, regolare sul territorio nazionale e con precedenti di polizia. E’ accusato di strage politica, ovvero commessa allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato. Il movente sarebbe legato a un rancore profondo e persistente nei confronti delle forze dell’ordine locali, maturato nell’ambito di vicende personali.

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