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Cronache

Gaenswein, ‘il George Clooney del Vaticano’ sempre più lontano da Papa Francesco

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Monsignor GeorgGaenswein da qualche giorno e’ sparito dagli impegni pubblici con Papa Francesco. Anche questa mattina non sedeva, come di consueto, accanto al pontefice nell’udienza generale in Aula Paolo VI. Lo stesso e’ accaduto con le ultime udienze private nel Palazzo apostolico dove la presenza fissa della Casa pontificia non era quella del Prefetto ma del Reggente, monsignor Leonardo Sapienza. Si tratta di “una ordinaria ridistribuzione dei vari impegni e funzioni del Prefetto della Casa Pontificia che ricopre anche il ruolo di segretario particolare del Papa emerito”, ha spiegato il direttore della sala stampa vaticana, Matteo Bruni, dopo le indiscrezioni della stampa tedesca che riferivano di un “congedo” a tempo illimitato; in altre parole il Prefetto mantiene la sua carica ma avra’ piu’ tempo per dedicarsi al Papa emerito, e per questo da una ventina di giorni non e’ piu’ “l’ombra” di Francesco negli eventi pubblici. “Nessun congedo”, precisano dal Vaticano rimarcando che la decisione risponde alla volonta’ di ricalibrare gli impegni del monsignore tedesco, diviso sui due fronti, l’agenda di Papa Francesco al Palazzo Apostolico e l’assistenza a Joseph Ratzinger al Monastero Mater Ecclesiae. Le voci sulle possibili motivazioni di questa decisione di Papa Francesco impazzano ma e’ evidente che lo ‘scivolone’ della firme del Papa emerito al libro con il cardinale Robert Sarah, esponente dell’ala piu’ conservatrice, sembra pesare come un macigno. Gaenswein provo’ a far cancellare quella coabitazione, almeno sulle copertine dei libri, ma senza successo. Ma c’e’ anche chi fa aleggiare, in ambienti vaticani, l’ipotesi di un peggioramento delle condizioni di salute di Benedetto XVI; voce che ciclicamente viene messa in circolazione, soprattutto sui social, ma finora sempre smentita. Si parla anche di un possibile ritorno dei piccoli problemi di salute, una fastidiosa labirintite, dello stesso Gaenswein che gia’ tre anni fa lo avevano tenuto lontano dagli impegni al Palazzo Apostolico. Su tutto pero’ sembra prevalere la conferma che il ‘doppio’ ruolo del prelato tedesco sia vissuto in Vaticano con sempre maggiore difficolta’. Lo stesso Bergoglio, che di fatto ha gestito la sua agenda e i suoi appuntamenti senza tanti grandi filtri e soprattutto senza la storica figura del ‘segretario personale’, nello stile in cui questo ruolo e’ stato gestito da Gaenswein con Ratzinger e prima ancora dal card. Stanislaw Dziwisz con Wojtyla, ora sembra volere una sorta di riorganizzazione. La recente nomina come suo segretario personale dell’uruguayano padre Gonzalo Aemilius indicherebbe la volonta’ di avere uno staff piu’ ‘suo’. Che i rapporti tra Papa Francesco e mons. Gaenswein non fossero idilliaci e’ di dominio comune. Un anno fa il Papa tolse alla Prefettura della Casa pontificia la competenza sulla Cappella Sistina. La gestione economica e anche rumors su presunti maltrattamenti dei ‘cantores’ ebbero come conseguenza un Motu proprio, una sorta di ‘decreto legge’, per cui ora il capo del coro e’ l’Ufficio delle celebrazioni liturgiche. L’altra operazione editoriale ‘sfortunata’, quello che costo’ le dimissioni di mons. Dario Vigano’ da Prefetto della Comunicazione, aveva visto sempre un filtro da parte diGaenswein, anche in quel caso rivelatosi non efficace. Ma forse Papa Francesco non ha mai archiviato l’intervento del Prefetto della Casa Pontificia, nella prestigiosa Universita’ Gregoriana, nel quale sostenne, nel 2016, che in Vaticano c’e’ “un ministero allargato con un membro attivo e un membro contemplativo. E’ come se Benedetto XVI avesse fatto un passo ‘di lato'”, non indietro. Non due Papi, ma quasi. Ma chi è monsignor Georg Gaenswein?

La passione per il tennis e per i Pink Floyd, la giacca sportiva da sci ma anche la talare lunga. Il sorriso da copertina patinata, come quello che sfoderava su Vanity Fair, ma anche la rigorosita’ dei suoi interventi pubblici. E’ tutto questo monsignor Georg Gaenswein, Prefetto della Casa Pontificia, e dunque uno dei principali assistenti di Francesco, e allo stesso tempo segretario personale di Ratzinger. Quando nel 2005 arrivo’ al Palazzo Apostolico, per diventare l’ombra del neo eletto Papa Benedetto XVI, qualcuno lo defini’ ‘il George Clooney del Vaticano’ e Donatella Versace (RPT Versace) arrivo’ a dedicargli, un paio di anni dopo, una collezione uomo alle sfilate di moda di Milano. Un ruolo, quello del monsignore bello, che gli e’ stato sempre stretto e che ha cercato di far dimenticare proprio con la severita’ del suo rapportarsi in pubblico. Poche, per esempio, le interviste e quasi sempre con la stampa tedesca. Gaenswein nasce a Riedern am Wald, nell’arcidiocesi di Friburgo in Brisgovia, il 30 luglio 1956, primo dei cinque figli di Albert e Gertrud Gaenswein; il padre fabbro, la madre casalinga. Dopo la maturita’ studia teologia e diviene sacerdote a 28 anni; dopo una decina d’anni approda al suo primo incarico in Vaticano, prima alla Congregazione per il Culto divino, poi all’ex Sant’Uffizio, nel 1996, dove incontra Ratzinger con il quale comincia una collaborazione che va avanti da allora. Don Georg e’ stato anche docente di diritto canonico e dal 2013 vescovo. Nel 2012 attraverso’ la dolorosa vicenda di Vatileaks, arrivando a essere chiamato in tribunale come testimone per le infedelta’ del maggiordomo Paolo Gabriele. Silenzioso, spesso dietro le quinte, fedele braccio destro di Ratzinger, fini’ sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo quando disse, nel 2016, che Benedetto XVI era come una “candela” che si stava spegnendo piano piano. Poi corresse quella affermazione dicendo che, nella traduzione dal tedesco, era stato mal interpretato. Qualche volta ha parlato della rinuncia di Benedetto, confidando come anche per lui fu “uno choc”. Quando si e’ trovato nel doppio ruolo, diviso tra il Palazzo Apostolico, come Prefetto della Casa pontificia, e il Monastero Mater Ecclesia con Ratzinger, commento’: “Spero di poter rispondere a questa sfida e fare al meglio il mio lavoro sia per Papa Francesco che per Papa Benedetto XVI”. Una vita in Vaticano ma il cuore in Germania, anche se un vero e proprio ruolo ecclesiastico nel suo Paese non lo ha mai avuto. Con un occhio di riguardo per i suoi connazionali, il monsignore sportivo e’ anche una delle persone pubbliche che ha visitato Michael Schumacher, l’ex pilota di Formula 1, dopo il gravissimo incidente.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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Mattarella, storia ci chiede Ue che respinga aggressioni

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La storia, con le sue tensioni e gli inimmaginabili venti di guerra, ci chiede un’assunzione di responsabilità che fino a pochi anni fa era imprevedibile: deve sapersi dotare di istituzioni nuove e della capacità di rispondere alle aggressioni che già oggi minacciano i suoi confini. Sergio Mattarella appare sempre più preoccupato per i focolai di guerra che si moltiplicano – tutti vicini al vecchio Continente – ed ancora una volta si spende per stimolare l’Europa a svegliarsi. “Il momento storico che attraversiamo richiede – ha detto il presidente della Repubblica – che le istituzioni Europee assumano responsabilità e si dotino degli strumenti necessari per consentire all’Unione di continuare a rappresentare una realtà di stabilità e progresso, in grado di influenzare positivamente il contesto internazionale e di contrapporsi con efficacia a ogni tentazione autocratica e illiberale che fosse presente nel continente e alle politiche di aggressione contro altri Stati”. Il capo dello Stato ne ha parlato in Bulgaria, uno degli Stati al confine orientale dell’Unione che più è preoccupato per le minacce russe. Per questo Mattarella, nel brindisi alle cena offerta dal presidente bulgaro Rumen Radev offre un esempio forte paragonando la Ue all’Alleanza atlantica: “oggi la NATO sta confermando la lungimiranza di un’architettura di sicurezza immaginata in un’epoca ormai lontana, che si dimostra pienamente attuale.

L’Unione Europea deve saper manifestare analoga volontà politica”. Il presidente nei suoi colloqui politici ha parlato anche di flussi migratori che tanto preoccupano anche la Bulgaria: “La nuova intesa europea su asilo ed immigrazione supera Dublino e apre la porta di una collaborazione maggiore tra i Paesi europei per affrontare un fenomeno crescente che può essere governato con ordine e non in maniera scomposta come avviene oggi”. Sergio Mattarella ha quindi aperto al nuovo Patto dell’Europa sui migranti che effettivamente supera l’accordo di Dublino – l’ultima versione era stata siglata nel lontano 2013 – ma che tante polemiche aveva scatenato a Bruxelles con diversi partiti che, pur per motivi a volte opposti, hanno votato contro il testo. Ma il piatto forte dei colloqui con il presidente bulgaro Rumen Radev è stato l’Europa e la sicurezza continentale. Ed oggi il capo dello Stato ha ribadito quanto sia importante che l’Unione europea vada avanti nel processo d’integrazione ma è anche entrato nel merito parlando di un tema emergente che sta portando avanti per la Commissione Ue l’ex premier Draghi, la competitività. “Le scelte che la Ue dovrà compiere per essere più coesa – ha spiegato il capo dello Stato – sono scelte importanti per essere sempre più protagonista. Nel prossimo vertice Ue si parlerà di competitività, un elemento che consentirà opportunità maggiori per il futuro dei nostri giovani”.

Mattarella non ha mai citato il nome di Mario Draghi, ma le consonanze sono chiare. Proprio ieri l’ex premier aveva sottolineato l’urgenza di una maggiore e rapida integrazione con queste parole: “non abbiamo il lusso di poter rinviare le decisioni, per assicurare coerenza tra i diversi strumenti per rilanciare la competitività della Ue occorre un nuovo strumento strategico per coordinare le politiche economiche”. Nei suoi colloqui in Bulgaria il presidente ha ovviamente potuto confrontarsi sui principali dossier di crisi trovanodo piena sintonia nella leadership bulgara. Ne è emersa un’analisi molto preoccupata della crisi mediorientale tanto che Mattarella non ha nascosto che “il rischio che il conflitto si allarghi è drammaticamente presente”. Per questo i due presidenti hanno voluto ricordare che l’unica soluzione di lungo periodo rimane quella dei “due popoli due Stati”. Con Sofia infine cresce la collaborazione economica (l’anno scorso l’interscambio è stato di 7 miliardi) e si rafforza anche la cooperazione militare. “Abbiamo deciso di aumentare la sicurezza del fianco orientale della Nato e abbiamo progetti comuni nell’industria bellica”, ha confermato il presidente bulgaro Rumen Radev che ha lodato anche la grande collaborazione con l’Italia in ambito Nato per difendere i confini orientali dell’Europa.

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