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Economia

G7, pressing sui colossi del web che vogliono battere la criptomoneta Libra

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La moneta virtuale di Facebook mette in guardia i big del pianeta. Riuniti nel castello di Chantilly, a nord di Parigi, i ministri dell’Economia e delle Finanze dei Paesi del G7 (Francia, Italia, Usa, Gran Bretagna, Giappone, Canada e Germania) hanno raggiunto un “consenso” sulla “necessita’ di agire rapidamente” dinanzi a Libra, l’ultimo progetto del ‘genietto’ di internet ormai titolare del social network piu’ potente al mondo, Mark Zuckerberg. Ancora in alto mare, invece, il progetto di una ‘web tax’ comune sui giganti di internet (Gafa) recentemente approvata in modo unilaterale dalla Francia ed osteggiata dall’amministrazione Usa. Sempre oggi, la Commissione Ue ha deciso di aprire un’indagine per verificare se l’utilizzo, da parte di Amazon, dai dati dei dettaglianti indipendenti che vendono i loro prodotti attraverso la piattaforma del gigante dell’e-commerce viola le regole sulla concorrenza. “Dobbiamo assicurare che le piattaforme online – ha detto la commissaria Ue alla concorrenza Margarethe Vestager – non eliminino i benefici che il commercio elettronico offre ai consumatori attraverso comportamenti anti-competitivi”. Al termine della prima giornata di lavori a Chantilly, la presidenza francese del G7 ha invece annunciato che su Libra “abbiamo avuto una discussione molto costruttiva e dettagliata con un ampio consenso sul bisogno di agire rapidamente”. Tutti hanno espresso “preoccupazione” rispetto all’annunciato progetto di Facebook. Rivolgendosi ai cronisti a margine della riunione, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha annunciato che “questa preoccupazione si tradurra’ in un’azione di controllo” nonche’ in uno specifico “intervento” dei Paesi del G7. In mattinata, l’omologo francese e padrone di casa, Bruno Le Maire, aveva lanciato un chiaro avvertimento. “Nessuno puo’ accettare che multinazionali con oltre un miliardo di utenti si trasformino in Stati privati, dotandosi di un moneta capace di competere con valute sovrane”. Tra l’altro, il fedelissimo del presidente Emmanuel Macron ha evocato “rischi di riciclaggio o di lotta al finanziamento del terrorismo”. Se la necessita’ di intervenire su Libra riscuote il consenso del G7, l’altra grande priorita’, vale a dire la ‘Web tax’ invocata a gran voce dalla Francia sui colossi internet e’ ancora in alto mare. “Le trattative con gli Usa saranno “difficili, lo so. La posizione americana si e’ recentemente inasprita”, ha deplorato Le Maire, poco prima di ricevere a Chantilly l’omologo Usa Steven Mnuchin. Qualche giorno fa, il Parlamento di Parigi ha adottato la ‘Taxe Gafa’ scatenando la minaccia di ritorsioni da parte di Washington. Simili iniziative unilaterali sono allo studio anche in Gran Bretagna e Spagna, ma l’obiettivo finale resta chiaramente quello di un accordo idealmente al livello Ocse. Per Tria, il dumping fiscale si combatte con accordi “ovviamente internazionali, non nazionali”. Alla domanda sul perche’ Parigi avesse deciso nel frattempo di andare avanti da sola, Le Maire ha spiegato che non si puo’ “aspettare in eterno, la gente attende decisioni, non solo discussioni”. “Se alla fine abbiamo deciso di andare da soli – ha continuato – e’ solo per aprire la strada ad un compromesso internazionale”. Parigi punta a raggiungerlo, almeno per grandi linee entro il 2020. Ma la strada, al momento, sembra essere tutta in salita. Tra gli altri temi sul tavolo del G7 di Chantilly, che si chiudera’ domani, anche una tassa minima globale sulle societa’, la Finanza Verde e le ineguaglianze di genere.

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Economia

Sciopero nazionale dei lavoratori Ikea il 5 dicembre: “Premio di partecipazione una presa in giro”

I sindacati Filcams, Fisascat e Uiltucs annunciano uno sciopero nazionale dei lavoratori Ikea per il 5 dicembre contro il “premio di partecipazione irrisorio” e la rottura del contratto integrativo.

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Il 5 dicembre sarà sciopero nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori Ikea. La mobilitazione è stata proclamata da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs dopo quella che i sindacati definiscono “l’inutile presa in giro del premio di partecipazione 2025”.

Secondo le tre sigle, oltre il 50% dei negozi non riceverà alcun premio, mentre la restante parte percepirà importi irrisori, ben lontani dalle aspettative dei dipendenti.


I sindacati: “Migliaia di lavoratori senza riconoscimento”

Durante l’incontro del 6 novembre tra la dirigenza Ikea e le organizzazioni sindacali nazionali, sono stati illustrati i risultati del Premio di Partecipazione 2025.
«La fotografia emersa è sconcertante – spiegano i sindacati – migliaia di lavoratrici e lavoratori non vedranno riconosciuto il proprio impegno e la loro professionalità».

Le risposte dell’azienda, raccontano Filcams, Fisascat e Uiltucs, sono apparse «vaghe, contraddittorie e preoccupanti». Da un lato Ikea parla di un andamento “non negativo”, dall’altro di “mancato raggiungimento degli obiettivi”.


Le critiche al sistema premiante

I sindacati giudicano inaccettabile il sistema di calcolo del premio e respingono le spiegazioni della direzione aziendale, che attribuisce la mancata erogazione alle “distanze dei punti vendita dai centri urbani”, al “ridotto afflusso di clienti” e alla “concorrenza più agguerrita”.

“Sono giustificazioni deboli – scrivono i sindacati –. È la stessa Ikea ad aver scelto di aprire piccoli punti vendita urbani per avvicinarsi ai clienti. Ora ci chiediamo: perché non basta più? E quanto hanno inciso questi investimenti sui costi complessivi?”.

Le sigle denunciano anche la mancanza di risposte sui motivi della diminuzione di clientela: “Forse un problema di prezzi, marketing o rifornimenti. Tutto ancora senza spiegazioni”.


“Un doppio trattamento inaccettabile”

A rendere più tesa la situazione è anche la notizia di premi economici erogati ai dirigenti.
«Un doppio trattamento offensivo verso chi ogni giorno contribuisce al successo del marchio», denunciano i sindacati.

La proposta di riconoscere almeno un importo simbolico a tutti i dipendenti è stata respinta dall’azienda con un “no: non abbiamo risorse accantonate”.


La rottura del contratto integrativo e la protesta nazionale

La rottura del tavolo per il rinnovo del contratto integrativo ha spinto le sigle a proclamare lo stato di agitazione permanente e a confermare lo sciopero del 5 dicembre.

«Le lavoratrici e i lavoratori meritano rispetto e un riconoscimento vero, non un premio di carta», concludono Filcams, Fisascat e Uiltucs.

La protesta coinvolgerà i punti vendita e i magazzini Ikea di tutta Italia, con presidi e iniziative di solidarietà per chiedere un sistema di premialità più equo e trasparente.

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Economia

Stretta sugli statali morosi: dal 1° gennaio pignoramenti in busta paga per chi deve oltre 5mila euro al Fisco

Dal 1° gennaio scatta la stretta sui dipendenti pubblici con debiti fiscali superiori a 5mila euro: prevista una trattenuta fino al 14% dello stipendio. Protestano i sindacati.

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Dal 1° gennaio 2026 scatterà la stretta sui lavoratori pubblici che hanno debiti fiscali superiori a 5mila euro. Le amministrazioni dello Stato dovranno infatti verificare la posizione dei propri dipendenti con stipendi compresi tra 2.500 e 5mila euro, per individuare eventuali morosità nei confronti dell’Erario.

Finora i controlli venivano effettuati solo per pagamenti superiori a 5mila euro. Con la nuova norma – introdotta dall’articolo 144 del decreto legislativo n. 33 del 24 marzo 2025 – la platea si amplia e i tempi di intervento dell’Agenzia della riscossione si accorciano.


Trattenute fino al 14% dello stipendio

Per chi risulterà inadempiente, scatterà una trattenuta in busta paga pari a un settimo della retribuzione (circa il 14% del salario mensile) fino all’estinzione del debito. In pratica, un dipendente con 3.000 euro di stipendio vedrà trattenuti circa 210 euro al mese, mentre chi guadagna 4.000 euro ne perderà 280.

Per gli importi fino a 2.500 euro, il prelievo sarà pari a un decimo dello stipendio.


La protesta dei sindacati

Durissima la reazione della Uil Pa, che ha definito la misura “un attacco agli statali”. Secondo il sindacato, circa 180mila lavoratori pubblici rischiano di vedersi pignorare parte del salario.

“Lo Stato – denuncia la Uil Pa – si appresta a prelevare dai salari dei propri dipendenti che hanno debiti fiscali superiori a 5mila euro, mentre il resto dell’enorme montagna di crediti resta intoccato”.

La Uil cita i dati del Ministero dell’Economia: 22,8 milioni di contribuenti indebitati per un totale di 1.274 miliardi di euro non riscossi. Eppure la stretta, sostengono i sindacati, colpisce solo i lavoratori pubblici.


Obiettivo: recuperare 36 milioni di euro

Il governo punta a recuperare 36 milioni di euro nel 2026 grazie a queste nuove misure. L’intento dichiarato è rendere più efficace l’attività di riscossione, con procedure più rapide di pignoramento diretto delle somme dovute a titolo di stipendio o di indennità di servizio.

Non cambiano invece le regole per i fornitori della pubblica amministrazione, per i quali i controlli continueranno a scattare solo oltre i 5mila euro.


Come evitare la tagliola: sanare o aderire alla rottamazione

I dipendenti pubblici con cartelle non pagate hanno due vie per evitare il prelievo: regolarizzare i debiti o aderire alla “rottamazione quinquies” prevista dalla legge di Bilancio 2026.

Chi presenta domanda di adesione alla nuova definizione agevolata delle cartelle avrà la sospensione immediata delle procedure esecutive – compresi fermi, ipoteche e pignoramenti – e potrà sanare il debito in forma agevolata.

Le richieste dovranno essere inviate entro il 30 aprile 2026.

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Economia

Manovra, verso un compromesso sulla tassa per gli affitti brevi: possibile aliquota al 23%

Nella manovra economica si va verso un compromesso sulla tassa per gli affitti brevi: aliquota al 23% invece del 26%. Meloni e Giorgetti frenano le richieste dei partiti: “Le modifiche si fanno a saldi invariati”.

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Un compromesso al 23% per la tassa sugli affitti brevi. È questa la mediazione su cui si muove il governo dopo il braccio di ferro interno alla maggioranza. L’aliquota potrebbe quindi fermarsi a metà strada tra l’attuale 21% e il 26%previsto inizialmente dalla manovra.

Sul tavolo anche nuove richieste politiche, come più fondi all’editoria, dopo le proteste delle associazioni di categoria, e il rafforzamento delle misure per le forze dell’ordine. Ma Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti restano inflessibili: “I soldi sono questi, le modifiche si possono fare ma a saldi invariati”.


Vertice a Palazzo Chigi: Meloni frena le richieste dei partiti

Nella mattinata di ieri, Palazzo Chigi ha ospitato un nuovo vertice di maggioranza con Meloni, Giorgetti, Antonio Tajani, Maurizio Lupi e, in collegamento dalla Puglia, Matteo Salvini. La premier ha ascoltato le richieste dei leader:

  • Salvini ha rilanciato sulla rottamazione delle cartelle esattoriali e sulla sterilizzazione dell’aumento dell’età pensionabile;

  • Tajani ha chiesto più fondi per editoria e polizia;

  • Lupi ha insistito su sgravi per studenti e partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali.

Meloni e Giorgetti, però, hanno ribadito il principio della sostenibilità: “Le risorse sono limitate: per aggiungere qualcosa bisogna rinunciare a qualcos’altro”.


Affitti brevi, l’ipotesi del 23%

Sul nodo centrale della tassa sugli affitti brevi, Tajani e Salvini spingono per mantenere l’aliquota al 21%, mentre Lupi propone incentivi per gli affitti lunghi. Giorgetti, pur definendo “legittime” le richieste, punta su una soluzione intermedia al 23%, ricordando che la misura serve a contrastare la riduzione degli alloggi disponibili e a sostenere l’equilibrio del mercato immobiliare.


Gli altri nodi: dividendi, crediti fiscali e “pace fiscale”

Il ministro dell’Economia ha aperto anche alla possibilità di allentare la stretta sui dividendi e sulla compensazione dei crediti fiscali, ma ha chiuso alla proposta della Lega di ampliare ulteriormente la “pace fiscale” includendo anche i contribuenti destinatari di avvisi di accertamento.
Gli spazi sono limitati – ha spiegato Giorgetti –: la misura costa già quasi 10 miliardi in più anni”.


I prossimi passaggi

Nel frattempo, i ministeri hanno presentato circa 80 emendamenti e i parlamentari della maggioranza quasi 400, che dovranno essere ridotti entro il 18 novembre. In vista un nuovo summit di governo per trovare un equilibrio tra richieste politiche e vincoli di bilancio.

Un’ipotesi discussa durante il vertice, secondo fonti governative, riguarda anche una imposta sostitutiva al 12,5% per la rivalutazione dell’oro, pensata per far emergere il metallo non dichiarato e reperire risorse aggiuntive.

Ma per ora la linea della premier resta ferma: nessuno scostamento, nessun nuovo debito.
La manovra da 18,7 miliardi deve restare in equilibrio.

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