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Cronache

Frode su bonus fiscali in edilizia, sequestro da 1,3 miliardi: ci sono otto indagati

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Un sistema illecito che ha frodato il fisco per centinaia di milioni. Fatture per operazioni inesistenti per lavori edili emesse al fine di ottenere in modo illegittimo bonus fiscali anche quelli per rifare le facciate dei palazzi. E’ il sistema creato dalle otto persone indagate, anche per truffa, dalla Procura di Roma che oggi ha proceduto al sequestro della cifra monstre di 1 miliardo e 250 milioni di euro di crediti. “E’ come se avessero creato denaro falso”, spiega uno degli inquirenti che ha avviato gli accertamenti alla luce di alcune segnalazioni giunte dall’Agenzia delle Entrate. I sequestri urgenti sono stati eseguiti dagli uomini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza e disposti in due provvedimenti distinti: uno di un miliardo e quasi 18 milioni di euro e l’altro di 234 milioni di euro. In base a quanto accertato le due frodi, del tutto indipendenti tra loro, si sarebbero sviluppate secondo uno schema assai simile e che aveva in una serie di societa’ create ad hoc il suo “fulcro”. Nomi suggestivi come Skyfall 10 Srl, Mama International business srl e Sviluppo immobiliare Valle’ Srl. Le societa’, con sedi a Roma e nella provincia di Foggia, erano utilizzate dagli indagati per drenare i bonus introdotti nell’ambito dell’emergenza Covid. “Con una serie di operazioni fittizie – spiega la Procura in una nota – orchestrate sin dall’inizio e in modo pianificato” gli otto “avrebbero creato i presupposti per la comunicazione all’Agenzia delle Entrate di crediti di imposta inesistenti che, contestualmente, venivano ceduti alle societa’ o ad altre collegate”. Crediti che venivano poi a loro volta ripetutamente ceduti a terzi per essere infine monetizzati mediante l’ulteriore cessione a taluni dei ‘grandi acquirenti’ che operano in questo mercato (Poste Italiane, Cassa Depositi e prestiti, ecc)”. Un modus operandi che ha portato alla “realizzazione di profitti illeciti per centinaia di milioni di euro”. “I benefici fiscali – ricorda chi indaga – possono essere direttamente utilizzati per compensare debiti, oppure ceduti, anche in parte e piu’ volte, per lo stesso fine, dandone comunicazione, sia da parte del cedente che del cessionario, attraverso la piattaforma informatica ‘cessione crediti’ messa a disposizione dalla agenzia delle Entrate”. E’ in un quadro di assoluta urgenza, quindi, che la Procura si e’ dovuta muovere dopo la comunicazione di notizia di reato trasmessa dall’Agenzia delle Entrate lo scorso 13 dicembre. Nel provvedimento di sequestro i magistrati di piazzale Clodio affermano che si e’ dovuto operare in modo rapido per la necessita’ di porre fine “alle negoziazioni/transazioni descritte dall’Agenzia delle Entrate” in modo da evitare che terzi “ignari” potessero acquisire la disponibilita’ di crediti attraverso “transazione e pagamenti informatici rapidi ed di ingente ammontare”. L’attivita’ di indagine che punta adesso a raccogliere ulteriori elementi di prova e soprattutto a risalire la filiera degli autori degli illeciti, viaggia parallela con altro procedimento avviato a Roma e che ha portato il 24 novembre scorso ad un primo sequestro da 110 milioni di euro. Anche in questo caso i 13 indagati puntavano a mettere mani sui finanziamenti emanati dal Governo nel 2020, durante la fase piu’ drammatica dell’emergenza sanitaria. Gli accertamenti partono da un’analisi di rischio sviluppata dalle Entrate sulla spettanza dei “bonus” previsti dai decreti “Rilancio” e “Cura Italia”, connessi alle spese di locazione di immobili ad uso non abitativo e riconosciuti sotto forma di crediti d’imposta in misura pari a una percentuale dei canoni effettivamente versati (fino al 60%). In questo caso tra le incongruenze rilevate, l’inserimento nella piattaforma dell’amministrazione finanziaria dei dati di imprenditori per i quali non risulta essere stato registrato alcun contratto di locazione e l’aver sostenuto spese di affitto per centinaia di migliaia di euro all’anno a fronte di dichiarazioni dei redditi per importi molto piu’ modesti.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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