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Esteri

Francia, Lecornu tenta il bis: nuovo governo tra veti, dimissioni e sfiducie annunciate

Il premier francese Sébastien Lecornu tenta di formare un nuovo governo dopo il fallimento del primo esecutivo durato appena 14 ore. Tutti i partiti, dal Rassemblement National alla sinistra, annunciano la sfiducia. Macron punta a evitare lo scioglimento del Parlamento.

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Nessuna tregua per Sébastien Lecornu, il premier macroniano chiamato a compiere un’impresa che appare impossibile: costruire un nuovo governo in Francia dopo il fallimento del suo primo esecutivo, durato appena 14 ore, il più breve nella storia della Quinta Repubblica.

Dopo giorni di trattative, pressioni e colpi di scena, Lecornu tenta il “Lecornu 2”, mentre il presidente Emmanuel Macron cerca di evitare lo scioglimento anticipato del Parlamento.


Il ritorno di Lecornu dopo il governo più breve della Quinta Repubblica

La settimana appena trascorsa è stata per il premier un vortice di annunci, dimissioni e ripensamenti. Dopo il clamoroso crollo del suo primo governo, Lecornu ha ricevuto un nuovo mandato da Macron, che ha insistito per evitare il voto anticipato e mantenere una maggioranza, per quanto fragile, in Assemblea nazionale.

Il nuovo esecutivo dovrebbe essere annunciato entro poche ore, con un Consiglio dei ministri anticipato a domani, per consentire al presidente di partire lunedì per l’Egitto, dove assisterà alla firma della pace tra Israele e Hamas.


Sfiducia unanime: destra, sinistra e centro contro Lecornu

Ma la strada è in salita. Il Rassemblement National di Jordan Bardella ha già annunciato che voterà “immediatamente la sfiducia”, definendo il nuovo esecutivo “uno scherzo di cattivo gusto”.
Stesso tono da parte della sinistra di La France Insoumise (Lfi), che ha accusato Macron di essere “un irresponsabile ebbro di potere”.

Anche ecologisti e comunisti hanno promesso di votare contro, mentre il Partito Socialista, pur rifiutando di entrare al governo, ha rilanciato le proprie condizioni: in primis, sospendere la riforma delle pensioni e tornare all’età pensionabile di 62 anni, richiesta che resta uno dei principali nodi per l’Eliseo.


I Républicains si sfilano: niente ingresso nel governo

Il colpo più duro per Lecornu è arrivato dai Républicains, il partito di centrodestra che fino a oggi era considerato l’asse moderato della maggioranza.
Il presidente del Senato Gérard Larcher ha chiuso la porta: “Con un Ps che ricatterà con la sfiducia, questo esecutivo rinuncerà a tutto: serietà dei conti e difesa del lavoro”.

Il leader del partito, Bruno Retailleau, ha confermato la linea dura, rifiutando di entrare al governo e respingendo la proposta di essere confermato al ministero dell’Interno.


Lecornu 2: un governo macroniano e “libero dai partiti”

Secondo le indiscrezioni, il nuovo esecutivo Lecornu sarà composto quasi esclusivamente da esponenti del centro macroniano, affiancati da personalità indipendenti o vicine ai partiti senza tessera.
Una formula che il premier ha definito “un governo libero, non imprigionato dai partiti”, ma che rischia di isolarlo ulteriormente in Parlamento.

Dentro Renaissance, il partito del presidente guidato da Gabriel Attal, crescono i malumori. I rapporti tra Attal e Macron sono sempre più freddi, e anche l’Udi, formazione centrista storicamente alleata, ha fatto sapere che non parteciperà al governo.


Una Francia in stallo e l’urgenza della legge di bilancio

L’urgenza politica è dettata anche dalla necessità di presentare la manovra economica.
La Costituzione francese, in casi eccezionali, consente la nomina del solo ministro dell’Economia per presentare una bozza di legge finanziaria, in attesa della formazione di un esecutivo completo.

Ma il rischio di una crisi istituzionale cresce di ora in ora.
Tra sfiducie annunciate e una maggioranza che non c’è, il “Lecornu 2” nasce già accerchiato, mentre Macron tenta di guadagnare tempo per salvare la sua presidenza e un equilibrio politico sempre più fragile.

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Esteri

Regno Unito, stretta storica sull’asilo: fine del permesso quinquennale e revisione continua dei rifugiati

Il governo Starmer annuncia una stretta senza precedenti sull’asilo: permesso ridotto a 30 mesi, revisione continua e residenza permanente solo dopo 20 anni. Polemiche da destra e sinistra.

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Basta asilo a tempo indeterminato. Il Regno Unito del dopo Brexit cambia paradigma e annuncia una stretta senza precedenti rispetto alla sua storica tradizione di accoglienza. A farlo è il governo laburista di sir Keir Starmer, in piena crisi di consenso e sotto la pressione crescente di forze come Reform UK di Nigel Farage.

Mahmood: «Fine del golden ticket per i richiedenti asilo»

La ministra dell’Interno Shabana Mahmood, figlia di immigrati pachistani, ribadisce alla Bbc la linea dura:

  • permesso di soggiorno ridotto a 30 mesi;

  • revisione periodica obbligatoria;

  • rimpatrio possibile se il Paese d’origine torna “sicuro”;

  • residenza permanente solo dopo 20 anni, quattro volte più del regime attuale.

La normativa vigente garantisce 5 anni di permesso ai rifugiati e accesso quasi automatico alla residenza permanente alla scadenza del quinquennio.

Londra guarda alla Danimarca e punta a frenare gli arrivi via Manica

Il governo Starmer si ispira alla linea durissima di Copenaghen, che ha ridotto le richieste di asilo ai minimi da 40 anni. L’obiettivo è scoraggiare gli arrivi via Manica sulle small boat, aumentati nonostante le promesse: nel 2025 sono già 39.000 le persone sbarcate, più di tutto il 2024.

La Francia attribuisce a Londra parte del problema, sostenendo che le norme britanniche finora troppo permissive abbiano reso difficile il controllo dell’immigrazione illegale.

Critiche da destra e sinistra

Le opposizioni conservatrici e i seguaci di Farage definiscono la stretta “superficiale” e insufficiente.
Dall’altro lato, ong, sinistra del Labour e Verdi denunciano una violazione dei principi di solidarietà e diritti umani.

Mahmood respinge ogni accusa:
«È la più grande revisione della politica d’asilo dei tempi moderni. Non sto accettando gli argomenti dell’estrema destra: è una missione morale».

Starmer cerca ossigeno in un clima politico esplosivo

Il premier laburista tenta così di frenare un’emorragia di consensi data per inarrestabile dai sondaggi, mentre anche dentro il Labour monta il malcontento. La questione migratoria diventa quindi un terreno decisivo per la sopravvivenza politica del governo.

La promessa, però, resta tutta da verificare nella sua efficacia.

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Trump elimina i dazi su carne, frutta e caffè: retromarcia per frenare il carovita negli USA

Trump rimuove i dazi su centinaia di prodotti alimentari per placare l’ira degli americani contro il carovita. Dubbi degli esperti: è una mossa politica dettata dal nervosismo della Casa Bianca.

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Donald Trump fa marcia indietro e rimuove i dazi su carne, banane, caffè, avocado, mango, pomodori e decine di altri prodotti agricoli. Una decisione che la Casa Bianca giustifica con i “progressi nelle trattative commerciali” e con il fatto che gli Stati Uniti non producono abbastanza di questi beni per soddisfare la domanda interna.

Una spiegazione che non convince molti esperti, secondo cui la mossa nasconde il timore dell’amministrazione di fronte a prezzi sempre più alti e al crescente malcontento dei consumatori.

Il nervosismo della Casa Bianca e il tema dell’“accessibilità”

Dietro questa retromarcia c’è un’evidente tensione politica. L’inflazione sul carrello della spesa pesa da mesi sui bilanci delle famiglie, mentre Trump — che in pubblico ha liquidato il tema dell’accessibilità come una “truffa dei democratici” — teme una rivolta contro la sua agenda economica.

Il presidente era arrivato alla Casa Bianca promettendo una drastica riduzione dei prezzi e una nuova “età dell’oro”. Finora, però, gli effetti della sua ricetta economica hanno premiato soprattutto i mercati e i più ricchi, senza alleggerire la pressione sui portafogli degli americani.

Il rischio gennaio: l’esplosione dei costi sanitari

La tensione è destinata a crescere. A gennaio potrebbero schizzare i prezzi delle assicurazioni sanitarie per milioni di americani, con la fine dei sussidi dell’Obamacare. Una riforma criticata per anni dai repubblicani, ma per la quale non è mai stata proposta un’alternativa credibile.

Se i sussidi non verranno prorogati, il prezzo politico da pagare alle prossime elezioni potrebbe essere altissimo.

La retromarcia sui dazi rilancia il soprannome “Taco”

La nuova ondata di cancellazioni tariffarie ha riportato in auge il soprannome “Taco” — Trump always chickens out — con cui i critici accusano il presidente di annunciare misure aggressive salvo poi ritirarle sotto pressione.

Dal 2 aprile l’amministrazione è stata costretta a correggere più volte il tiro sui dazi, elemento centrale della sua agenda economica. Trump ha sempre sostenuto che le tariffe servono a rimettere in equilibrio gli scambi e a finanziare parte del taglio delle tasse, il suo big beautiful bill.

La minaccia della Corte Suprema

Sulle politiche tariffarie del presidente incombe ora il giudizio della Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sulla loro legittimità. I giudici hanno mostrato scetticismo sulla tesi della Casa Bianca, che invoca un’emergenza nazionale per giustificare le tariffe.

Una bocciatura sarebbe devastante: metterebbe in discussione la credibilità dell’amministrazione e potrebbe obbligare Washington a restituire — secondo Trump — fino a 3.000 miliardi di dollari.

Una prospettiva che spiega il clima di crescente agitazione attorno a un presidente che, per la prima volta, vede indebolirsi uno dei pilastri della sua identità politica: essere il “Re delle Tariffe”.

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Gaza tra nubifragi, tensioni diplomatiche e rischio divisione: la crisi umanitaria peggiora con l’arrivo dell’inverno

Nubifragi, sfollati senza ripari e tensioni diplomatiche: mentre si ipotizza una divisione della Striscia, l’Onu avverte che l’inverno rischia di aggravare una crisi umanitaria già drammatica.

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L’inverno avanza e una Gaza colpita da giorni di maltempo mostra in modo drammatico tutte le sue fragilità. La tregua sul terreno regge solo in parte, mentre piogge torrenziali hanno allagato migliaia di tende dove vivono famiglie sfollate, lasciando senza riparo chi ha perso tutto. Per l’Onu, il quadro è gravissimo: il 92% degli edifici della Striscia non è più abitabile e le condizioni meteo rischiano di mettere a rischio migliaia di persone.

La prospettiva di una Gaza divisa

Sul piano politico, cresce l’ipotesi di una divisione in due della Striscia: una zona controllata dall’esercito israeliano e l’altra gestita da Hamas, secondo condizioni ancora da definire. Una prospettiva che genera tensioni in Medio Oriente e che sarebbe al centro del dialogo tra Steve Witkoff, inviato di Donald Trump, e Khalil al-Hayya, figura di spicco dell’organizzazione islamica. I due avrebbero già avuto contatti in passato, con un rapporto personale nato dal lutto condiviso per la perdita di un figlio.

Washington prepara la sua risoluzione al Consiglio di Sicurezza

Gli Stati Uniti si preparano a presentare una nuova risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, previsto per lunedì. La diplomazia americana punta anche al via libera della Russia, in un confronto che si intreccia con gli interessi di Mosca nei territori ucraini occupati. Non è escluso che la telefonata tra Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin abbia toccato proprio questo nodo, insieme al ruolo dell’Iran, tornato ostile con il sequestro di una petroliera battente bandiera delle Isole Marshall.

Netanyahu isolato nelle trattative diplomatiche

Il premier israeliano appare sempre più lontano dal centro delle trattative internazionali sul futuro di Gaza. Nel frattempo l’Idf mantiene alta la pressione militare: secondo fonti palestinesi, l’artiglieria ha colpito l’area orientale di Gaza City e un drone avrebbe sparato nel campo profughi di Jabalia.

Campi allagati e beni distrutti: l’allarme Onu sull’arrivo dell’inverno

La maggior preoccupazione resta la situazione umanitaria. Le piogge hanno aggravato condizioni già estreme: abiti bagnati, scorte alimentari distrutte, tende rese inutilizzabili. Migliaia di sfollati sono ora esposti al freddo e alla pioggia senza protezione.

Le Nazioni Unite avvertono: “Migliaia di famiglie sono completamente esposte alle condizioni avverse, con rischi crescenti per salute e sicurezza”.

L’accusa dell’Unrwa: “Israele limita gli aiuti”

Da Bruxelles, il vice commissario generale dell’Unrwa Natalie Boucly punta il dito contro Israele, denunciando che le restrizioni ai flussi di aiuti continuano a mettere in pericolo una popolazione allo stremo, che soffre una grave carenza di cibo e beni essenziali.

La comunità internazionale teme che l’inverno, arrivato con violenza, possa trasformare la crisi di Gaza in un’emergenza umanitaria ancora più devastante.

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