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Esteri

Francia, Lecornu supera le mozioni di sfiducia: il governo regge ma la battaglia sulla manovra si annuncia durissima

Il premier francese Sébastien Lecornu sopravvive alle mozioni di sfiducia con un margine di 18 voti. Macron difende la sospensione della riforma delle pensioni, ma la manovra finanziaria divide la maggioranza.

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Il primo ministro francese Sébastien Lecornu (foto Imagoeconomica) ha superato con un margine di soli 18 voti le mozioni di sfiduciapresentate da La France Insoumise (LFI) e dal Rassemblement National (RN). La vittoria, seppur risicata, consente al governo di restare in carica e di affrontare ora il nodo più difficile: la manovra finanziaria da 30 miliardi di euro che dovrà essere approvata entro fine anno.

Adesso al lavoro! Al lavoro con il dibattito sulla manovra!” ha dichiarato Lecornu ai cronisti fuori da Palazzo Matignon, consapevole che la strada politica resta in salita.

I voti decisivi dei socialisti e del centro

Il governo ha retto grazie ai voti dei Républicains e di gran parte dei socialisti, con solo 7 defezioni su 69 deputati PS. Determinante è stato l’impegno del premier di non ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione, che permette di far approvare le leggi senza voto articolo per articolo, imponendo un voto di fiducia finale.

Lecornu — che si è definito ironicamente il “monaco soldato di Macron” — ha ottenuto così il sostegno del centro e dei moderati, mentre il fronte della sinistra è definitivamente spaccato: il Nuovo Fronte Popolare nato dalle elezioni anticipate del 2024 non esiste più.

Stop alla riforma delle pensioni e la “legge Zucman” dei socialisti

Per assicurarsi l’appoggio dei socialisti, il premier ha sospeso la riforma delle pensioni, permettendo a chi ha raggiunto i 62 anni di lasciare il lavoro senza ulteriori ritardi. Una decisione accolta con favore dalla base socialista ma che ha irritato l’ala macroniana più ortodossa.

Il segretario del PS, Olivier Faure, ha comunque avvertito: “La nostra fiducia non è per sempre”. Il Partito socialista si batterà “articolo per articolo” nella discussione sulla manovra, a partire dalla “legge Zucman”, che prevede una sovrattassa sui super-ricchi, ormai simbolo della sinistra francese.

Macron interviene per tenere unita la maggioranza

Di fronte al malumore dei suoi deputati, il presidente Emmanuel Macron è intervenuto personalmente per chiedere compattezza: “So quanto vi è costata questa sospensione, ma serviva un compromesso per la stabilità del Paese”, avrebbe detto ai suoi, secondo fonti di BFM TV.

Macron ha ribadito che la battaglia sulle pensioni “era e resta giusta”, ma ha riconosciuto la necessità di un passo indietro per garantire la sopravvivenza politica dell’esecutivo in un’Assemblea senza maggioranza assoluta.

Un Parlamento diviso in tre blocchi

La Francia continua così a vivere la sua stagione più instabile: una nazione politicamente tripartita tra centro macroniano, sinistra radicale e destra lepenista, nessuno dei quali in grado di formare da solo una maggioranza.

Il Rassemblement National di Marine Le Pen, pur restando il primo partito nei sondaggi (32-33%), è apparso isolato: solo cinque deputati esterni al RN hanno sostenuto la sua mozione.

Intanto, la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon rilancia la protesta, invocando su X “resistenza popolare e unità sul terreno”, mentre la capogruppo Mathilde Panot annuncia una nuova mozione per la destituzione di Macron.

Dalla prossima settimana, con l’inizio del dibattito sulla legge di bilancio e sulla Sécurité sociale, inizia il capitolo più delicato del governo Lecornu: un esecutivo in bilico, costretto a governare in un Parlamento dove ogni voto può essere decisivo.

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Arrestato in Europa Pipo Chavarria, il boss dei Los Lobos: «Lo abbiamo cercato fino all’inferno»

Il presidente Noboa annuncia l’arresto di Pipo Chavarria, capo dei Los Lobos, catturato in Europa dopo anni di latitanza. Il boss aveva finto la morte e continuava a ordinare omicidi dall’estero.

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«Lo abbiamo cercato fino all’inferno». Con queste parole il presidente Daniel Noboa ha annunciato la cattura di Pipo Chavarria, leader dei Los Lobos, definito «il delinquente più ricercato della regione». L’arresto è avvenuto in Europa grazie a una collaborazione tra Ecuador e polizia spagnola.

La falsa morte e la rete criminale internazionale

Secondo quanto spiegato da Noboa, Chavarria aveva finto la propria morte, cambiato identità e trovato rifugio in Europa, da dove continuava a impartire ordini. Dall’estero dirigeva omicidi in Ecuador e controllava il traffico di droga insieme al cartello messicano Jalisco Nueva Generación.

Un arresto simbolico nel giorno del referendum sulla sicurezza

La cattura arriva nel giorno del referendum promosso da Noboa su temi cruciali della sicurezza nazionale, diventando un segnale politico fortissimo. «Oggi le mafie indietreggiano. Ha vinto l’Ecuador», ha dichiarato il presidente, celebrando un risultato definito come un punto di svolta nella lotta al crimine organizzato.

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Regno Unito, stretta storica sull’asilo: fine del permesso quinquennale e revisione continua dei rifugiati

Il governo Starmer annuncia una stretta senza precedenti sull’asilo: permesso ridotto a 30 mesi, revisione continua e residenza permanente solo dopo 20 anni. Polemiche da destra e sinistra.

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Basta asilo a tempo indeterminato. Il Regno Unito del dopo Brexit cambia paradigma e annuncia una stretta senza precedenti rispetto alla sua storica tradizione di accoglienza. A farlo è il governo laburista di sir Keir Starmer, in piena crisi di consenso e sotto la pressione crescente di forze come Reform UK di Nigel Farage.

Mahmood: «Fine del golden ticket per i richiedenti asilo»

La ministra dell’Interno Shabana Mahmood, figlia di immigrati pachistani, ribadisce alla Bbc la linea dura:

  • permesso di soggiorno ridotto a 30 mesi;

  • revisione periodica obbligatoria;

  • rimpatrio possibile se il Paese d’origine torna “sicuro”;

  • residenza permanente solo dopo 20 anni, quattro volte più del regime attuale.

La normativa vigente garantisce 5 anni di permesso ai rifugiati e accesso quasi automatico alla residenza permanente alla scadenza del quinquennio.

Londra guarda alla Danimarca e punta a frenare gli arrivi via Manica

Il governo Starmer si ispira alla linea durissima di Copenaghen, che ha ridotto le richieste di asilo ai minimi da 40 anni. L’obiettivo è scoraggiare gli arrivi via Manica sulle small boat, aumentati nonostante le promesse: nel 2025 sono già 39.000 le persone sbarcate, più di tutto il 2024.

La Francia attribuisce a Londra parte del problema, sostenendo che le norme britanniche finora troppo permissive abbiano reso difficile il controllo dell’immigrazione illegale.

Critiche da destra e sinistra

Le opposizioni conservatrici e i seguaci di Farage definiscono la stretta “superficiale” e insufficiente.
Dall’altro lato, ong, sinistra del Labour e Verdi denunciano una violazione dei principi di solidarietà e diritti umani.

Mahmood respinge ogni accusa:
«È la più grande revisione della politica d’asilo dei tempi moderni. Non sto accettando gli argomenti dell’estrema destra: è una missione morale».

Starmer cerca ossigeno in un clima politico esplosivo

Il premier laburista tenta così di frenare un’emorragia di consensi data per inarrestabile dai sondaggi, mentre anche dentro il Labour monta il malcontento. La questione migratoria diventa quindi un terreno decisivo per la sopravvivenza politica del governo.

La promessa, però, resta tutta da verificare nella sua efficacia.

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Trump elimina i dazi su carne, frutta e caffè: retromarcia per frenare il carovita negli USA

Trump rimuove i dazi su centinaia di prodotti alimentari per placare l’ira degli americani contro il carovita. Dubbi degli esperti: è una mossa politica dettata dal nervosismo della Casa Bianca.

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Donald Trump fa marcia indietro e rimuove i dazi su carne, banane, caffè, avocado, mango, pomodori e decine di altri prodotti agricoli. Una decisione che la Casa Bianca giustifica con i “progressi nelle trattative commerciali” e con il fatto che gli Stati Uniti non producono abbastanza di questi beni per soddisfare la domanda interna.

Una spiegazione che non convince molti esperti, secondo cui la mossa nasconde il timore dell’amministrazione di fronte a prezzi sempre più alti e al crescente malcontento dei consumatori.

Il nervosismo della Casa Bianca e il tema dell’“accessibilità”

Dietro questa retromarcia c’è un’evidente tensione politica. L’inflazione sul carrello della spesa pesa da mesi sui bilanci delle famiglie, mentre Trump — che in pubblico ha liquidato il tema dell’accessibilità come una “truffa dei democratici” — teme una rivolta contro la sua agenda economica.

Il presidente era arrivato alla Casa Bianca promettendo una drastica riduzione dei prezzi e una nuova “età dell’oro”. Finora, però, gli effetti della sua ricetta economica hanno premiato soprattutto i mercati e i più ricchi, senza alleggerire la pressione sui portafogli degli americani.

Il rischio gennaio: l’esplosione dei costi sanitari

La tensione è destinata a crescere. A gennaio potrebbero schizzare i prezzi delle assicurazioni sanitarie per milioni di americani, con la fine dei sussidi dell’Obamacare. Una riforma criticata per anni dai repubblicani, ma per la quale non è mai stata proposta un’alternativa credibile.

Se i sussidi non verranno prorogati, il prezzo politico da pagare alle prossime elezioni potrebbe essere altissimo.

La retromarcia sui dazi rilancia il soprannome “Taco”

La nuova ondata di cancellazioni tariffarie ha riportato in auge il soprannome “Taco” — Trump always chickens out — con cui i critici accusano il presidente di annunciare misure aggressive salvo poi ritirarle sotto pressione.

Dal 2 aprile l’amministrazione è stata costretta a correggere più volte il tiro sui dazi, elemento centrale della sua agenda economica. Trump ha sempre sostenuto che le tariffe servono a rimettere in equilibrio gli scambi e a finanziare parte del taglio delle tasse, il suo big beautiful bill.

La minaccia della Corte Suprema

Sulle politiche tariffarie del presidente incombe ora il giudizio della Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sulla loro legittimità. I giudici hanno mostrato scetticismo sulla tesi della Casa Bianca, che invoca un’emergenza nazionale per giustificare le tariffe.

Una bocciatura sarebbe devastante: metterebbe in discussione la credibilità dell’amministrazione e potrebbe obbligare Washington a restituire — secondo Trump — fino a 3.000 miliardi di dollari.

Una prospettiva che spiega il clima di crescente agitazione attorno a un presidente che, per la prima volta, vede indebolirsi uno dei pilastri della sua identità politica: essere il “Re delle Tariffe”.

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