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Cronache

Francesca Bazoli: «La mia fede si nutre di dubbi, come la storia della mia famiglia cattolica e libera»

Francesca Bazoli, avvocata e presidente della casa editrice Morcelliana e della Fondazione Brescia Musei, racconta la sua storia familiare, il legame con Montini e la fede fatta anche di dubbi, in una lunga intervista al Corriere della Sera.

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Francesca Bazoli (foto Imagoeconomica) ripercorre le origini di una dinastia cattolica profondamente intrecciata con la storia italiana. Lo fa in una lunga intervista al Corriere della Sera
Presiede oggi la casa editrice Morcelliana, fondata cento anni fa da giovani cattolici bresciani tra cui Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, che nel tempo sostenne economicamente la casa editrice.
«Non è facile stare sul mercato con un’impronta intellettuale e cattolica – racconta Bazoli – ma Montini aiutò concretamente mio nonno Stefano, che durante il fascismo fu ospitato e protetto dalla sua famiglia».

Le tragedie e la forza dei Bazoli

La sua è una famiglia segnata anche dal dolore.
«Mia nonna morì a ventinove anni per una setticemia dopo essere stata punta da una rosa», ricorda Francesca.
Il padre Giovanni Bazoli, oggi 92enne e storico banchiere, «non ha mai conosciuto sua madre, ma due anni fa, quando abbiamo riesumato le spoglie per ricongiungerle a quelle del marito, l’ha vista per la prima volta».
Poi un altro dramma: «Durante la strage di Piazza della Loggia, nel 1974, morì mia zia Giulietta Banzi Bazoli, che aveva solo 34 anni. Per la nostra famiglia fu come rivivere un lutto antico».

«Da bambina temevo la chiamata alla vocazione»

Cresciuta in un ambiente cattolico rigoroso, Bazoli racconta con sincerità anche le inquietudini della sua giovinezza:
«Da bambina vivevo nell’angoscia della “chiamata”. Si parlava tanto della vocazione, ma io non volevo farmi suora e speravo, in segreto, che la chiamata non arrivasse mai».
Oggi è avvocata cassazionista, madre di tre figli, presidente della Morcelliana e della Fondazione Brescia Musei, che coordina cinque istituzioni culturali e un parco archeologico tra i più importanti del Nord Italia.

Brescia, mecenatismo e cultura

Bazoli descrive Brescia come «una città che unisce spirito imprenditoriale e vocazione sociale».
Nel suo ruolo alla Fondazione Brescia Musei, sottolinea con orgoglio la visita di Leonardo DiCaprio, venuto due volte al complesso di Santa Giulia: «Ha apprezzato molto i musei e la cucina bresciana. La sua fidanzata, Vittoria Ceretti, è amica dei miei figli».
Il legame con la cultura è profondo anche attraverso il marito Gregorio Gitti, avvocato e professore, che ha acquistato il Castello di Perno nelle Langhe, un luogo simbolo della storia editoriale di Giulio Einaudi e Primo Levi, oggi trasformato in spazio di vino e cultura.

«Non siamo ricchi, ma liberi»

Alla domanda sul benessere della sua famiglia, Bazoli risponde con ironia e misura:
«Non siamo ricchi. Se mio padre avesse accettato un paio di stock option lo saremmo, ma ha sempre scelto l’indipendenza. Come dice lui, i soldi diventano un problema non solo se sono pochi, ma anche se sono troppi».

Fede, dubbi e memoria

Tra i successi editoriali della Morcelliana, Bazoli cita “L’ombra del Padre” di Jan Dobraczynski e il “Diario di Søren Kierkegaard”, pubblicato grazie al contributo dei cattolici, compreso papa Montini.
«Anche la mia fede – conclude – si nutre di continui dubbi. È un lungo cammino, come quello della nostra famiglia: cattolica, libera e sempre in dialogo con il pensiero».

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Cronache

Falsi miracoli di Trevignano, rinviata a giudizio la “veggente” Gisella Cardia: in scena apparizioni e donazioni per oltre 300mila euro

Gisella Cardia e il marito Giovanni rinviati a giudizio per truffa: avrebbero inscenato apparizioni e miracoli della Madonna di Trevignano per ottenere donazioni dai fedeli, per un totale di oltre 300mila euro.

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La cosiddetta “veggente” di Trevignano, Gisella Cardia, e suo marito Giovanni andranno a processo con l’accusa di concorso in truffa.
Secondo la Procura di Civitavecchia, avrebbero inscenato apparizioni e miracoli falsi per convincere i fedeli a donare somme di denaro destinate al presunto culto della Madonna di Trevignano, nella zona del lago di Bracciano.


Apparizioni e “miracoli” messi in scena per soldi

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la coppia avrebbe messo in scena trasudazioni da una statuetta della Madonna e da un quadro del Cristo, oltre ad annunciare cataclismi e sciagure come presunti segni divini.
Le manifestazioni attiravano centinaia di fedeli e avevano trasformato la loro abitazione e un terreno in un’area di pellegrinaggio mariano.

Dal 2018 al 2023, i due avrebbero raccolto oltre 300mila euro in donazioni, in parte versate all’Associazione Madonna di Trevignano e in parte direttamente ai coniugi. Le somme, secondo l’accusa, sarebbero state impiegate per l’acquisto di terreni, un box auto, una recinzione, un’auto da 40mila euro e lavori di abbellimento del sito di culto denominato Campo le Rose.


Le accuse della Procura e la difesa della “veggente”

Nel decreto di citazione a giudizio, il pm contesta alla coppia di aver indotto i fedeli a donare denaro “inscenando fenomeni soprannaturali” per ottenere un ingiusto profitto.

La difesa di Cardia, affidata all’avvocato Solange Marchignoli, ha definito il rinvio a giudizio “un passaggio necessario per chiarire ogni aspetto della vicenda”. La “veggente” si è detta sollevata, convinta che il processo sarà “l’occasione per far emergere la verità e chiudere definitivamente le speculazioni” che l’hanno coinvolta.


Dalla diocesi di Civita Castellana al Vaticano: fenomeni “non soprannaturali”

Già nel 2024, dopo le denunce di un ex sostenitore, Luigi Avella, era stata istituita una commissione ecclesiastica dalla diocesi di Civita Castellana per verificare la natura dei fenomeni.
La commissione aveva definito le presunte apparizioni “non soprannaturali”, invitando i fedeli a non partecipare ai raduni di preghiera.

Il caso aveva anche spinto il Vaticano a intervenire con una stretta contro le false apparizioni religiose usate per fini economici.


Il processo nel 2026

Il processo inizierà il 7 aprile 2026 davanti ai giudici del tribunale di Civitavecchia.
Nel frattempo, Gisella Cardia – sconfessata dalla sua diocesi – ha dichiarato di voler affrontare l’udienza “serenamente, in segno della verità”, mentre la giustizia si prepara a far luce sui presunti “miracoli” di Trevignano.

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Caivano, confermate in appello le condanne per gli abusi su due cuginette: 13 anni a Mosca, 8 anni e 8 mesi a Varriale

La Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna a 13 anni e 4 mesi per Pasquale Mosca e ridotto a 8 anni e 8 mesi quella di Giuseppe Varriale per le violenze sessuali su due cuginette di 10 e 12 anni a Caivano nel 2023.

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La Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna a 13 anni e 4 mesi per Pasquale Mosca e ridotto a 8 anni e 8 mesi quella di Giuseppe Varriale per le violenze sessuali compiute su due cuginette di 10 e 12 anni a Caivano, in provincia di Napoli, nel 2023.

In primo grado, i due – oggi rispettivamente di 20 e 21 anni – erano stati condannati a 13 anni e 4 mesi e 12 anni e 5 mesi al termine di un processo con rito abbreviato davanti al gup Mariangela Guida del tribunale di Napoli Nord.


Le decisioni della Corte e le richieste della Procura

Nel giudizio di secondo grado, il sostituto procuratore generale di Napoli aveva chiesto la conferma della condanna per Mosca, difeso dall’avvocato Giovanni Cantelli, mentre per Varriale aveva proposto un concordato, non accettato dal suo legale, Dario Carmine Procentese.

Durante la sua arringa, l’avvocato Cantelli ha sostenuto la parziale incapacità di intendere e volere del suo assistito, sottolineando l’inadeguatezza di Mosca nel comprendere la gravità dei reati commessi.

La Corte d’appello, riunitasi in camera di consiglio per quasi tre ore, ha poi confermato integralmente la pena per Mosca e ridotto quella per Varriale, ritenendo la sua partecipazione agli abusi di minore gravità.


Le reazioni delle famiglie delle vittime

Alla lettura della sentenza erano presenti gli avvocati delle famiglie delle vittime, Clara Niola e Giovanna Limpido, che rappresentano rispettivamente la madre e il padre della bambina più piccola.

I genitori, dopo la sentenza, hanno espresso sollievo e fiducia nella giustizia:
“Siamo soddisfatti per il verdetto: la nostra bambina e noi come famiglia possiamo tirare un altro sospiro di sollievo. Ringraziamo la magistratura penale per il lavoro svolto. È importante che i giovani comprendano le conseguenze delle proprie azioni e la certezza della pena di cui tanto si parla”, hanno dichiarato.


La vicenda di Caivano, che aveva profondamente scosso l’opinione pubblica per la brutalità dei fatti e la giovane età delle vittime, trova ora un primo punto fermo anche in appello, con la conferma delle responsabilità e delle pene a carico dei due imputati.

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Pubblico impiego, il 76% dei dipendenti ha più di 40 anni: le donne sono il 61%, ma guadagnano meno degli uomini

Secondo l’Osservatorio Inps, oltre il 76% dei lavoratori pubblici ha più di 40 anni. Le donne sono il 61%, ma il divario retributivo resta alto: 41.117 euro per gli uomini contro 31.679 per le donne.

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Il pubblico impiego italiano invecchia e resta segnato dal divario retributivo di genere. Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Inps sui lavoratori pubblici, il 76,6% dei dipendenti ha un’età pari o superiore ai 40 anni, mentre solo una minoranza è sotto questa soglia.


Più donne negli uffici pubblici, ma meno giovani

Le donne rappresentano il 61% del totale dei lavoratori del settore pubblico, superando nettamente gli uomini in quasi tutte le fasce d’età.
Le eccezioni si trovano tra i giovanissimi: nella fascia fino a 19 anni i maschi sono il 67% e le femmine il 33%, mentre tra i 20 e i 24 anni la quota maschile scende al 58% e quella femminile sale al 42%.


Retribuzioni medie e divario di genere

Nel 2024 la retribuzione media annua nel pubblico impiego è stata pari a 35.350 euro, ma con forti differenze legate all’età e al genere.
Gli stipendi aumentano progressivamente fino ai 50 anni, quando tendono a stabilizzarsi.
Il divario retributivo di genere resta marcato: gli uomini percepiscono in media 41.117 euro l’anno, contro i 31.679 euro delle donne.


Un settore anziano e con forti disparità

Il quadro delineato dall’Inps conferma un settore pubblico caratterizzato da un’età media elevata, una scarsa presenza di giovani e una persistente disuguaglianza salariale.
Dati che rilanciano la necessità di favorire il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e di intervenire sul gender pay gap, ancora lontano dall’essere colmato.

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