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Cronache

Fondi Lega: commercialista 5 ore dai pm, si difende

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Sono servite cinque ore di faccia a faccia coi pm ad Andrea Manzoni, uno dei tre commercialisti di fiducia della Lega indagati a Milano nel caso Lombardia Film Commission, per difendersi con dichiarazioni spontanee e senza affrontare un vero interrogatorio. Un lungo verbale, un monologo che non ha convinto gli inquirenti, per spiegare che la presunta vendita gonfiata dell’immobile al centro dell’inchiesta era giustificata nei costi e per chiarire i suoi rapporti stretti con gli altri due professionisti e con il tesoriere del Carroccio Giulio Centemero. Manzoni, 41 anni, revisore contabile alla Camera per la Lega, difeso dall’avvocato Piermaria Corso, si e’ presentato in Procura poco dopo le 9, dopo che accusa e difesa avevano concordato l’audizione. E la prossima settimana rendera’ dichiarazioni anche Alberto Di Rubba, pure lui revisore dei conti del Carroccio ed ex presidente della LFC, fondazione partecipata dalla Regione. Nell’inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, coordinata dall’aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi, tra i reati contestati agli indagati (tra cui il commercialista Michele Scillieri, nel cui studio venne registrata la ‘Lega per Salvini premier’) figurano il peculato, la turbata liberta’ nel procedimento di scelta del contraente, la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e l’estorsione, di cui e’ accusato Luca Sostegni, presunto prestanome dei commercialisti. Fermato a luglio sta collaborando con gli inquirenti. L’indagine parte dalla presunta vendita a prezzo gonfiato, per 800mila euro, di un immobile a Cormano, acquistato con fondi pubblici della Regione, all’epoca guidata da Roberto Maroni, dalla Lombardia Film Commission. Si indaga, pero’, anche su altre operazioni, perche’ sono venute a galla strutture societarie “complesse”, messe in piedi da Di Rubba e Manzoni, e attraverso le quali ci sarebbero stati trasferimenti di denaro verso la Svizzera. E i pm milanesi sono in contatto coi colleghi di Bergamo e Genova che indagano sul riciclaggio dei famosi 49 milioni di euro di rimborsi alla Lega di cui si e’ persa traccia. Dalla deposizione ai pm di Milano dell’ex direttore di una banca a Seriate (Bergamo) e’ emerso che Di Rubba e Manzoni, a cui sono riconducibili numerose societa’, avrebbero chiesto di aprire “conti” intestati ad “associazioni regionali” del Carroccio, articolazioni territoriali del partito. Un’operazione che non ando’ in porto. Davanti ai pm Manzoni, ha spiegato il difensore, “ha voluto chiarire la sua posizione”. Ha detto di essere stato introdotto nel ‘mondo Lega’ da Centemero, che conosceva dai tempi dell’universita’. Quando Centemero e’ diventato tesoriere, dopo che Matteo Salvini ha preso in mano la Lega, sarebbe stato proprio lui a proporre Manzoni. E, sempre stando alla versione del commercialista, Manzoni ha portato con se’ il suo socio Di Rubba. Sempre attraverso Manzoni anche Scillieri, suo ‘mentore professionale’, e’ diventato professionista di fiducia del Carroccio. Sul fronte dell’operazione immobiliare, infine, Manzoni ha sostenuto che la giustificazione del prezzo maggiorato dell’immobile stava nei costi di ristrutturazione. Per l’accusa, invece, con passaggi di denaro su varie societa’ i professionisti si sarebbero spartiti gli 800mila euro di fondi pubblici.

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Cronache

Tragedia a Muggia: madre ucraina uccide il figlio di nove anni, il bambino era stato affidato al padre

A Muggia, in provincia di Trieste, una madre ucraina ha ucciso il figlio di nove anni tagliandogli la gola. Il bambino, affidato al padre dopo la separazione, era in visita alla donna.

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Una tragedia sconvolgente ha scosso la comunità di Muggia, alle porte di Trieste. Una donna di nazionalità ucraina ha ucciso il figlio di nove anni, tagliandogli la gola con un coltello all’interno della loro abitazione in via Marconi, nel centro cittadino.

L’allarme è stato lanciato nella serata di ieri dal padre del bambino, che vive fuori dal Friuli Venezia Giulia e non riusciva a mettersi in contatto con l’ex compagna. Quando la Squadra Mobile di Trieste è arrivata nell’appartamento, il piccolo era già morto.


Una famiglia seguita dal tribunale e dai servizi sociali

La vicenda familiare era nota ai servizi sociali ed era seguita anche dal tribunale minorile. Dopo la separazione, la custodia del bambino era stata affidata al padre, ma la madre aveva mantenuto il diritto di incontrare il figlio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni del giudice.

I rapporti tra i due genitori erano difficili, come hanno riferito persone vicine alla famiglia. Ieri sera, l’incontro si è trasformato in tragedia.


Il corpo trovato in bagno, la madre in stato di choc

Quando i Vigili del Fuoco e gli agenti di polizia sono entrati nell’abitazione, il corpo del bambino era già senza vita da diverse ore e si trovava nel bagno di casa.

La donna è stata trovata in stato di choc e soccorsa sul posto. Gli inquirenti stanno ricostruendo la dinamica dei fatti e le eventuali motivazioni del gesto, mentre la Procura di Trieste ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario aggravato.

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Inchiesta sui cellulari in carcere: perquisizioni ad Avellino, 18 indagati tra detenuti ed ex detenuti

I Carabinieri di Avellino e la Polizia Penitenziaria hanno eseguito perquisizioni nel carcere “Antimo Graziano” e in altre sedi: 18 indagati per uso illecito di cellulari in carcere, uno anche per stalking.

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino, insieme alla Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale e al Nucleo Investigativo Regionale per la Campania, hanno eseguito un decreto di perquisizione locale e personale a carico di 18 indagati, tutti detenuti o ex detenuti dell’istituto penitenziario “Antimo Graziano” di Avellino.

Gli indagati sono gravemente sospettati del reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale). In un caso si procede anche per atti persecutori (articolo 612 bis).


L’operazione nel carcere “Antimo Graziano”

Le perquisizioni, disposte dalla Procura della Repubblica di Avellino, hanno interessato le celle ancora occupate dagli indagati con l’obiettivo di rintracciare e sequestrare dispositivi elettronici e schede SIM detenuti illegalmente.

Il provvedimento nasce da un’indagine condotta dai Carabinieri di Avellino a partire da febbraio 2025, mirata a contrastare il fenomeno dell’uso di smartphone e cellulari all’interno delle carceri, spesso utilizzati per comunicazioni non autorizzate o per accedere ai social network.


La rete dei contatti e i profili social

Le investigazioni hanno rivelato una vera e propria rete di telefoni connessi, una “connected cell” che consentiva ai detenuti di mantenere rapporti continui con l’esterno. Attraverso l’analisi di tabulati telefonici e telematici, spesso riferiti a utenze intestate a soggetti fittizi, gli investigatori hanno ricostruito il circuito relazionale dei detenuti, identificando familiari e amici contattati illegalmente.

Su alcuni profili social riconducibili agli indagati sono stati trovati messaggi e immagini di rilievo investigativo, che confermano l’uso illecito dei dispositivi per comunicazioni e attività potenzialmente criminali.


Un caso di stalking tra i reati scoperti

Le indagini hanno inoltre evidenziato che i telefoni venivano utilizzati anche per commettere altri reati. In particolare, un detenuto è risultato gravemente indiziato di atti persecutori ai danni della vedova dell’uomo da lui ucciso, utilizzando lo smartphone per continuare a molestarla anche dal carcere.

L’inchiesta resta aperta, mentre la Procura di Avellino valuta ulteriori sviluppi per accertare eventuali responsabilità all’interno dell’istituto penitenziario.

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Scoperto bunker-serra di marijuana nell’Aspromonte: denunciati padre e figlio a Platì

I carabinieri scoprono un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla a Platì: coltivavano marijuana con un impianto elettrico abusivo. Denunciati padre e figlio.

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Un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla in mezzo alla vegetazione aspromontana è stato scoperto dai carabinieri della Stazione di Platì, insieme ai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e del 14° Battaglione “Calabria”, nel corso di un’operazione di controllo del territorio contro la produzione di sostanze stupefacenti.

Padre e figlio, entrambi denunciati in stato di libertà, sono ritenuti responsabili di aver realizzato una vera e propria serra “indoor” per la coltivazione di cannabis, trasformando un capanno agricolo in disuso in un sofisticato laboratorio sotterraneo.

Il cavo elettrico che ha svelato il bunker

L’operazione è scattata dopo una lunga attività di osservazione. Durante una perlustrazione in un’area rurale, i carabinieri hanno notato un cavo elettrico che si perdeva tra gli alberi. Seguendone il tracciato per centinaia di metri, sono giunti all’ingresso di un capanno apparentemente abbandonato.

Dietro un pannello basculante azionato da un sistema di contrappesi, nascosto alla vista, si celava l’accesso a un bunker sotterraneo. All’interno, i militari hanno trovato una piantagione di marijuana con piante alte tra 70 e 110 centimetri, illuminate e ventilate da un impianto elettrico e di aerazione alimentato da un allaccio abusivo alla rete pubblica.

Una serra illegale tecnologicamente avanzata

La struttura era interamente realizzata abusivamente e dotata di tutto il necessario per garantire la crescita indisturbata delle piante: trasformatori, ventilatori, lampade e sistemi di ventilazione ricreavano le condizioni ottimali di una serra professionale.
Tutto era stato studiato nei minimi dettagli per nascondere l’attività e mantenerla attiva in modo costante, lontano da occhi indiscreti.

L’operazione dei carabinieri di Locri

L’intervento rientra in una più ampia strategia di contrasto al narcotraffico condotta dai carabinieri della Compagnia di Locri, che da tempo intensificano i controlli nelle aree più impervie dell’Aspromonte, spesso utilizzate per la produzione e lo stoccaggio di droga.

In una nota, l’Arma ha sottolineato come “la conoscenza del territorio e l’esperienza operativa dei militari restano un baluardo fondamentale contro l’illegalità”, ribadendo l’impegno quotidiano nel controllo delle zone rurali più isolate della Calabria.

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