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Economia

Fitch promuove Mps, Nagel prepara il suo no

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Fitch alza da BB+ a BBB- il rating di Mps e riporta il Monte nell’alveo dell’investment grade, seconda agenzia a farlo dopo Dbrs. La promozione, motivata con “i miglioramenti strutturali” raggiunti da Siena che l’acquisizione di Mediobanca non mette a rischio, arriva mentre Piazzetta Cuccia lavora alla valutazione finale dell’ops dopo la pubblicazione del documento d’offerta. Il cda guidato da Alberto Nagel dovrebbe riunirsi sul finire della prossima settimana, forse già giovedì, per mettere a punto il comunicato dell’emittente, con cui boccerà un’operazione già definita “fortemente distruttiva di valore” e che, a suo dire, non può eguagliare i rendimenti del piano di Mediobanca.

Di diverso avviso l’ad di Mps, Luigi Lovaglio, che in un’intervista a Il Sole 24 Ore, si è detto convinto del successo dell’ops: “siamo determinati a raggiungere l’obiettivo del 66,7% del capitale” e “siamo certi che gli azionisti di Mediobanca apprezzeranno” un’operazione che “ha una forte ratio industriale e finanziaria”. Ma anche il 35% del capitale, la soglia minima irrinunciabile fissata da Mps, aggiunge, “ci consentirebbe di esercitare comunque il controllo di fatto”. Lovaglio può intanto godersi la promozione di Fitch, riflesso, spiega l’agenzia, dei “miglioramenti strutturali che Mps ha ottenuto nel rilancio del proprio modello di business” che ha portato a miglioramento della redditività operativa “sostenibile nel medio termine” e a una “capitalizzazione adeguata”.

Quanto all’acquisizione di Mediobanca ci sono “rischi di esecuzione” ma “se attuata senza scosse, potrebbe accelerare gli sforzi di Mps per rafforzare il proprio franchise di wealth management e di credito al consumo ed estendere le sue aree di attività al servizio delle Pmi italiane”. Discorso diverso per il rating di Mediobanca (BBB+) che, afferma invece S&P, potrebbe essere tagliato nel caso nel caso in cui i “punti di forza” che caratterizzano Piazzetta Cuccia dovessero essere messi in pericolo e la fusione creasse “un aumento dei rischi” per il rating.

L’obiettivo del 35% appare a portata di mano se si considera che il Monte parte con il sostegno dei suoi azionisti Delfin e Caltagirone, soci di Mediobanca con il 30% del capitale, a cui potrebbero saldarsi i voti delle casse di previdenza (5,5%) e, forse, dei Benetton (2,2%) e di Unicredit (accreditata del 3,9%), tra i potenziali astenuti che hanno spinto Mediobanca a rinviare l’assemblea su Banca Generali di metà giugno. Il mercato inizierà a dire la sua dal 14 luglio, data di avvio dell’ops, che si concluderà l’8 settembre.

Nel frattempo continua lo sfaldamento dell’accordo di consultazione, storico puntello di Nagel, i cui componenti preferiscono monetizzare le loro azioni anziché scegliere tra diventare soci di Mps o difendere l’indipendenza di Mediobanca. Dopo l’uscita di Mediolanum (3,49%) e la vendita dello 0,23% del gruppo Gavio, la quota del patto è scesa al 7,88% e conterà gli ulteriori alleggerimenti comunicati ieri sera da Gavio (250 mila azioni), FerFin (200 mila azioni) e Monge (354 mila azioni). Movimenti che si riflettono sull’andamento del titolo, che continua la sua parabola discendente rispetto ai massimi di 21,3 euro di metà maggio, quando Banca Generali era un’alternativa concreta, e che neppure l’aggiornamento del piano stand alone, con la sua promessa di 4,9 miliardi ai soci in tre anni, è riuscito a rivitalizzare, complici le forti incertezze sul suo destino.

In Borsa Mediobanca ha tenuto (+0,1% a 18,61) mentre Mps ha ceduto il 2%, a 6,92 euro, con uno sconto che si è riallargato al 5,8%, pari a circa 900 milioni. Il prospetto di Mps ha infatti evidenziato che senza il 50% le sinergie andrebbero a rilento, sprigionandosi integralmente nel 2030 anziché nel 2028, mentre i 2,9 miliardi di crediti fiscali (dta) potrebbero essere consumati in dieci anni anziché in sei, con un beneficio annuo che scende da 500 a 300 milioni. Per gli analisti di Equita, tra i consulenti di Piazzetta Cuccia nell’ops su Banca Generali, è “nell’interesse di Mps superare almeno la soglia del 50% e a tendere il 66,7%”, obiettivo “difficilmente” raggiungibile senza un rilancio. Lovaglio ha escluso ritocchi, definendo “corretto ed equo” il corrispettivo di 2,533 azioni. Si vedrà se il banchiere terrà il punto o, come accaduto in molte ops bancarie (Ubi, illimity, Sondrio), ricorrerà a un rilancio cash per smuovere gli indecisi e garantirsi un’adesione più alta che ridurrebbe il consumo di capitale e accelererebbe l’integrazione.

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Economia

Dazi USA, Trump alza i toni: intesa fragile con l’Ue, von der Leyen tratta per evitare lo scontro

Donald Trump annuncia dazi fino al 40% contro sette Paesi. Von der Leyen tratta per evitare l’escalation e tenere l’Europa fuori dalla guerra commerciale. Berlino, Roma e Parigi in pressing.

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Nessuna comunicazione ufficiale a Bruxelles, ma una mossa unilaterale da parte di Donald Trump, annunciata via Truth Social, ha riacceso lo scontro commerciale tra Stati Uniti e mondo. Il presidente americano ha indicato i primi sette Paesi destinatari di nuove tariffe doganali tra il 25% e il 40% a partire dal primo agosto: Giappone, Corea del Sud, Myanmar, Laos, Sudafrica, Malesia e Kazakistan.

Nel frattempo, un canale diretto tra Trump e Ursula von der Leyen resta l’ultima ancora di salvezza per l’Unione Europea, che cerca un’intesa fragile e complessa da costruire prima della scadenza. La finestra negoziale è stata prorogata da un nuovo ordine esecutivo del tycoon, ma i margini restano stretti.

L’Europa compatta ma divisa su come reagire

Mentre Wall Street vacilla, i vertici europei lavorano a una posizione comune. Von der Leyen ha ribadito al Parlamento europeo la necessità di negoziare “con forza e unità”, con un coordinamento stretto tra Berlino, Roma e Parigi. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macronsono in contatto continuo per rafforzare il fronte europeo.

L’ipotesi più concreta resta quella di un compromesso sull’aliquota unica al 10%, con esenzioni per settori strategicicome aerospazio, tecnologia e alimentare di qualità. Ma Parigi spinge per la linea dura, con l’Austria e la Spagna al suo fianco, evocando anche il ricorso allo strumento anti-coercizione, che colpirebbe le grandi aziende tech statunitensi.

Contromisure pronte a Bruxelles

Nel frattempo, due pacchetti di contromisure europee – uno congelato in primavera, l’altro in fase di rifinitura – sono già pronti: l’Europa potrebbe colpire prodotti americani per un valore fino a 120 miliardi di euro, con l’ipotesi di estendere la rappresaglia anche alle Big Tech.

Il timore principale è l’aumento delle tariffe già in vigore: 25% sulle auto europee, 50% su acciaio e alluminio, e la minaccia più recente di un ulteriore 17% sull’agroalimentare, che preoccupa soprattutto Italia e Francia.

La via del dialogo e il possibile viaggio a Washington

Nonostante tutto, la trattativa resta aperta. Un portavoce dell’UE ha dichiarato che “siamo all’inizio della fase finale e per posizionarci al meglio nel negoziato non possiamo aggiungere altro”, confermando la determinazione a ottenere “il miglior accordo possibile”.

Se nelle prossime settimane maturerà un’intesa di principio, von der Leyen potrebbe recarsi ufficialmente a Washington, ripetendo quanto fatto da Jean-Claude Juncker nel luglio 2018, quando ottenne una tregua in cambio dell’impegno europeo ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto e armamenti americani. Oggi, quella stessa contropartita torna sul tavolo, come carta geopolitica da giocare in una partita a scacchi dai risvolti economici esplosivi.

(Immagine realizzata con sistemi di Ia)

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Economia

‘Usa hanno proposto a Ue accordo con tariffe base del 10%’

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Gli Stati Uniti hanno proposto un accordo all’Unione Europea che manterrebbe una tariffa base del 10% su tutti i prodotti dell’Ue, con alcune eccezioni per settori sensibili come aerei e alcolici: lo scrive Politico citando un diplomatico di Bruxelles e un dirigente nazionale. I contorni di un accordo commerciale sono ancora incerti, hanno sottolineato fonti diplomatiche, e qualsiasi accordo è soggetto all’approvazione di Trump per procedere. Washington non ha dato alcuna indicazione di voler esentare settori politicamente sensibili come quello automobilistico, siderurgico e dell’alluminio o farmaceutico, come richiesto da Bruxelles. Francia, Italia e Irlanda sarebbero tuttavia probabilmente soddisfatte delle esenzioni per alcolici e aeromobili.

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Economia

Cina: difenderemo i nostri diritti da pressione dazi Usa

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Di fronte alle pressioni dei dazi Usa, la Cina “rimane ferma nel difendere i propri diritti e interessi e nel sostenere l’equità e la giustizia internazionale”. Il premier Li Qiang, durante l’incontro a margine del 17/mo vertice dei Brics con la numero uno dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), Ngozi Okonjo-Iweala, ha assicurato che Pechino dispone “di abbondanti risorse e mezzi per contrastare gli impatti esterni negativi” ed “è fiduciosa e in grado di promuovere uno sviluppo economico costante e sano”. La Cina introdurrà “ulteriori misure di apertura volontaria e unilaterale”, ha aggiunto Li, secondo l’agenzia Xinhua.

Il panorama commerciale globale “ha subito cambiamenti significativi a causa dell’intensificarsi dell’unilateralismo e del protezionismo, che hanno avuto un impatto significativo sull’ordine economico e commerciale internazionale”, ha aggiunto Li, auspicando la coesione da parte dei Paesi in via di sviluppo. Nel suo intervento alla sessione plenaria del vertice dei Brics, il premier cinese ha detto che il gruppo dovrebbe “guidare attivamente la cooperazione allo sviluppo e sfruttare il potenziale di crescita dei settori emergenti”. Anche per tale scopo, Pechino istituirà quest’anno “un centro di ricerca Cina-Brics sulle nuove forze produttive di qualità”, sempre nel resoconto della Xinhua.

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