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Fiori e strazio, Castenaso piange Giulia e Alessia

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Girasoli, rose e margherite bianche. Davanti alla casa della famiglia Pisanu, nelle campagne di Madonna di Castenaso nel Bolognese, da questa mattina presto e’ un viavai di amici, conoscenti. C’e’ chi lascia un mazzo di fiori, chi entra per un abbraccio. Oggi, dopo la scomparsa di Giulia e Alessia, e’ il giorno del dolore e della commozione. In casa ci sono anche la sorella maggiore, Stefania, e il papa’ Vittorio che, in tarda mattinata, hanno incontrato il sindaco Carlo Gubellini. “Il padre non si capacita di quanto e’ accaduto – riferisce il primo cittadino all’uscita – lo sconforto e il dolore sono immensi. Non riesce ad accettare quanto e’ successo. Sia lui che Stefania sono lucidi e addolorati”. In giornata, a Castenaso, e’ rientrata anche la madre delle giovani che, da qualche tempo, si era trasferita in Romania. “In occasione dei funerali – aggiunge Gubellini – proclameremo una giornata di lutto cittadino, cercheremo di fare il possibile per stare vicino alla famiglia. Vogliamo organizzare per i giovani un momento di raccoglimento per affrontare quanto e’ successo”. Giulia e Alessia erano molto conosciute, come molti ragazzi di Castenaso frequentavano un locale immerso in un parco vicino al centro commerciale. “E’ il nostro luogo di ritrovo – racconta una amica 17enne delle sorelle – conoscevo bene entrambe, Giulia era molto amica di mia sorella, veniva spesso da noi a cena. Quando ieri abbiamo saputo cosa era successo a Riccione ci siamo ritrovati in un parco qui vicino e abbiamo acceso delle lanterne con i loro nomi, siamo tutti sotto choc. Alessia e Giulia erano bravissime e bellissime”. La giovane ricorda poi un’altra ragazza che ha perso la vita, nel novembre 2020, a Castenaso: Irene Boruzzi, investita da un uomo al volante sotto effetto di alcol. “Dopo Irene che e’ morta, questa notizia e’ stata scioccante. Aspettiamo tutti insieme il funerale, mi dispiace molto per il loro papa’”. E proprio la sorella di Irene, Sara, incontrata nel locale nel parco, descrive cosa ha provato quando ha saputo della tragedia in stazione. “Dopo Irene ho imparato che un evento puo’ sconvolgere la vita di qualcuno in pochi istanti, per questo bisogna essere felici di cio’ che si ha. Sono rimasta molto colpita da quello che e’ successo. Delle due sorelle, conoscevo la piu’ grande, era con me alle scuole medie: era una ragazza socievole, gentile. Sicuramente la vicinanza della comunita’ potra’ aiutare la famiglia Pisanu – conclude – e’ vero che i familiari vorrebbero solo potere riabbracciare chi non c’e’ piu’, ma avere tante persone vicine aiuta davvero”. “Adesso e’ il tempo del rispetto, del silenzio e del raccoglimento. Le troppe parole scombussolano solo, dicono la parziale verita’ di tutto e deve essere solo un momento di raccoglimento e affetto e tenerezza verso i giovani. Questo e’ l’unico atteggiamento che noi adulti dobbiamo avere e manifestare”, dice don Giancarlo Leonardi, parroco di Castenaso.

Giulia e Alessia,la telefonata al padre prima di morire

Pochi minuti prima di morire Giulia e Alessia hanno telefonato al padre per rassicurarlo che stavano tornando a casa. La novita’ emerge dalle indagini e dalle testimonianze raccolte dalla Polizia ferroviaria che sta indagando sulla tragedia delle due sorelle, 17 e 15 anni, travolte da un treno Frecciarossa in transito ieri mattina alla stazione di Riccione e sulle ore precedenti alla morte delle due ragazze di Castenaso. Nel paese in provincia di Bologna e’ stato annunciato il lutto cittadino per il giorno dei funerali, che ancora non sono stati fissati. Tra le persone ascoltate c’e’ un ragazzo di 24 anni che ieri mattina, all’uscita della discoteca Peter Pan, ha accompagnato le due sorelle in stazione, insieme a un amico. Un lavoro di ricostruzione minuzioso, quello degli agenti della Polfer che grazie alla telefonata al padre sono riusciti ad identificare e rintracciare il giovane. Il 24enne ha riferito di aver visto Giulia e Alessia, la sera precedente in discoteca e di aver rivisto nuovamente la maggiore fuori dal locale stesa a terra, stanca ma – a suo dire – non in uno stato di particolare alterazione. Giulia stessa gli aveva raccontato di essere particolarmente provata perche’ aveva lavorato tutto il giorno prima di partire con la sorella per andare a ballare a Riccione. Durante il tragitto, dalla discoteca alla stazione, era stata invece Alessia, la piu’ giovane, a chiedere in prestito il cellulare per poter fare una telefonata al padre. Il suo era scarico e alla sorella avevano rubato borsa e telefonino. Giulia e Alessia, secondo quanto ricostruito fino ad ora, domenica mattina sono arrivate in stazione intorno alle 6.50, mentre l’impatto con l’Etr diretto verso Milano e in transito a circa 200 chilometri orari si sarebbe verificato invece intorno alle 7. Una decina di minuti in cui le due ragazze sono state notate da almeno cinque testimoni che hanno raccontato tutti di averle viste entrare in stazione, prima Giulia e poi Alessia. La maggior parte ha riferito di aver visto la maggiore, Giulia, sui binari e Alessia seduta a terra sulla banchina, per poi scendere e raggiungere la sorella. Sono racconti frammentati, flash e ricostruzioni dei fatti che la polizia sta raccogliendo solo sulle testimonianze, in primis quella del macchinista, perche’ non vi sarebbe alcun video delle telecamere di sorveglianza a riprendere il momento dell’impatto. Anche secondo il macchinista pare che Giulia si trovasse sui binari con il volto e lo sguardo fisso rivolto verso il treno. Gli altri testimoni in stazione hanno visto Alessia prima sedersi sulla banchina e poi scendere sui binari per smuovere la sorella. Quando ha capito che non riusciva a portarla via con se’ Alessia avrebbe accennato a tornare sui suoi passi, ma ormai era troppo tardi. Il treno ha fischiato, ma a quel punto era impossibile evitare un impatto terribile. “Ho visto una ragazza seduta nei binari, e l’altra “che ha cercato di tirarla via”, ha detto Stefano, 32 anni. Il giovane pero’ ha specificato che quella seduta in mezzo ai binari indossava “un vestito verde”, e quindi si tratterebbe di Alessia, mentre l’altra era “vestita di nero”. Il treno arrivato a tutta velocita’ ha centrato entrambe. “Ho sentito un botto, un’esplosione, come se fosse una bomba”, racconta il giovane. “Sono stato male tutto il giorno”, “Vedere due corpi sparire cosi’ e’ veramente agghiacciante”. Al momento l’indagine aperta dalla magistratura e’ a modello 45, fascicolo che non prevede notizie di reato, ne’ indagati. Sono anche esclusi per motivi tecnici esami tossicologici sui resti delle due ragazze. Probabile invece un esame del Dna per accertare compiutamente l’identita’ delle due sorelle visto che il riconoscimento ieri da parte del padre, arrivato a Rimini, accompagnato dal fratello, non puo’ considerarsi definitivo.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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