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Fiordaliso, tra musica e vita: “Il tempo passa, ma la testa è rimasta a trent’anni”

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Marina Fiordaliso, per tutti semplicemente Fiordaliso, ripercorre la sua carriera e la sua vita in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera. Una voce graffiante del pop italiano, con nove partecipazioni a Sanremo, che ancora oggi continua a emozionare il pubblico.

Nel 1982, tra i giovani debuttanti del Festival, c’era lei accanto a due futuri giganti della musica italiana: Zucchero e Vasco Rossi. Il primo, racconta, era un caro amico, ma il tempo li ha portati su strade diverse. Vasco, invece, all’epoca era un dj poco interessato alla competizione. Ma fuori dal palco, il divertimento era assicurato: “Dietro le quinte mangiavamo di tutto, certe porcate!”.

Indimenticabile poi il coretto, fatto di nascosto, durante l’esibizione di Stefano Sani con la sua Lisa se n’è andata via: un momento di goliardia che oggi, tra artisti più isolati e protetti, sembra difficile da immaginare.

IL SUCCESSO OLTRE CONFINE

Il nome di Fiordaliso è legato a una delle canzoni più iconiche della musica italiana: Non voglio mica la luna, brano che nel 1983 la portò alla ribalta. Il suo impatto fu tale che, quando le dissero che il brano era primo in classifica in Spagna, partì subito per verificare di persona nei negozi di dischi.

La sorpresa fu grande quando, girandosi, si ritrovò davanti uno stand interamente dedicato a lei. Anche in Messico, la sua musica divenne un fenomeno, con la canzone Viaggiamo scelta come sigla di una famosa emittente radiofonica.

Eppure, la cantante ammette di non essersi mai abituata alla notorietà: “Ancora oggi, se qualcuno mi guarda, penso di avere una macchia addosso”.

SANREMO E LE GRANDI DONNE DELLA MUSICA ITALIANA

Gli anni ’80 sono stati per Fiordaliso il decennio d’oro di Sanremo: un periodo fatto di eccessi, spensieratezza e suoni innovativi. I cantanti si ignoravano a vicenda, il divismo era palpabile, ma lei ha sempre mantenuto i piedi per terra.

Su Anna Oxa dice che sembrava irraggiungibile, mentre ricorda Mia Martini come una gran signora, capace di non esprimere neanche una cattiveria sulle colleghe, nonostante le maldicenze che la circondavano.

E su Loredana Bertè? L’ha conosciuta meglio durante il reality Music Farm e ricorda ancora l’emozione di vederla uscire dal programma serena e in pace con se stessa.

UNA VITA TRA MUSICA E FAMIGLIA

Fiordaliso racconta che deve tutto a sua madre, che di nascosto inviò una sua cassetta a Castrocaro, portandola alla vittoria ex aequo con Zucchero e aprendole le porte di Sanremo.

E mentre lei muoveva i primi passi, un giovanissimo Eros Ramazzotti si presentava con una camicia di pizzo rossa e un aspetto da cherubino. Quando qualche anno dopo tornò sul palco con un’immagine più da macho, la sua carriera spiccò il volo.

Fiordaliso ha avuto un’infanzia semplice e felice: una casa piccola ma piena di affetto, una famiglia numerosa, un padre severo ma appassionato di musica, che le insegnò l’arte del canto.

E poi la ribellione: il primo figlio a 15 anni, il trasferimento in una casa famiglia a Milano, la difficoltà di essere una madre adolescente. Ma racconta che, grazie all’aiuto ricevuto, riuscì a superare ogni ostacolo.

IL TEMPO CHE PASSA, TRA RIMPIANTI E IRONIA

Oggi Fiordaliso ha 69 anni, vive tra Roma e Piacenza, si dedica alla famiglia e ai nipoti, ma continua a cantare.

Eppure, ammette senza mezzi termini: “Odio il tempo che passa. Non tanto per le rughe, ma perché mi stanco di più. La voce, che a vent’anni era perfetta, ora va trattata come un calice di cristallo”.

L’amore? Capitolo chiuso. Se vede scene sensuali in tv cambia canale per noia. Ma non nega di aver fatto pazzie per amore, come macinare chilometri per vedere una persona o rinunciare a uno show di Capodanno con Pippo Baudo per una delusione sentimentale.

E, senza peli sulla lingua, ammette di aver tirato un pugno a un uomo in aeroporto dopo aver scoperto di essere stata tradita.

VIVERE ALLA GIORNATA

Fiordaliso non fa piani a lungo termine: “Vivo alla giornata, come gli africani. Se domani succede qualcosa di bello, bene. Se succede qualcosa di brutto, vado a letto e cerco di dimenticarlo”.

E per il suo compleanno? Stacca il telefono. “Non c’è niente da festeggiare”.

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Saragat, il padre della socialdemocrazia raccontato da sua figlia: «La sua ultima parola fu: “Mamma”»

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«Dove i rapporti sono umani la democrazia esiste, dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide». È una delle tante lezioni lasciate da Giuseppe Saragat (foto Imagoeconomica in evidenza), uno dei padri fondatori della Repubblica italiana, uomo di cultura, statista, antifascista, presidente della Costituente e primo socialista al Quirinale. A ricordarlo oggi, in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, è la figlia Ernestina, che alla soglia dei 97 anni ricostruisce con lucidità e affetto la figura del padre e i momenti cruciali della storia d’Italia vissuti al suo fianco.

L’UOMO E IL PADRE

«Era un padre affettuoso e severo, ma lasciava a me grande libertà», racconta Ernestina, nata a Vienna durante l’esilio. Una vita fatta di fughe e clandestinità, accanto alla madre Giuseppina Bollani, «forte e discreta», e a fianco di compagni di lotta come Pietro Nenni e i fratelli Rosselli. Quando questi ultimi vennero assassinati dai fascisti nel 1937, Saragat ne fu devastato.

L’ANTIFASCISMO E IL CARCERE

Fu arrestato nel 1943 a Bardonecchia, liberato solo grazie all’intervento di Bruno Buozzi, il quale verrà poi ucciso dai nazisti. Dopo un passaggio nella famigerata via Tasso fu trasferito a Regina Coeli, nel braccio della morte. La fuga rocambolesca organizzata da Vassalli e Giannini salvò lui e Sandro Pertini. «Non volevano lasciare indietro gli altri detenuti, stavano per compromettere tutto».

LA SCISSIONE E LA SOCIALDEMOCRAZIA

Nel 1947 Saragat lasciò la presidenza della Costituente dopo la scissione di Palazzo Barberini. Nacque allora la via italiana alla socialdemocrazia. Le critiche furono dure, ma lui non rinunciò mai al dialogo, neanche con chi lo aveva attaccato. Anticomunista convinto, fu tra i primi a condannare con fermezza l’invasione dell’Ungheria e le derive totalitarie sovietiche.

SETTE ANNI AL QUIRINALE

Diventò Presidente della Repubblica nel 1964, dopo una lunga maratona elettorale. Da Capo dello Stato visitò Auschwitz, accolse Shimon Peres, fu ricevuto dalla regina Elisabetta, da Kennedy, Nixon e Johnson, a cui parlò dei bombardamenti in Vietnam. «Era amico di Israele, ma contrario a ogni sopruso», ricorda la figlia.

MORO E LE BRIGATE ROSSE

Durante il sequestro Moro, Saragat sostenne la necessità di trattare con le Brigate Rosse. «Era convinto che lasciare Moro nelle mani dei suoi carcerieri fosse un errore gravissimo». A confermare il loro legame una lettera ritrovata nel covo delle Br, in cui Aldo Moro lo ringraziava per le sue parole di solidarietà.

L’UOMO PRIVATO

Era colto, ironico, severo. «Diceva che solo lui e non Togliatti avevano letto tutto il Capitale», racconta Ernestina. Dopo la morte della moglie, fu devastato. «La sua ultima parola fu: “Mamma”, riferita a lei». E fu Pertini a salutarlo per l’ultima volta, poggiando una rosa rossa sul suo letto.

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Crisi Ucraina, Trump alza il tono: «Chi non collabora è un imbecille». E minaccia lo stop ai negoziati

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Il tempo stringe, e Donald Trump lo sa bene. Il presidente americano ha lanciato un messaggio netto e ambiguo al tempo stesso: o i negoziati di pace tra Ucraina e Russia portano a risultati concreti in tempi brevi, o gli Stati Uniti si ritireranno dal tavolo. «Chi rende le cose difficili è un imbecille. Passeremo ad altro», ha detto ai giornalisti, con il consueto tono ruvido, lasciando intendere che la pazienza di Washington è agli sgoccioli.

Il piano Usa: territori alla Russia, stop alle sanzioni, niente Nato per Kiev

La bozza dell’intesa, secondo indiscrezioni riportate da Bloomberg, concede molto a Mosca: prevede infatti il congelamento del conflitto lungo l’attuale linea del fronte, lasciando i territori occupati alla Russia, Crimea inclusa. Non solo: viene escluso l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e si ipotizza un allentamento delle sanzioni in cambio della cessazione delle ostilità.

Ma Volodymyr Zelensky non ci sta. «Non considereremo mai i territori ucraini come russi», ha ribadito, chiudendo la porta a ogni cessione territoriale. La sfiducia di Kiev nei confronti del piano americano è palpabile, e si riflette anche nel clima tra i sostenitori: tra i meme che circolano online, uno mostra un coniglio dilaniato da un bombardamento a Kharkiv con la scritta: «Questo è il tuo coniglio di Pasqua, Mr Trump».

Mosca gioca al rialzo: «Serve più tempo»

Nel frattempo, il Cremlino prende tempo. Il portavoce Dmitry Peskov ha affermato che ci sono «sviluppi», ma che serviranno «molte discussioni difficili». Nessun ordine da parte di Vladimir Putin per rinnovare la tregua sugli impianti energetici, scaduta da giorni. E Mosca insiste su condizioni inaccettabili per Kiev, tra cui la sovranità russa sulle cinque regioni occupate e la fine delle forniture militari occidentali.

Memorandum e minerali: gli Usa restano sul campo

Nonostante le minacce di Trump, Washington non abbandona Kiev. Giovedì è stato firmato un memorandum d’intesa economica, primo passo verso un accordo che prevede lo sfruttamento congiunto delle terre rare ucraine in cambio di supporto militare. L’intesa dovrebbe essere siglata tra il 24 e il 26 aprile, segnale che la cooperazione continua, anche se con molte ombre.

Fratture nell’amministrazione Usa

Le posizioni, però, non sono univoche neanche a Washington. Il vicepresidente JD Vance, in visita a Roma, si è detto «ottimista» sull’esito dei negoziati, mentre il segretario di Stato Marco Rubio, da Parigi, ha usato toni più duri: «Non possiamo continuare all’infinito, è una questione di giorni, non di mesi».

Rubio ha presentato un piano in tre punti: concessione dei territori occupati alla Russia, riduzione delle sanzioni, e cancellazione dell’adesione ucraina alla Nato. Uno schema che non tiene conto delle richieste minime di sicurezza di Kiev, e che segnala una volontà crescente negli Stati Uniti di chiudere il dossier Ucraina, anche a costo di scontentare gli alleati.

Verso un disimpegno Usa?

La sensazione è che Washington voglia lasciare la regia della crisi agli europei, con l’asse franco-britannico pronto a guidare la cosiddetta «coalizione dei volenterosi». Resta da capire se e in quale misura gli Stati Uniti continueranno a fornire armi a Kiev in caso di rottura definitiva dei negoziati.

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Meloni a Washington, elogi da Trump e attenzione della stampa Usa: «Un rapporto speciale»

Il New York Times: «Trump l’ha sommersa di elogi». Bloomberg: «Segnale di distensione sui dazi».

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Una visita ricca di simboli e implicazioni quella della premier Giorgia Meloni alla Casa Bianca, dove ha incontrato il presidente Donald Trump in un faccia a faccia definito dal New York Times «un incontro in gran parte senza intoppi», durante il quale il tycoon «l’ha sommersa di elogi iperbolici» e ha espresso una particolare «affezione» per la leader italiana. Per il quotidiano statunitense, si tratta di un evento che «cementa un rapporto speciale».

“Rendere l’Occidente di nuovo grande”

A colpire gli osservatori americani è stata la frase con cui Meloni ha fatto eco, seppur in modo indiretto, al celebre slogan trumpiano Make America Great Again: «Vogliamo rendere l’Occidente di nuovo grande». Un passaggio evidenziato dalla stampa Usa come un chiaro segnale di sintonia ideologica, rafforzato da una presa di distanza comune dai temi della diversità e dell’ideologia woke, su cui Meloni e Trump condividono una visione critica.

Bloomberg: «Primo segnale di distensione sui dazi»

Per Bloomberg, la visita ha avuto un’importanza strategica sul piano commerciale: è infatti la prima volta che Trump manifesta apertura a un confronto costruttivo con l’Unione Europea sui dazi, ponendo fine – almeno nei toni – alla storica retorica aggressiva nei confronti di Bruxelles. «Sono scomparse le invettive contro l’Unione Europea», nota l’agenzia finanziaria, mentre Trump riconosce la possibilità di «un accordo facile» con l’Europa e altri partner.

Il Washington Post guarda altrove

Curiosamente, il Washington Post ha dato poco rilievo all’incontro Meloni-Trump, preferendo in prima pagina un’inchiesta dedicata alle infiltrazioni mafiose tra gli ultrà delle squadre milanesi Milan e Inter. Tuttavia, nell’analisi del bilaterale, sottolinea come Trump non abbia mostrato fretta nel concludere nuovi accordi commerciali, convinto che «i dazi arricchiscano gli Stati Uniti», sebbene abbia lasciato aperta la porta a possibili negoziati.

Wall Street Journal: “Ora tutti vogliono comprare americano”

Il Wall Street Journal, infine, ha dedicato la foto di prima pagina all’incontro tra Meloni e Trump nello Studio Ovale, con un titolo che strizza l’occhio all’orgoglio del presidente americano: «I Paesi di tutto il mondo promettono di comprare americano», sottolineando il nuovo slancio agli investimenti internazionali negli Stati Uniti.

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