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Spettacoli

Festival di Sanremo, Giorgia vince serata cover con Annalisa

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Con la potente interpretazione di Skyfall di Adele in coppia con Annalisa, Giorgia vince la serata di Sanremo dedicata alle cover, la tradizionale carrellata di classici italiani d’autore, gioielli pop, cover rock e soul, che si apre con Roberto Benigni, tra battute a raffica su Musk, Giorgia, Trump e parole di affetto per il presidente Mattarella, e trova in Geppi Cucciari la mattatrice.

Sul podio Lucio Corsi, che propone con Topo Gigio Nel blu dipinto di blu, e Fedez, che trasforma Bella Stronza di Marco Masini in una lettera a un amore finito, chiudendo con gli occhi lucidi con “Ti ho dato tutte le ragioni per essere una bella stronza”. La serata si apre con Benigni. “Carlo, hai fermato l’Italia, dovresti fare il ministro dei Trasporti. Lo faresti in maniera straordinaria’, scherza Benigni con Conti, lanciando la prima stoccata a Matteo Salvini. Ma l’ironia si fa subito bipartisan: “Hai chiamato tutti: dalla Clerici a Gerry Scotti da Mediaset. Tu sì che hai fatto il campo largo…”.

Niente politica quest’anno al festival: “Ho visto Marcella Bella, le ho detto Bella ciao, è successo un casino! Per par condicio ho dovuto salutare anche i Neri per Caso”, dice tra gli applausi. E poi: “Sai chi ci sta guardando dal satellite? Elon Musk. È interessatissimo all’Italia, figurati se non vede Sanremo. Gli interessa proprio. Su X ha già votato per il vincitore: Giorgia. C’era anche l’anno scorso e l’anno prima, e dai retta a me, ci sarà per diversi anni”.

E se l’uomo più ricco del mondo “sta preparando la marcia su Roma, al grido di ‘o Roma o Marte'”, Trump vuole la Liguria, altrimenti mette “un dazio del 200% sulle trofie al pesto”, dice Benigni, che il 19 marzo tornerà su Rai1 con Il Sogno. Nel giorno dell’affondo di Mosca contro il capo dello Stato, manda un messaggio di sostegno a Mattarella: “Presidente, siamo sempre vicini alle sue parole, ci riconosciamo, non abbiamo mai sentito uscire da lei una parola che non fosse di verità e di pace. Siamo orgogliosi di essere rappresentati da lei, per la sua dignità e umanità”.

Poi tocca a Geppi: “Quale persona, che ambisce di dare del tu all’ironia, vorrebbe salire su questo palco dopo Benigni. Grazie. Grazie, Graziella e grazie al Carlo”, è l’incipit. Mel mirino subito il direttore artistico: “Ascolti più tu che i servizi segreti. Di’ la verità: ti hanno chiamato perché era andato al Nove anche il segnale orario, gli altri non rispondevano al telefono”. Quest’anno, si chiede, “neanche una pubblicità occulta? Una scarpa anti infortunistica, un adesivo per dentiere? Così facciamo contento il Codacons che non se la prende solo con Fedez”.

E lancia il sondaggio sulla prossima superospite: “Lady Gaga per come canta, Meryl Streep per come recita o Augusta Montaruli per come abbaia”. Decisamente meno a suo agio nei vesti di co-conduttore Mahmood, che invece spacca quando, petto nudo e pantaloni rossi, propone un medley delle hit alcune delle quali lo hanno visto trionfare proprio all’Ariston, da RA TA TA a Soldi, da Kobra a Tuta gold. Il duetto più atteso è quello tra Fedez e Masini su Bella Stronza, dopo la fine tormentata del matrimonio del rapper con Chiara Ferragni e i rumors su presunti tradimenti: “Baciarsi e dirsi ti amo, sì, ma farlo di nascosto”, rappa Fedez. “Ho visto tutti i miei castelli dissolversi in granelli”, prosegue.

E ancora: “Mi hai detto che sono la ragione perché non riesci più ad amare / mi chiedo come tutto può finire ancora prima di iniziare”. Accenna alla malattia: “Ho una cicatrice sulla pancia che mi ha fatto meno male. Chi cerca quello che non deve trova quello che non vuole / Ti ho dato tutte le ragioni per essere una bella stronza”, chiude commosso il rapper nel giorno in cui la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta a suo carico per rissa e lesioni per il caso Iovino. L’ospite più dolce è senz’altro Topo Gigio, che propone con Lucio Corsi Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno.

Momenti di commozione quando, dopo il duetto tra Rocco Hunt e Clementino su Yes I Know My Way, rivisitata con chiari riferimenti alla drammatica realtà di questi giorni, riecheggia in teatro la voce di Pino Daniele. Brunori Sas dedica a Paolo Benvegnù, “che oggi avrebbe compiuto 60 anni”, la delicata interpretazione dell’Anno che verrà con Riccardo Sinigallia e Dimartino. Tony Effe stasera ha sostituito la collana ‘incriminata’ con una sciarpa gioiello che forse dello stesso marchio. In trend con il festival, si balla a ritmo degli Eighties con Johnson Righeira e i Coma_Cose che cantano L’Estate sta finendo.

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Gigi D’Alessio: l’IA distruggerà i giovani autori

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“Bisogna assolutamente regolamentare l’intelligenza artificiale perché andremo incontro ad una generazione mediocre e sfaticata, passatemi il termine, perché con una macchina che lavora al posto mio non farò nulla e non imparerò nulla. Una macchina non ha mai espresso emozioni. L’intelligenza artificiale è un recipiente di contenuti che mischia le carte e tira fuori una canzone. Che fine faranno gli autori, i Mogol, i Migliacci e i Baglioni, che hanno scritto canzoni che sono nel nostro dna? La macchina non ha occhi, non ha sangue nelle vene, non sa cos’è il battito del cuore quando si scrive una canzone”. Lo ha detto Gigi D’Alessio, intervenuto in videocollegamento al seminario al Mic su musica e IA.

“Io ho dedicato la mia vita alla musica, ho studiato al conservatorio, ho fatto sacrifici”, anche se “io non parlo per me: quello che dovevo fare l’ho fatto, ma i giovani avranno grosse difficoltà con prodotti uguali ma soprattutto senza anima perché è l’amore che muove il mondo ed è generatore di sentimenti. Dobbiamo fare assolutamente qualcosa per impedire che questo accada” ha aggiunto D’Alessio ricordando di essere andato fino a Bruxelles per sollevare il problema e lanciare l’allarme: “Dobbiamo usare le macchine, non ci dobbiamo fare usare da loro. La creatività verrà meno e avremo tutti prodotti uguali. Le case discografiche potranno non più investire sugli artisti e fare dischi e musica con l’intelligenza artificiale. A noi resteranno solo il live ma perderemo tutta la creatività”, ha messo in guardia il cantante.

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Musica

L’uomo Pino e l’artista Daniele nel docu di Lettieri

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I video fatti in casa, quelli con i bambini che giocano e le coccole ai cani di famiglia, e le foto di famiglia da una parte, le immagini dei concerti leggendari, come quello in piazza Plebiscito a Napoli, il 19 settembre del 1981, insieme alla superband composta da Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito, James Senese davanti a 200mila persone, dall’altra. C’è il Pino Daniele intimo, familiare e l’artista che partito da Napoli ha conquistato il mondo in Pino, il documentario con la regia di Francesco Lettieri, che sarà in sala il 31 marzo, 1 e 2 aprile, nell’anno delle celebrazioni per i 70 anni dalla nascita e i 10 dalla sua scomparsa.

“Spero di aver raccontato un Pino vero, di aver aperto qualche finestra sull’uomo, sulla sua intimità, su quella che è stata la sua storia. Anche gli aspetti più difficili da raccontare come i suoi genitori. Non c’è un solo Pino Daniele, io spero di aver contribuito ad averne uno in più”, racconta all’anteprima per la stampa a Roma il regista, che arriva dal mondo dei videoclip e ha voluto mantenere questa sua cifra stilistica anche nel docu, dove le canzoni del cantautore blues sono accompagnate da brevi film. “Per sottolineare come le canzoni di Pino abbiano attraversato questi anni e siano ancora contemporanee. Si respirano nei vicoli della città”. Nel documentario, è il giornalista e critico musicale Federico Vacalebre a ripercorrere i luoghi in cui l’artista ha vissuto per andare alla ricerca di un Pino inedito, attraverso il racconto e il punto di vista di chi lo ha conosciuto bene: familiari, amici d’infanzia, colleghi, musicisti (la maggior parte dei quali presenti solo in voce, “perché l’attenzione deve essere su Pino e tutti si sono messi al suo servizio”).

Tra loro Vasco Rossi, Jovanotti, Loredana Bertè, Eric Clapton, Rosario Fiorello. Ed è così che emergono i sogni, le paure, i bisogni di un uomo che è diventato “parte per il tutto”, con il difficile compito di rappresentare una città intera. Quella Napoli che lo ha generato e che tanto lo amò, da costringerlo ad abbandonarla, quando divenne impossibile vivere la quotidianità. Ma da Napoli, Pinotto, come lo chiamavano i fratelli per via delle sue rotondità, il ragazzo con gli occhiali spessi e l’aria da impiegato comunale, è riuscito a conquistare il mondo. “Questo film parte da un tesoro, che è quello custodito dalla Fondazione Pino Daniele – spiega Vacalebre -. Con tutto il materiale a disposizione avremmo potuto dare vita a una serie. Il film musicale, perché di questo si tratta, tiene insieme le radici e le ali di Lazzaro felice. E il duplice anniversario è solo una scusa per raccontare qualcosa che andava comunque raccontato e contestualizzarlo nel presente”.

Una delle voci che accompagnano il racconto è quella del figlio di Pino Daniele, Alessandro, presidente della Fondazione. “Per la prima volta abbiamo aperto gli archivi della Fondazione e quelli di famiglia. L’intenzione è far vivere e rivivere Pino nel racconto degli altri. La sua opera continua a essere presente”, spiega, aggiungendo che dal corposo materiale che è stato digitalizzato stanno emergendo chicche dimenticate come le immagini del concerto del 1981, ma anche brani accantonati durante le lavorazioni degli album, come l’inedito – di cui Tony Esposito ricordava perfettamente parole e melodia – Tiene ‘n’mmane (e come Una parte di me, dedicato al figlio Francesco e pubblicato a sorpresa pochi giorni fa). “Questi pezzi o le versioni alternative di brani che hanno visto la luce raccontano la sua ricerca musicale. Scrisse anche un inno del Napoli che fece cantare a Roberto Murolo. Vedremo cosa fare dei brani che stiamo scoprendo. Ne stiamo parlando”. Il documentario, prodotto da Groenlandia, Lucky Red e Tartare Film, sarà anche su Netflix a luglio. (

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Spettacoli

“Nonostante”, il film di Mastandrea: anime sospese tra coma e amore

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I protagonisti di Nonostante non hanno nomi né storie precise, non si presentano né si spiegano, vestiti sempre nello stesso modo, senza alcuna ragione apparente. È l’ambiente a suggerirci lentamente la verità: un ospedale in cui questi personaggi vagano liberamente, osservando i loro familiari in visita con espressioni diverse—curiosità, insofferenza, timidezza.

Chi sono davvero questi personaggi?

Sono anime sospese, persone in coma che attendono di tornare alla vita o spegnersi definitivamente. Fra loro c’è l’uomo con una curiosa giacca cerata gialla (Lino Musella), una donna insofferente verso i rituali familiari (Laura Morante), un giovane timido (Justin Korovkin), e l’uomo disinvolto e più esperto della situazione (Valerio Mastandrea). Ultima arrivata è una donna spigolosa e scostante (Dolores Fonzi), che inizialmente rifiuta l’aiuto dell’uomo disinvolto, convinta di poter affrontare tutto da sola.

Il significato profondo del film

Nonostante, scritto e diretto da Valerio Mastandrea (foto Imagoeconomica in evidenza) con Enrico Audenino, non si concentra sulle cause che hanno portato queste persone in coma, ma esplora l’amore nella sua forma più pura e inspiegabile. Infatti, l’uomo disinvolto scopre di essersi innamorato proprio della donna spigolosa. Un sentimento irrazionale e inaccessibile, che mette in risalto la forza incontrollabile del cuore, capace di battere anche nelle situazioni più estreme e inattese.

La visione del regista

Mastandrea evita di dare spiegazioni filosofiche o spirituali sul coma e la morte, preferendo concentrarsi su emozioni autentiche, libere da obblighi e rimpianti. Il film diventa così un modo per esplorare la natura essenziale dei sentimenti umani, mostrando come la realtà, inevitabilmente, farà sentire le proprie esigenze—perché dal coma ci si può risvegliare oppure no.

Tra sogno e melodramma

Con questa sua seconda regia dopo “Rido”, Mastandrea mostra una notevole ambizione artistica, muovendosi tra sogno, melodramma e sfumature fantasy. Nonostante diventa così una riflessione originale e profonda sull’amore, capace di esplorare territori narrativi inconsueti e coraggiosi.

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