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Ferita, sola e stremata Susie Goodhal, la velista della Golden Globe Race naufraga nel Pacifico: corsa contro il tempo per salvarla

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Cresce l’ansia per la sorte di Susie Goodall – la navigatrice britannica unica donna, nonchè la più giovane concorrente, impegnata nella Golden Globe Race 2018 – che si è rovesciata con la sua imbarcazione di oltre 10 metri nel Sud Pacifico, circa 2.000 miglia a ovest di Capo Horn. Lo riporta la Bbc. Ventinove anni di Falmouth, Goodall si trovava al quarto posto degli otto rimasti in gara. Al momento dell’incidente era alle prese con una tempesta con venti da 60 nodi e condizioni del mare durissime. Nel suo ultimo messaggio del 5 dicembre aveva twittato che era “totalmente stremata” e di “aver perso tutto l’albero” e comunicava la sua posizione. Le autorità cilene di ricerca e soccorso marittimo, che sono responsabili di quel settore del Pacifico, sono state subito allertate. I controllori di gara hanno contattata e la velista che ha detto loro di essersi ferita cadendo a terra e “sbattendo “la testa”. La nave più vicina è stata avvisata, ma è ad un giorno di distanza dalla posizione indicata dalla Goodall. Poichè non ci sono concorrenti che possano darle aiuto le autorità cilene hanno contattato una nave che si trova circa 480 miglia a Sud-Ovest della Goodall.

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Omicidio a Madrid: ucciso Andriy Portnov, ex consigliere di Yanukovich. Un delitto da guerra segreta

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Sembra la scena d’apertura di un film di spionaggio, ma è tutto reale. Andriy Portnov, avvocato ed ex politico ucraino, figura centrale nella stagione presidenziale di Viktor Yanukovich, è stato ucciso a colpi di pistola ieri mattina a Pozuelo de Alarcon, ricco sobborgo alle porte di Madrid. Un’esecuzione in piena regola, avvenuta davanti alla scuola americana, dove Portnov aveva appena accompagnato i figli.

Secondo le prime ricostruzioni, un killer lo attendeva nascosto, spalleggiato da un complice. Almeno cinque colpi d’arma da fuoco, tre dei quali lo hanno raggiunto, incluso uno mortale alla testa. I due sicari sono poi fuggiti. Sul posto sono giunti rapidamente polizia e servizi di emergenza, ma per Portnov non c’è stato nulla da fare.

Un personaggio scomodo, tra Kiev e Mosca

Nato a Lugansk, in passato vicino anche a Yulia Tymoshenko, Portnov era stato una figura controversa nella politica ucraina. Dopo il 2010 fu uno dei più influenti collaboratori di Yanukovich, diventando sostenitore delle “leggi dittatoriali” che tentarono di reprimere il movimento di Euromaidan nel 2014. Era considerato vicino alle forze speciali Berkut, responsabili della repressione violenta delle proteste.

Dopo la fuga di Yanukovich, Portnov lasciò l’Ucraina, rientrando solo nel 2019 per poi fuggire di nuovo nel 2022, dopo l’invasione russa. È stato iscritto nelle liste nere dell’Unione Europea e degli Stati Uniti per uso improprio di fondi pubblici e presunte manovre sul sistema giudiziario ucraino. Per i filorussi era un “paladino”, per molti ucraini un collaborazionista fuggitivo.

Secondo Radio Svoboda, la sua famiglia possedeva immobili in Russia insieme a persone vicine al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Intrecci che gettano ulteriori ombre sul movente dell’omicidio.

Una lunga scia di sangue in Spagna

L’omicidio di Portnov non è un caso isolato. La Spagna, dove la presenza di cittadini russi e ucraini è significativa, è diventata negli ultimi anni terreno d’azione di operazioni sospette.

Nel 2022, sei lettere bomba furono inviate a obiettivi istituzionali e ambasciate, inclusa quella ucraina. Poco dopo, un funzionario spagnolo simpatizzante della Russia venne arrestato. Nello stesso anno, un uomo d’affari legato alla Novatek fu trovato morto con la moglie e la figlia, in circostanze mai del tutto chiarite.

Ancora più clamorosa la vicenda del pilota russo disertore, fuggito con il suo elicottero in Ucraina e poi ucciso a colpi di pistola in un parcheggio ad Alicante. Un’azione che ha portato molti a parlare di vendetta dei servizi segreti russi.

Un delitto da guerra invisibile

L’assassinio di Portnov porta tutte le caratteristiche di un omicidio mirato, inserito nel quadro della “guerra segreta” tra Mosca e Kiev. Un conflitto parallelo che non conosce confini e che viene combattuto anche a migliaia di chilometri dal fronte, a colpi di dossier, esecuzioni e vendette trasversali.

La polizia spagnola e i servizi di intelligence sono ora al lavoro per capire chi ha armato la mano del killer e quali siano gli interessi nascosti dietro questo omicidio che, ancora una volta, trasforma l’Europa occidentale in teatro silenzioso di una guerra senza volto.

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Russia e Ucraina: storia (immutabile) di una trattativa impossibile

Dalla “operazione militare speciale” alla proposta di pace del 2024, le richieste russe restano sempre le stesse: denazificazione, demilitarizzazione e… tutto il resto.

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Russia e Ucraina: storia (immutabile) di una trattativa impossibile

Dalla “operazione militare speciale” alla proposta di pace del 2024, le richieste russe restano sempre le stesse: denazificazione, demilitarizzazione e… tutto il resto

Non è cambiato quasi nulla, se non i dettagli sul calendario. Le richieste della Russia all’Ucraina, sin dalle prime ore dell’invasione del 24 febbraio 2022, sono sempre rimaste le stesse: una Ucraina neutrale, disarmata, denazificata e, se possibile, amputata. Un copione rigido, monolitico, dove ogni nuova dichiarazione del Cremlino non è che una variazione sul tema, con qualche concessione retorica per tenere viva l’illusione della trattativa.

Come già ammoniva Andrej Gromyko, storico ministro degli Esteri sovietico, l’arte della diplomazia consiste nel “convincere l’interlocutore che è inutile opporsi, tanto prima o poi dovrà cedere”. Ed è esattamente questa la postura assunta da Vladimir Putin, che fin dal suo primo discorso alla nazione parlò di “difendere il popolo sottoposto a genocidio”, giurando che l’occupazione non era nei piani. Come tutti hanno poi scoperto, i piani erano ben altri.

Lo scopo: cambiare regime, non solo confini

L’obiettivo iniziale era semplice: far fuggire Zelensky e insediare un governo amico a Kiev, stile Bielorussia. L’operazione non riuscì, e da quel momento la Russia si trincerò dietro un mix narrativo di antinazismo, autodifesa preventiva e tutela delle minoranze russofone.

Ma già nell’aprile 2022, con il tavolo negoziale di Istanbul ancora formalmente aperto, il ministero della Difesa russoparlava di “controllo totale sul Donbass e sul sud dell’Ucraina per creare un corridoio verso la Crimea”. A dicembre, Putin parlava apertamente di “unificare il popolo russo”. Più che una trattativa, una lista della spesa territoriale.

14 giugno 2024: una proposta per (non) trattare

Nel 2024, a più di due anni dall’invasione, e con la guerra ancora in corso, Putin rilancia. Durante un discorso programmatico al ministero degli Esteri, il presidente russo presenta una nuova proposta di pace, che in realtà è sempre la stessa:
– Statuto neutrale dell’Ucraina
– Demilitarizzazione
– Denazificazione
– Riconoscimento delle “nuove realtà territoriali” (Crimea, Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia)
– Garanzie per i russofoni
– E, già che ci siamo, abolizione completa delle sanzioni occidentali

Altro che cessate il fuoco: una resa totale camuffata da dialogo. Per Kiev (e l’Occidente) inaccettabile. Ma per Mosca, evidentemente, un punto di partenza irrinunciabile.

L’inedito che conferma tutto

L’unica novità emersa negli ultimi mesi è un documento inedito, ottenuto da RadioFreeEurope, relativo al terzo round di colloqui del marzo 2022 in Bielorussia. Un testo di 6 pagine con allegati: disarmo quasi totale dell’Ucraina, esercito ridotto a 50 mila effettivi, niente più aiuti occidentali, nessuna rivendicazione su Crimea e Donbass.

Mancano solo Kherson e Zaporizhzhia. Ma solo perché non erano ancora state occupate.

In sintesi: la trattativa c’è, ma è sempre finta

A distanza di due anni e mezzo dall’inizio della guerra, la linea russa non si è mai spostata. Al massimo, si è irrigidita.
La “proposta di pace” è semplicemente il prolungamento della guerra con altri mezzi: un ultimatum ben confezionato. E, come sempre, il prezzo da pagare lo deve mettere l’Ucraina.

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Sparatoria davanti al museo ebraico di Washington: uccisi due dipendenti dell’ambasciata israeliana

Arrestato un 30enne di Chicago. Le autorità parlano di atto terroristico antisemita.

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Un attacco armato ha sconvolto la capitale degli Stati Uniti. Due dipendenti dell’ambasciata israeliana sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco all’esterno del Jewish Museum di Washington, nel cuore della città. A confermare la notizia è stata la segretaria per la Sicurezza interna, Kristi Noem, che ha parlato apertamente di “omicidio senza motivo”.

L’attentatore ha gridato “Free Palestine” durante l’arresto

Secondo i primi elementi raccolti, il killer, Elias Rodriguez, 30 anni, originario di Chicago, avrebbe aperto il fuoco contro un uomo e una donna nei pressi del museo ebraico, per poi essere arrestato mentre gridava “Free Palestine”, un dettaglio che rafforza la pista dell’odio ideologico e antisemita.

La responsabile della polizia metropolitana di Washington, Pamela Smith, ha confermato che Rodriguez è stato bloccato poco dopo l’agguato, e che le indagini sono in corso per verificare eventuali legami con gruppi estremisti.

Reazioni durissime: “Un attacco terroristico antisemita”

La reazione di Israele è stata immediata e durissima. Danny Danon, ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, ha definito la sparatoria «un depravato atto di terrorismo antisemita» e ha dichiarato che «fare del male alla comunità ebraica significa oltrepassare una linea rossa». Danon ha aggiunto che Israele continuerà a proteggere con determinazione i propri rappresentanti nel mondo.

Sulla stessa linea il presidente statunitense Donald Trump, che ha definito l’attacco «un orribile omicidio basato sull’antisemitismo», aggiungendo: «Odio e radicalismo non hanno posto negli Stati Uniti. È così triste che cose del genere possano ancora succedere».

Il segretario di Stato Marco Rubio ha parlato di «atto vile, sfacciato e antisemita» e ha assicurato: «Rintracceremo i responsabili e li assicureremo alla giustizia».

Le indagini proseguono

Le autorità federali e locali, insieme ai servizi di intelligence, stanno analizzando ogni aspetto del profilo del sospettato, compresi i suoi legami, eventuali viaggi e attività sui social network. L’obiettivo è capire se l’attentato sia stato organizzato o frutto di un gesto isolato ma carico d’odio.

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