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Cultura

“Famiglie mafiose al San Carlo”, le accuse di Edward Gardner su The Times: i coristi del Lirico lo portano in Tribunale

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“Il coro del San Carlo? Due famiglie mafiose rivali che, dopo una performance, si sono spedite a vicenda al pronto soccorso”. Questa incredibile e infamante affermazione arriva da Edward Gardner, direttore della London Philharmonic Orchestra, e viene pubblicata sul prestigioso quotidiano britannico The Times. Un’accusa pesante, feroce, offensiva, che non si limita a gettare fango su tutti i professionisti del Real Teatro di San Carlo (foto Imagoeconomica in evidenza), ma richiama ancora una volta il solito, stantio luogo comune: Napoli e la criminalità, Napoli e la mafia, Napoli incapace di essere città d’arte e cultura senza il pregiudizio della delinquenza.

Non fosse già abbastanza, la dichiarazione di Gardner ha scatenato conseguenze pesantissime: una commissione prefettizia sta ora indagando per verificare eventuali infiltrazioni mafiose all’interno del San Carlo. Perché si sa, se un importante direttore d’orchestra inglese lo dice in un’intervista, allora qualcosa sotto ci sarà.

Edward Gardner. Il direttore d’orchestra che ha accusato di mafia gli artisti del coro del Teatro di San Carlo

Ma c’è un dettaglio non trascurabile: le prove dove sono? Gardner ha presentato una denuncia? Ha fornito testimonianze? Ha qualche riscontro oggettivo? Nulla di tutto ciò. Eppure le sue parole hanno già prodotto un effetto devastante e danni incalcolabili, creando una tempesta che sta travolgendo non solo i coristi e artisti, ma l’intera immagine del teatro lirico più antico del mondo ancora in attività.

Il sindacato UILCOM Campania ha immediatamente preso posizione, chiedendo risposte chiare e nette. In un comunicato ufficiale, il sindacato si domanda come sia possibile che un musicista straniero possa permettersi di infangare il nome del San Carlo senza che nessuno reagisca. “Il silenzio della direzione è assordante” spiegano i sindacalisti, che chiedono “di sapere se il teatro abbia intenzione di intraprendere un’azione legale per difendere l’onorabilità dei suoi lavoratori”.

Angelo Pisani. Legale degli artisti del coro del Teatro di San Carlo

Dall’altra parte, arriva la risposta del sovrintendente del Teatro San Carlo, che si limita a una dichiarazione di circostanza: la direzione attenderà gli esiti delle indagini prima di prendere posizione. In pratica, mentre i coristi sono travolti dal fango, il teatro aspetta.

Se la direzione del Teatro temporeggia, gli artisti del coro del San Carlo hanno deciso di non restare inerti: 56 (per ora) su 75 membri del coro, insieme ad un tenore da poco andato in pensione, esterrefatti dalle generiche ed infamanti accuse di Gardner hanno invocato giustizia e dato mandato all’avvocato Angelo Pisani per trascinarlo in tribunale. Una scelta inevitabile per difendere il proprio nome e quello di un’istituzione che rappresenta la grandezza della cultura italiana nel mondo.

L’avvocato Pisani (che chiederà anche l’intervento del ministro della Cultura Alessandro Giuli) è categorico su questo punto. “Gardner – chiarisce il legale – dovrà spiegare in tribunale queste offese vergognose, letali per l’immagine, la salute psico fisica e la professionalità di tanti artisti. Accuse che ledono non solo dignità e professionalità dei coristi, ma del Real Teatro di San Carlo, della città di Napoli e dell’Italia intera. Questi luoghi comuni beceri e discriminatori sono inaccettabili. Se Gardner non riuscirà a provare le sue parole riportate su The Times, dovrà risarcire il danno incalcolabile arrecato a persone perbene e a una delle più prestigiose istituzioni culturali al mondo.”

Gardner avrà tutto il diritto di avere le sue opinioni sulla musica, ma diffamare e lanciare accuse di mafiosità senza prove è un atto grave. È inaccettabile che un teatro come il San Carlo, fondato nel 1737, modello per i più grandi teatri d’Europa, il teatro che ha incantato Stendhal, sia ora messo alla gogna addirittura per mafiosità. L’effetto domino è già partito: il teatro è sotto indagine e l’ombra dell’infamia si allunga su chi ci lavora con passione e dedizione.

Napoli è stanca di dover sempre rispondere alle solite accuse, di dover sempre dimostrare di essere qualcosa di diverso dallo stereotipo che gli altri vogliono imporre. Adesso la parola passa ai tribunali. Gardner dovrà rispondere delle sue affermazioni. E stavolta, le prove, dovrà portarle lui.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Cultura

Nella casa del Tiaso a Pompei la sala che brilla di stelle

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Un ammasso di gusci di ostrica sono accumulati nell’angolo di una stanza della casa del Tiaso, la lussuosa dimora di Pompei in cui sono venute ora alla luce le megalografie di baccanti e satiri che ornavano una sala per banchetti. La stanza dista pochi metri dalla meravigliosa sala affrescata dove si tenevano i grandiosi ricevimenti ispirati al culto dionisiaco. Tutto lascia pensare ai resti di un sontuoso pranzo in cui erano state offerte ai convitati portate del celeberrimo frutto di mare. E invece no. I resti delle conchiglie erano lì nella loro funzione di materiale edile; d’altra parte tutta quest’area della villa, nel momento in cui era stara sepolta dai detriti dell’eruzione vulcanica, era un cantiere avviato per restaurare la ricca dimora.

Dai gusci di queste conchiglie, triturate, i romani ricavavano infatti una finissima polvere, quasi trasparente, di carbonato di calcio, che veniva passato come ultimo strato sugli affreschi delle pareti. Il risultato era strabiliante ed è ancora perfettamente visibile. Questa polvere di carbonato a contatto con una sorgente luminosa iniziava infatti a luccicare. E tutt’ora lo fa, se gli si avvicina ad esempio la luce della torcia di un telefonino. Immaginate quindi questa stanza di accesso al tempietto che, nella penombra rischiarata da candelabri, lucerne e bracieri, brillava di puntini luminosi come fosse un cielo stellato. L’effetto doveva essere sbalorditivo.

D’altronde era la stanza di accesso ad un luogo spirituale, anche questo degnamente affrescato da scene delle quattro stagioni e allegorie dell’agricoltura e della pastorizia che spiccano da uno sfondo azzurro, o meglio in blu Egizio. Un altro materiale decorativo sfarzosissimo, ritrovato anche in altri ambienti della villa. Era un materiale costosissimo, tant’è che quando un proprietario chiamava il mastro pittore e gli chiedeva il costo delle operazioni per realizzare gli affreschi, questo lo avvisava che il prezzo avrebbe riguardato solo la manodopera e i colori base; per il blu egizio, ci sarebbe stato un costo a parte da pagare. A Pozzuoli c’era anche una fabbrica dove si produceva il blu egizio, l’unico pigmento preparato chimicamente ai tempi dei Romani. Era a base di rame e veniva cotto a temperature molto elevate all’interno di alcuni pozzi; la polvere che ne veniva estratta dopo la cottura cambiava colore, le particelle di rame surriscaldate diventavano blu.

“Questo fa capire – raccontano gli archeologi e i restauratori che hanno curato gli scavi – quanto facoltoso fosse il proprietario di questa enorme casa che poteva vantare un quartiere termale, una vera e propria spa privata. Noi adesso stiamo guardando solo la pars privata di una villa che aveva ambienti che si affacciavano su un portico, che a sua volta affacciavano su un enorme giardino che, in larghezza, era grande quanto tutto l’isolato”. Dell’enorme villa, restano infatti ancora inesplorati due terzi della proprietà, tra cui l’ingresso, il quartiere dell’atrio e gran parte del giardino colonnato.

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Cronache

Boom di visitatori nei musei italiani per la #Domenicalmuseo: migliaia di ingressi gratuiti nei siti culturali

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Decine di migliaia di visitatori hanno affollato musei e parchi archeologici statali in occasione della #Domenicalmuseo, l’iniziativa del Ministero della Cultura che permette l’ingresso gratuito ogni prima domenica del mese. L’affluenza ha confermato l’enorme interesse del pubblico per il patrimonio culturale italiano, con numeri particolarmente elevati nei siti più celebri.

I luoghi più visitati

Tra le mete più frequentate si conferma il Parco archeologico del Colosseo, che con 17.386 visitatori guida la classifica degli ingressi, seguito dall’area archeologica di Pompei con 16.709 accessi e dal Foro Romano e Palatino, sempre all’interno del Parco archeologico del Colosseo, con 15.273 presenze.

Grande affluenza anche per la Reggia di Caserta (14.171 visitatori) e per il Pantheon di Roma, con 11.987 ingressi. Tra i musei d’arte, spiccano le Gallerie degli Uffizi con 10.952 visitatori, mentre Palazzo Pitti, sempre all’interno del complesso degli Uffizi, ha registrato 8.124 ingressi.

A Napoli, il Castel Sant’Elmo e il Museo del Novecento hanno attirato 8.108 persone, mentre il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) ha accolto 5.570 visitatori. Numeri importanti anche per il Museo e Real Bosco di Capodimonte, con 4.239 ingressi, e per la Certosa di San Martino, con 4.311 presenze.

Tra i siti archeologici di rilievo, spiccano Paestum e Velia, con 3.390 visitatori, mentre il Parco archeologico di Ercolano ha registrato 2.474 ingressi.

Il successo dell’iniziativa

L’iniziativa della Domenica al Museo, introdotta per incentivare la fruizione del patrimonio culturale, si conferma un appuntamento di grande richiamo per il pubblico, con afflussi che dimostrano l’interesse crescente per i beni culturali italiani.

Secondo il Ministero della Cultura, il successo dell’iniziativa è anche un’opportunità per sensibilizzare cittadini e turisti sull’importanza della tutela del patrimonio storico e artistico.

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Cultura

Paesofia, vita dei piccoli borghi neologismo Treccani

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In principio fu un libro delizioso nella sua delicatezza firmato da Gianluca Galotta, ovvero ‘Paesofia. Filosofia e viaggi nei piccoli paesi’, con una prefazione di Leonardo Caffo. Poi l’opera dello scrittore e docente di Filosofia e Storia, che insegna a Roma ma la cui famiglia è originaria di Rivisondoli, è diventata una voce della Treccani (foto Imagoeconomica), uno dei Neologismi 2025, che rappresenta la filosofia di recupero di una dimensione tutta da rivalutare propria dei piccoli borghi. “I piccoli paesi – spiegava quel volume – rappresentano per l’Italia una ricchezza artistica, paesaggistica, culturale e antropologica che corre il rischio dell’estinzione e della marginalizzazione come dimostrato dal consistente spopolamento di molti borghi. C’è però un modo suggestivo per far rifiorire i piccoli paesi (ma anche noi stessi): considerarli luoghi d’elezione dove poter esercitare al meglio ciò che ci rende esseri umani cioè la riflessione e il pensiero”.

Da qui nasce la “paesofia” intesa come la ricerca di nessi tra il pensiero, la filosofia e i paesi rendendo vive e concrete le teorie filosofiche di grandi pensatori come Platone, Aristotele, Epicuro, Seneca, Agostino, Boezio, Moro, Rousseau, Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche. Da qui alla voce ‘paesofia s. f.’ sulla Treccani il passo è breve. “Il paese, il piccolo centro abitato caratterizzato da ritmi quotidiani distesi, come dimensione consona al pensiero filosofico e alla riflessione”, si legge su Treccani. “Se in questo ricco filone editoriale i singoli testi si segnalano soprattutto per la maggiore o minore qualità letteraria, condividendo tutti la stessa impostazione di fondo, diverso è l’approccio di Gianluca Galotta: filosofo, con il suo Paesofia (La scuola di Pitagora ed.) si propone di dare una sistematizzazione e, non da ultimo, un nome a questa tendenza del nostro tempo. (Edoardo Castagna, Avvenire.it, 22 febbraio 2022, Agora) •

In quest’opera l’autore individua nei piccoli borghi i luoghi ideali per avviare un percorso interiore. Un percorso non turbato dall’eccitazione perenne a cui è sottoposto l’abitante della città. Galotta riprende così le suggestioni di Simmel sull’uomo metropolitano, obbligato a un atteggiamento distaccato e indifferente per resistere alla sovrastimolazione sensoriale imposta dalle grandi concentrazioni urbane. Paesofia va oltre questa premessa. Seppur in forma divulgativa il libro si occupa del rapporto tra spazio, tempo e filosofia. Rapporto che Galotta affronta con la delicatezza di chi ha tra le mani oggetti preziosi e fragili quali sono i piccoli paesi. In parecchi dei quali la popolazione cala di anno in anno. (Patrizio Paolinelli, Sociologiaonweb.it, 3 luglio 2022) •

Ogni volta che per qualche ragione capito in un borgo mi si accende il desiderio quasi struggente di un’altra vita che non ho mai avuto, passare le mattine al bar in piazza scambiando due parole con gente di cui so tutto, e condurre una vita da filosofo o da asceta. La nostalgia si è acuita leggendo un libriccino dal titolo fascinoso, Paesofia, scritto da Gianluca Gallotta, un professore convinto che solo nei paesi possono nascere filosofia e spiritualità. Ha anche candidato il neologismo per la Treccani. La quale, intanto, ne ha già riconosciuto un altro: ‘paesologia’, intesa come «l’arte dell’incontrare e raccontare i paesi e i luoghi, immersi nel territorio e nella storia”. (Antonio Polito, Corriere della sera, 14 febbraio 2025, Sette, p. 44, Livingroom) • La “paesofia”, termine coniato dall’autore, rappresenta proprio l’incontro tra il paesaggio e la filosofia, dove il viaggio stesso diventa un’opportunità di introspezione e riscoperta dei piccoli borghi che rischiano l'”estinzione”. Un ritorno all’origine delle cose, un invito a riscoprire l’umanità senza perdersi nel caos e nel “disordine” delle grandi realtà urbane. (Angela Gallo, Anci.it, 14 febbraio 2025, Cultura)”.

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