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Cronache

Fa un figlio con la prof, il baby padre in tribunale inguaia la sua amante: primo rapporto sessuale a 13 anni

È ripreso a Prato il processo alla professoressa di 32 anni che ha avuto un figlio da una relazione con un ragazzino a cui faceva ripetizioni: il giovane, ora sedicenne, ha testimoniato ieri in tribunale, nascosto dietro un paravento, dove ha risposto alle domande dei giudici, e ha parzialmente smentito le ricostruzioni della 32enne, attualmente ancora ai domiciliari da quasi un anno. “Il primo rapporto l’ho avuto quando avevo 13 anni, non ricordo il giorno esatto ma era il giugno del 2017”, ha detto.

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“Il primo rapporto sessuale l’ho avuto quando avevo 13 anni, non ricordo il giorno esatto ma era il giugno del 2017”. Il ragazzo, oggi sedicenne, lo ha riconfermato, nascosto dietro un paravento, nell’aula del Tribunale di Prato dove la donna di 32 anni, con cui ha avuto una relazione, lo stava ascoltando. E il rapporto  sbocciò durante le ore di ripetizioni che la donna impartiva al ragazzino e da cui è nato un bambino nell’agosto del 2018. La 32enne è a processo per violenza sessuale su minore e violenza sessuale per induzione insieme al marito, suo coetaneo, accusato di alterazione di stato civile per aver riconosciuto un figlio che sapeva non essere suo, come sostengono i pm Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli. Il processo, ieri, è ripreso con la testimonianza del baby padre. A volerlo risentire, nonostante l’incidente probatorio dell’aprile scorso, è stato il collegio dei giudici che ha voluto puntualizzare i fatti avvenuti il 21 giugno del 2017, data in cui si sarebbe consumato il primo rapporto sessuale fra i due come emergerebbe da alcune conversazioni su Whatsapp. La donna e l’adolescente non si vedevano da circa un anno, da quando la famiglia del giovane, assistita dall’avvocato Roberta Roviello, ha presentato denuncia mettendo in moto l’inchiesta. E ieri erano tutti riuniti nella stessa aula: l’imputata, il marito, il ragazzo e i suoi genitori.

Il minorenne è stato sentito in modalità protetta nascosto dietro un paravento di fortuna e ha risposto solo alle domande dei giudici. Il 16enne ha ribadito di aver iniziato la relazione quando aveva ancora 13 anni al contrario di quello che sostiene la difesa. L’imputata ha sempre smentito questa circostanza datando l’inizio della relazione al novembre 2017, quando il ragazzo aveva appena compiuto 14 anni. Il minorenne, però, è apparso sicuro e le sue dichiarazioni sono state ritenute dettagliate e ben circostanziate anche se non ricordava il giorno preciso del primo rapporto. La questione di datare con esattezza il primo rapporto sessuale è importante perché potrebbe alleggerire o aggravare la posizione dell’imputata, difesa con il marito dagli avvocati Massimo Nistri e Mattia Alfano. L’udienza è durata poco più di due ore e il ragazzo insieme ai familiari è stato fatto passare da una uscita secondaria in modo da non incontrare la donna. La coppia, invece, come sempre presente al processo, è arrivata e ha lasciato il tribunale unita. Il dibattimento è alle battute finali.

La prossima settimana sarà sentito il neuropsichiatra bolognese Renato Ariatti, incaricato dal tribunale di effettuare una valutazione sulle condizioni psichiche della donna. Nella relazione, già depositata, il professore, che in passato ha seguito il caso di Annamaria Franzoni, la mamma di Cogne, ha ritenuto l’imputata “capace di intendere e volere” sottolineando come non sia “una pedofila” ma che sia stata attratta solo dal quel ragazzino in particolare.

La sua perizia sarà messa a confronto con quella del consulente della difesa. La discussione è prevista a marzo. L’imputata è agli arresti domiciliari da undici mesi.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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