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Politica

Estate 2025, vacanze brevi e prezzi record: come cambiano le abitudini degli italiani

Rincari record e vacanze più brevi: l’estate 2025 segna un cambio di abitudini. Meno agosto al mare, più montagna, laghi e città d’arte.

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L’estate 2025 è rovente non solo per il caldo ma anche per le polemiche sul turismo. L’aumento dei prezzi colpisce non solo lettini e ombrelloni, ma anche trasporti, ristoranti, hotel, divertimenti e musei. Allo stesso tempo, sembra emergere un nuovo modello di vacanza: agosto e il mare non sono più le uniche protagoniste, e cresce la scelta di mete alternative come montagna, laghi, città d’arte e località interne.

Il dibattito politico

Le tensioni sono arrivate fino alla politica. La premier Giorgia Meloni ha replicato alle critiche della segretaria Pd Elly Schlein sul presunto calo del turismo: “I dati ufficiali del Viminale certificano l’esatto contrario, con arrivi in crescita e milioni di visitatori nelle nostre strutture ricettive”. La ministra del Turismo Daniela Santanchè ha ribadito il trend positivo, con una distribuzione delle presenze nei “mesi di spalla” e un ampliamento delle mete scelte.

Le nuove tendenze

Secondo Marco Maurelli, presidente di Federbalneari Italia, nel 2024 il 10,8% degli italiani ha scelto la montagna e il 3% i laghi. Il mare resta la meta principale, ma viene vissuto in modo più frammentato: meno vacanze lunghe, più soggiorni brevi o weekend. Gli stabilimenti tornano pieni soprattutto nei fine settimana da maggio a settembre inoltrato.

Il nodo economico

Dal 2012 al 2025 le tariffe balneari sono salite del 20% (meno del 2% annuo), ma il potere d’acquisto delle famiglie è calato del 12% e il costo del lavoro stagionale è triplicato. All’estero, in paesi come Montenegro e Corfù, l’Iva sul turismo è al 5%, ma l’Italia resta competitiva: una settimana in Grecia o Croazia costa in media 600 euro a persona, in Italia circa 500 euro.

I rincari dopo il Covid

Il Codacons calcola che le vacanze estive costano oggi il 30% in più rispetto all’era pre-Covid. I voli nazionali sono più cari dell’81,5% rispetto a sei anni fa, quelli europei del 67,8%. I traghetti sono aumentati del 13,9%, i treni del 10,7% e il noleggio auto del 21,6%. Anche pernottare costa di più: alberghi e motel +42,6%, villaggi +12,7%, b&b e case vacanza +22,7%. Crescono pure i prezzi di ristoranti (+22,5%), aperitivi (+18,2%), birra (+17,2%) e bibite analcoliche (+28,8%).

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Politica

Consiglieri del Quirinale contro Meloni? Bignami attacca, dal Colle “stupore e ridicolo”

Bignami chiede al Quirinale di smentire l’articolo de La Verità su presunti piani contro Meloni. Arriva la replica del Colle: “Accuse ridicole, stupore per le dichiarazioni del capogruppo FdI”.

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Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Galeazzo Bignami, ha chiesto alla Presidenza della Repubblica di smentire “senza indugio” quanto riportato da La Verità in un articolo dal titolo “Il piano del Quirinale per fermare la Meloni”. Secondo il quotidiano, alcuni consiglieri del capo dello Stato avrebbero espresso giudizi di inadeguatezza sull’attuale maggioranza e auspicato iniziative contro il presidente del Consiglio e il centrodestra.

Le accuse sul presunto ‘piano del Colle’

Nella nota di Bignami, si citano presunte conversazioni riportate dal giornale, nelle quali un consigliere del Quirinale — indicato in Francesco Saverio Garofani, ex parlamentare Pd — avrebbe immaginato la nascita di “una grande lista civica nazionale” capace di impedire una vittoria del centrodestra alle prossime elezioni politiche. Nel racconto attribuito a Garofani, l’obiettivo sarebbe replicare uno schema di centrosinistra simile all’Ulivo del 1996, spingendo parte dell’area moderata fuori dalla coalizione di governo.

L’ipotesi del “provvidenziale scossone”

L’articolo di Maurizio Belpietro sostiene che il consigliere avrebbe addirittura evocato la necessità di un “provvidenziale scossone” per ostacolare l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, giudicando insufficiente il tempo fino al 2027 per costruire un candidato capace di battere il centrodestra. È su queste affermazioni che Bignami chiede un intervento del Quirinale, ritenendo le ricostruzioni “molto circostanziate”.

La reazione del Quirinale: “Accuse ridicole”

La risposta della Presidenza della Repubblica è arrivata con toni insolitamente netti: “Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo”. Nessuna conferma implicita, dunque, ma una difesa decisa dell’imparzialità istituzionale del Colle.

Una tensione che accende il clima politico

L’episodio si inserisce in un contesto già segnato da frizioni tra governo e opposizioni sul ruolo delle istituzioni di garanzia. L’intervento di Bignami, rivolto a Palazzo Chigi e al suo elettorato, incontra la replica ferma del Quirinale, che giudica “ridicola” ogni ipotesi di manovre dietro le quinte. Un segnale di tensione politica che arriva nel cuore della legislatura e che renderà il confronto ancora più acceso nelle prossime settimane.

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In Evidenza

Guerra ibrida, il non paper di Crosetto: 10-15 mila militari in più per cyber e nuove tecnologie. Il piano e le sue implicazioni

Il non paper del ministro della Difesa Guido Crosetto propone un rafforzamento degli organici militari di 10-15 mila unità per contrastare la guerra ibrida: arma cyber, centro nazionale dedicato, nuove capacità su AI, spettro elettromagnetico e supply chain. Ecco cosa prevede il documento.

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Il ministero della Difesa ha diffuso un “non paper” dedicato al contrasto della guerra ibrida, un documento di lavoro illustrato da Guido Crosetto al Consiglio supremo di Difesa e destinato anche al Parlamento. Si tratta di un testo programmatico che delinea la visione del titolare della Difesa su come l’Italia dovrebbe prepararsi a una minaccia considerata permanente, multilivello e non più solo militare in senso tradizionale.

Nel documento la guerra ibrida viene descritta come una “guerra continua” che colpisce infrastrutture critiche, servizi essenziali, reti di comunicazione, industria strategica e istituzioni democratiche, combinando attacchi cyber, operazioni informative, guerra cognitiva, pressioni economiche e interferenze sullo spettro elettromagnetico.


La definizione di minaccia ibrida secondo la Difesa

Crosetto sottolinea che gli attacchi ibridi avvengono “giorno e notte”, con “rischi quotidiani e crescenti di danni catastrofici” per il Paese. Nel non paper si evidenzia come tali operazioni sfruttino le vulnerabilità delle democrazie occidentali, in particolare la tendenza a reagire tardi o a non reagire affatto, e puntino a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

La minaccia è strutturata su tre grandi fronti:

  • trasporti e logistica, incluse rotte navali e catene di approvvigionamento;

  • reti energetiche e infrastrutture critiche;

  • sistema politico e informativo, con campagne di disinformazione e manipolazione del dibattito pubblico.


Il potenziamento degli organici: 10-15 mila militari in più per la guerra ibrida

Uno dei passaggi più rilevanti del non paper riguarda il rafforzamento degli organici. Nel testo si propone un “significativo potenziamento” del personale militare, “anche dell’ordine di 10/15 mila unità”, da destinare specificamente ai settori:

  • cyber difesa e cyber intelligence,

  • gestione e protezione dello spettro elettromagnetico,

  • nuove tecnologie e domini emergenti,

  • un ramo operativo “molto robusto” in grado di tradurre queste capacità in azione sul campo.

Questo potenziamento si inserisce in un ragionamento più ampio che, in altre sedi, ha portato Crosetto a indicare in circa 30 mila unità l’aumento complessivo ritenuto necessario per riportare le Forze armate a un livello di efficienza coerente con gli impegni internazionali e le nuove minacce.


L’arma cyber e il centro per il contrasto alla guerra ibrida

Il non paper prevede la costituzione di una vera e propria “arma cyber” civile-militare, riconoscendo il dominio cibernetico come spazio di difesa nazionale a tutti gli effetti. In questa nuova struttura rientrerebbero, secondo le linee illustrate pubblicamente dal ministro, circa 1.200-1.500 addetti tra personale civile e militare, con competenze specialistiche in sicurezza informatica, analisi delle minacce e risposta agli attacchi.

Accanto all’arma cyber, il documento propone l’istituzione di un Centro per il contrasto alla guerra ibrida, con funzioni di:

  • raccolta e analisi di intelligence sulle minacce ibride;

  • coordinamento tra Forze armate, altre amministrazioni dello Stato e settore privato;

  • pianificazione di esercitazioni congiunte su scenari cyber-elettromagnetici;

  • formazione specifica contro le “minacce cognitive”, cioè la manipolazione dell’informazione e della percezione pubblica.


Nuove capacità: intelligenza artificiale, droni, spettro elettromagnetico e supply chain

Il non paper dedica spazio all’adeguamento tecnologico delle Forze armate e, più in generale, dell’architettura di difesa nazionale. Tra le priorità indicate:

  • Intelligenza artificiale: sviluppo e adozione di sistemi AI per analisi di grandi moli di dati (big data), rilevamento anomalie, risposta automatizzata a minacce cyber e supporto alle decisioni operative.

  • Droni e sistemi unmanned: potenziamento delle capacità di sorveglianza, ricognizione e, dove previsto, intervento, con attenzione anche alla difesa anti-drone.

  • Spettro elettromagnetico: rafforzamento delle capacità di protezione, monitoraggio e, se necessario, contrasto delle attività ostili nel dominio elettronico, dalle interferenze alle attività di jamming.

  • Protezione delle catene di approvvigionamento (supply chain): misure per garantire sicurezza e resilienza delle filiere logistiche ed energetiche, considerate bersaglio primario in uno scenario di guerra ibrida.


Coordinamento con Nato, Unione europea e dimensione civile

Il documento di Crosetto si colloca nella cornice di una difesa “multilivello”, che intreccia la dimensione nazionale con quella euro-atlantica. Nel non paper si parla infatti della necessità di:

  • definire strategie comuni in ambito Nato e Ue per rafforzare la resilienza democratica e la risposta coordinata agli attacchi ibridi;

  • aggiornare il quadro normativo interno per consentire interventi più rapidi, prevenire, dissuadere e mitigare le minacce;

  • coinvolgere in modo strutturato infrastrutture critiche, grandi operatori energetici, tlc, trasporti, pubblica amministrazione centrale e locale, con protocolli condivisi di sicurezza e scambio informazioni.

Il piano, nelle intenzioni del ministro, non riguarda solo l’apparato militare, ma l’intero “sistema Paese”, chiamato a riconoscere che la guerra ibrida supera i confini tradizionali fra pace e guerra e coinvolge società, economia e informazione.


Le implicazioni politiche e finanziarie del piano

Il non paper, pur essendo un documento di indirizzo e non una legge, apre un capitolo politicamente delicato:

  • un aumento di 10-15 mila unità con alta specializzazione,

  • la creazione di una nuova arma cyber,

  • la realizzazione di un centro nazionale per la guerra ibrida,
    implicano inevitabilmente nuovi oneri di bilancio e scelte prioritarie su reclutamento, formazione e investimenti tecnologici.

Lo stesso testo indica che il dossier sarà messo a disposizione del Parlamento, che dovrà valutare la traduzione delle linee guida in atti normativi e risorse concrete. Per ora il non paper fissa la cornice: riconoscere la guerra ibrida come minaccia strutturale e permanente e ripensare di conseguenza lo strumento militare, l’organizzazione dello Stato e le alleanze internazionali. I passaggi successivi si giocheranno fra aula parlamentare, bilanci pubblici e consenso politico.

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Politica

Deficit Sanità Campania, perché il Piano di rientro non si chiude: conti in ordine ma criticità ancora aperte nei nuovi Lea

Dal 2007 la Campania è nel Piano di rientro dal deficit sanitario. Nonostante i conti in ordine e i Lea sufficienti, il Ministero rileva criticità su prevenzione, assistenza territoriale e indicatori pediatrici e geriatrici.

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Il Piano di rientro dal deficit sanitario della Campania nasce nel 2007, quando l’allora Finanziaria impose alle regioni con i conti fuori controllo un percorso stringente di risanamento. La Campania, reduce da anni segnati da sprechi, doppioni, contenziosi imponenti e pagamenti in ritardo cronico, era tra le prime “regioni canaglia” a finire sotto tutela.
Insieme a Lazio, Abruzzo, Molise, Sicilia, Sardegna e Liguria, fu tra le prime destinatarie di un monitoraggio serrato su conti, programmazione e qualità dell’assistenza.

Dal commissariamento alla risalita (con stop pandemia)

Nel 2019 la Campania esce dal commissariamento dopo dieci anni e conquista la sufficienza nella pagella dei Lea. Scatterebbe così il triennio di consolidamento, ma nel 2020 arriva la pandemia e le valutazioni vengono sospese.
Nel frattempo i Lea vengono completamente ridisegnati: tre macroaree – ospedaliera, distrettuale e prevenzione – con decine di indicatori più stringenti.

Con la nuova griglia, la Campania nel 2020 arretra nelle aree ospedaliera e distrettuale, mantenendo i conti in ordine ma senza raggiungere la sufficienza tecnica. Nel 2021 migliora nettamente in ospedale e prevenzione, restando insufficiente sul distretto; quadro replicato nel 2022.
Il 2023 segna invece la sufficienza in tutte e tre le aree, con trend positivo confermato anche dai dati preliminari 2024.

La primavera 2025: la Regione si presenta con i conti in ordine

Ai tavoli romani la Campania porta un quadro complessivamente positivo: equilibrio finanziario dal 2013, Lea sufficienti, indicatori ospedalieri superiori ai 7 punti e prevenzione sopra 6.
Ma il Ministero entra nel dettaglio dei nodi storici:

  • laboratori di analisi sotto soglia (meno di 200mila prestazioni annue) da accorpare;

  • centri nascita sotto i 500 parti l’anno da chiudere, come previsto dalla normativa nazionale;

  • criticità negli screening oncologici e nelle cure per gli over 75 non autosufficienti.

La Regione chiede deroghe per alcuni punti nascita in aree disagiate, ma il Ministero respinge la richiesta. Palazzo Santa Lucia, pur tra proteste locali, applica le indicazioni.

La bocciatura del 4 agosto: sufficienti ma non abbastanza

Nel confronto estivo, il Ministero della Salute giudica ancora troppo bassi alcuni indicatori chiave. Una valutazione che, pur in un contesto di sufficienza complessiva, impedisce alla Campania di uscire dal Piano.

In particolare restano critici:

  • copertura vaccinale MPR nei bambini a 24 mesi;

  • screening oncologici (mammella, cervice uterina, colon-retto);

  • stili di vita e consumo eccessivo di antibiotici;

  • presa in carico oncologica nelle cure palliative;

  • numero ridotto di anziani non autosufficienti assistiti in Rsa;

  • eccesso di parti cesarei.

Sono indicatori che pesano in modo determinante sulla valutazione tecnica, e che – secondo il Ministero – rendono prematuro chiudere definitivamente il Piano.

Un quadro nazionale disomogeneo

Non mancano paradossi: la Campania è sufficiente in tutte le tre macroaree, mentre otto regioni italiane risultano insufficienti almeno in una, senza essere però soggette a Piano di rientro.
Valle d’Aosta è insufficiente sia nell’area distrettuale che in quella ospedaliera, la Liguria non raggiunge i target in prevenzione, la Basilicata è sotto soglia nell’assistenza territoriale.

Perché il Piano resta in piedi

Il Ministero ritiene che la Campania debba ancora colmare gap strutturali nella prevenzione e nell’assistenza distrettuale, pilastri dei Lea di nuova generazione. È qui che si concentrano i riflettori del tavolo tecnico.
E finché questi indicatori non miglioreranno stabilmente, il Piano di rientro – nato nel 2007 – resterà formalmente attivo.

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