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Esplosione vicino a base aerea russa, raid su Belgorod

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La Russia mostra di poter essere vulnerabile non solo a causa dei dissidi interni ai propri apparati ma anche sul piano militare. Ancora una volta è stata presa di mira la regione di Belgorod dove il villaggio di Dronivka è stato colpito due volte senza fare nessuna vittima, ma danneggiando abitazioni civili e linee di alimentazione del gas e dell’elettricità. Ancora più sensibile è l’obiettivo che sarebbe stato sfiorato nella regione di Krasnodar, nel sud del Paese. Un’esplosione si è registrata vicino alla base delle forze aeree di Mosca a Primorsk-Akhtarsk, lasciando a terra un cratere delle dimensioni di 10 metri di diametro e circa 4 di profondità. Secondo Kiev da lì partono i droni e i missili che attaccano l’Ucraina e che si sono resi di nuovo tristemente protagonisti la scorsa notte, l’ennesima nella quale gli allarmi aerei sono suonati in tutto il Paese per avvertire che le forze russe si preparavano ad attaccare. La prima, nelle ultime due settimane, in cui i droni di Mosca hanno preso di mira la capitale.

Secondo le prime ricostruzioni sarebbero stati usati otto velivoli senza pilota di fabbricazione iraniana, gli Shahed, e tre missili cruise, tutti “intercettati e distrutti” dalle forze aeree ucraine stando a quando riportato dal capo dell’amministrazione militare della città, Serhiy Popko. L’intervento non ha impedito che una persona rimanesse ferita e che tre abitazioni private fossero danneggiate nella capitale. Più duro il bilancio a Kherson, fortunatamente anche in questo caso senza vittime. I russi hanno attaccato le zone residenziali della città ferendo quattro persone dopo aver bombardato una farmacia, un ristorante e un palazzo. La brutalità dei russi non si ferma nemmeno mentre nel paese è in corso la resa dei conti dopo la tentata marcia su Mosca di Yevgeny Prigozhin, il capo del Gruppo Wagner.

Oggi alcuni media di Mosca hanno riportato che i mercenari avrebbero ricevuto dallo Stato russo oltre 17,5 miliardi di euro (circa 17 mila miliardi di rubli), divisi in contratti governativi (860 miliardi di rubli) e servizi forniti dalla holding Concord (845 miliardi di rubli) in mano all’ex cuoco di Putin. Proprio all’inizio di questa settimana il presidente russo aveva annunciato che le autorità avrebbero indagato sui guadagni della holding Concord, aggiungendo che, nell’ultimo anno, la Wagner aveva ricevuto dallo Stato un totale di 86 miliardi di rubli (circa un miliardo di euro). Prigozhin potrebbe pagare caro la scelta di sfidare il Cremlino, ma per i suoi seguaci che hanno ha deciso di fare ammenda potrebbe arrivare il perdono dello Zar, pronto a mandare i mercenari in Bielorussia o ad assorbirli nelle file dell’esercito regolare dopo aver firmato un contratto con lo Stato.

“Molti membri del gruppo Wagner hanno accettato la proposta del presidente russo”, afferma convinto il presidente della Duma Vyacheslav Volodin. La presenza di reduci dalla Wagner così vicini ai confini europei ora spaventa la Polonia. A Osipovichi, nel sud del Paese, Alexander Lukashenko sarebbe infatti pronto a ospitare almeno 8 mila mercenari, il tutto a 200 km dall’Ucraina. Molti altri potrebbero arrivare. E allora Varsavia, che negli ultimi mesi ha rafforzato il proprio esercito investendo ingenti risorse nella difesa, per volontà del ministro dell’Interno Mariusz Kaminsky ha deciso di blindare i confini aggiungendo 500 agenti di polizia delle unità preventive e antiterrorismo alle 5.000 guardie di frontiera e ai 2.000 soldati che già pattugliano l’area. Una paura concreta che si affianca alla cautela per una tregua sul campo che sembra lontana. “Non c’è un piano di pace, una mediazione” ripete oggi il cardinale Matteo Zuppi dopo la missione a Kiev e a Mosca, ma la speranza e la “grande aspirazione” è che “la violenza termini e che si possa risparmiare la vita umana a cominciare dalla difesa dei più piccoli”.

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Cittadini stanchi di pagare il pizzo uccidono 11 uomini della gang di narcos nel campo da calcio

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Nel paese di Texcaltitlan, nel centro del Messico, dei cittadini stanchi di pagare il pizzo al cartello locale hanno ucciso a colpi di machete un gruppo di otto narcotrafficanti nel campo da calcio del municipio. L’esito dello scontro ha lasciato 11 morti, otto dei quali vincolati al cartello Familia Michoacana. Secondo quanto riportato dalla stampa messicana, gli abitanti del paese erano stati convocati nel campo sportivo per pagare la quota settimanale alla criminalità del posto. Dopo esser scesi dai loro pick-up i narcos sono stati attaccati dalla folla con pietre, colpi di machete e pugni. La polizia è arrivata poco dopo sulla scena del massacro e sta ricostruendo l’accaduto attraverso dei video postati sui social.

 

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Guatemala, Arévalo denuncia “un colpo di stato assurdo”

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Il presidente eletto guatemalteco Bernardo Arévalo ha denunciato che le indagini svolte dall’Ufficio del Pubblico ministero della Procura, secondo cui le elezioni generali tenute quest’anno, e da lui vinte, dovrebbero essere annullate, non sono altro che un “colpo di stato assurdo, ridicolo e perverso”.


Nel corso di una conferenza stampa ieri sera Arévalo, che dovrebbe insediarsi nella massima carica dello Stato il 14 gennaio 2024 succedendo a Alejandro Giammattei, ha assicurato che le accuse formulate contro il Tribunale supremo elettorale (Tse) e contro lui stesso, sono infondate, aggiungendo che per quanto lo riguarda, ha prove che dissipano anche il presunto riciclaggio di denaro. Alludendo infine ai settori della magistratura che stanno cercando di bloccare il processo di transizione democratica presidenziale, ha sostenuto che “i golpisti fanno i gesti disperati di chi sta per affogare, e provano a portare a termine un improbabile colpo di stato”.

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Putin si ricandida alla guida della Russia fino al 2030

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La simbologia non poteva essere più potente e significativa. Rispondendo alla domanda di un pluridecorato combattente filorusso del Donbass, padre di un caduto, nella giornata degli Eroi della Madrepatria, Vladimir Putin ha annunciato che il prossimo 17 marzo correrà per un quinto mandato da presidente della Russia, deciso a rimanere almeno fino al 2030 al comando del Paese in quella che vede come una sfida esistenziale con l’Occidente, sicuramente la più grave dalla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Il tutto è avvenuto, all’improvviso, nella sontuosa cornice della sala Georgievsky del Cremlino, dove Putin aveva appena consegnato alcune onorificenze.

Artyom Zhoga, già a capo di una milizia della Repubblica di Donetsk, che nel 2022 ha perso un figlio nella guerra e quest’anno è diventato capo del Parlamento della regione annessa alla Russia in seguito alle elezioni dello scorso settembre, si è rivolto al presidente sotto gli occhi delle telecamere. “Grazie alle sue azioni abbiamo ottenuto la libertà e il diritto di scegliere, ma c’è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo procedere con l’integrazione, e vorremmo farlo sotto la sua guida”, ha affermato Zhoga. Per poi concludere: “Abbiamo bisogno di lei, la Russia ha bisogno di lei”.

Al che Putin ha ringraziato e ha risposto: “Ho avuto diversi pensieri su questo argomento, ma oggi capisco che non c’è altra scelta. Ecco perché mi candiderò a presidente della Russia”. Una candidatura che equivale alla certezza della rielezione, non solo per la repressione del dissenso, accentuatasi dall’inizio dell’intervento militare in Ucraina, ma pure per il vasto sostegno di cui, anche secondo sondaggi indipendenti, il comandante in capo continua a godere oltre 21 mesi dopo l’inizio del conflitto. La narrazione che vuole la Russia impegnata in una guerra per la sopravvivenza contro un Occidente intento a smembrarla funziona. E’ vero che da una recente ricerca effettuata dal Centro statistico Levada emerge che oltre il 50% dei russi vorrebbe una soluzione negoziata al conflitto, ma senza concessioni umilianti.

Molti osservatori si aspettano inoltre che a sfidare Putin saranno ammessi, pro forma, soltanto candidati di movimenti politici considerati di sistema, come il Partito liberaldemocratico e quello comunista. Ma il team di Alexei Navalny, il più noto oppositore, in carcere da quasi tre anni, non si è dato per vinto e ha indetto una campagna denominata ‘Una Russia senza Putin’ in cui si invita ogni cittadino a votare per i candidati avversari del presidente e a convincere almeno altre dieci persone a fare altrettanto. Sebbene la data ufficiale delle presidenziali sia il 17 marzo, la responsabile della Commissione elettorale centrale Ella Pamfilova ha detto che le votazioni cominceranno in realtà fin da venerdì 15 e dureranno tre giorni. Un’usanza introdotta con la pandemia da Covid e diventata ormai comune, ma che secondo gli oppositori del Cremlino rende più difficili i controlli su eventuali brogli.

Se tutto sembra ormai deciso, qualche dubbio resta sulle modalità dell’annuncio odierno. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha assicurato che il tutto si è svolto in modo spontaneo e non programmato. Ma anche il sito dell’opposizione Meduza afferma di aver saputo da proprie fonti che Putin avrebbe dovuto comunicare la notizia in occasione della conferenza di fine anno e della linea diretta con i cittadini in programma il 14 dicembre. Secondo il sito, dunque, il presidente sarebbe stato colto alla sprovvista e avrebbe risposto senza pensarci troppo, cosa che sarebbe confermata dalla voce sommessa che gli è uscita. La cosa che conta, comunque, è che Putin diventerà con solo un anno di svantaggio rispetto a Stalin il secondo leader più longevo della Russia moderna: 30 anni, contro i 31 del predecessore sovietico, e ben di più dei 18 anni di Leonid Brezhnev.

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