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Ergastolo ostativo, motivazioni sentenza Consulta: collaborare non sia la sola via per la libertà dei boss

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Non puo’ essere la collaborazione con la giustizia l’unica via per il mafioso condannato all’ergastolo ostativo per accedere alla liberta’. Perche’ fare i nomi dei propri sodali “non necessariamente e’ sintomo di credibile ravvedimento”, ma puo’ essere frutto di un calcolo per accedere ai vantaggi dalla legislazione premiale . Cosi’ come all’opposto la decisione di tacere “puo’ esser determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con associazioni criminali”. Lo sottolinea la Consulta nelle motivazioni dell’ordinanza con la quale il mese scorso, pur ritenendo incompatibile con la Costituzione la norma che impedisce agli ergastolani ostativi mafiosi di accedere alla liberazione condizionale , se non collaborano, si e’ fermata a un passo dalla decisione. E in spirito di “leale collaborazione” ha dato un anno di tempo al Parlamento, (fino al 10 maggio 2022) per individuare alternative , in linea con i principi costituzionali, all’attuale sistema introdotto all’indomani delle stragi di mafia. Lo ha fatto nella consapevolezza che un proprio intervento solo “demolitorio” potrebbe produrre effetti “disarmonici” e compromettere il contrasto a Cosa Nostra, come spiega la stessa pronuncia firmata dal giudice costituzionale Nicolo’ Zanon e che per espressa menzione non si riferisce ai detenuti al 41 bis, il carcere duro il cui presupposto e’ l’attualita’ dei legami tra il mafioso e il clan di appartenenza. E’ stata la Cassazione a chiedere alla Consulta di pronunciarsi. E il ragionamento dei giudici costituzionali parte dalla considerazione che e’ l’effettiva possibilita’ di conseguire la liberta’ condizionale (il che vuol dire scontare la pena fuori dal carcere dopo 26 anni di detenzione) a rendere l’ergastolo compatibile con la Costituzione; se questa possibilita’ fosse preclusa in via assoluta, il carcere a vita sarebbe invece in contrasto con la finalita’ rieducativa della pena (articolo 27 della Costituzione). E’ proprio il principio messo in tensione dalla disciplina dell’ergastolo ostativo, con la presunzione assoluta e quindi insuperabile di pericolosita’ del mafioso che non collabora. La collaborazione con la giustizia “certamente mantiene il proprio positivo valore”, e “non e’ irragionevole” presumere che l’ergastolano non collaborante mantenga i legami con i clan, osserva la Corte. Ma non sempre e’ frutto di una decisione libera. Anzi in casi limiti puo’ trattarsi di una “scelta tragica” per il mafioso stretto tra l’aspirazione alla liberta’ e la rinuncia per “preservare” i propri cari da pericoli. Le motivazioni sembrano rassicurare i Cinquestelle , che un mese fa avevano manifestato il loro allarme .”La Corte riconosce la assoluta importanza della legislazione antimafia e non tocca la disciplina del 41 bis”, sottolinea Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera. Condivide la scelta della Consulta, Stefano Ceccanti, capogruppo Pd in Commissione Affari costituzionali, che invita il Parlamento a “agire di conseguenza”.

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Napoli, sequestrata nave turca con grano ucraino: conteneva sigarette di contrabbando

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Nave carica di mais e grano ucraino e sigarette di contrabbando. Carabinieri arrestano 4 persone, anche il comandante del cargo

Si tratta di una nave turca, battente bandiera panamense, dove i carabinieri della sezione operativa e radiomobile di Castellammare di Stabia hanno trovato migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando. Proveniente dall’Ucraina con un carico di mais e grano e attraccata nel porto di Torre Annunziata, l’imbarcazione nascondeva nella stiva circa 7000 pacchetti di sigarette di origini serbe ma destinate verosimilmente al mercato nero napoletano.

In manette il comandante della nave, un 39enne siriano di Tartus e 3 oplontini di 68, 57 e 58 anni. Questi ultimi avevano appena prelevato 500 stecche del carico (5000 pacchetti) e li avevano stipati in un’auto. Sono stati arrestati per contrabbando di tabacchi esteri.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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