E’ stata ‘promossa’ dagli ‘ermellini’, al primo vaglio di legittimità, la riforma dell’ergastolo ostativo – uno dei primi atti del governo di Giorgia Meloni – che ha allentato i paletti che precludevano i benefici penitenziari, come la liberazione condizionale, in favore dei condannati per reati gravi ritenuti ostativi a concessioni ‘premiali’, come nel caso di certi crimini di mafia o terrorismo. I supremi giudici della Prima sezione penale, infatti, hanno deciso, contrariamente alla richiesta della difesa, ma in modo conforme alle indicazioni della Procura del ‘Palazzaccio’, di non inviare alla Consulta la nuova normativa e di incaricare i magistrati di merito, in questo caso il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila, di esaminare il caso di Salvatore Pezzino. Si tratta del detenuto 60enne di Partinico (Palermo), in carcere all’ergastolo da oltre 30 anni – per omicidio aggravato dalla mafiosità e per violazione delle norme sulla detenzione delle armi – che ha scelto di non collaborare, e che per questo, senza che nemmeno fossero guardate le sue carte, si è visto negare il beneficio.
Dalla Cassazione trapela che “l’annullamento è stato disposto con rinvio al Tribunale di sorveglianza affinché, alla luce della nuova disciplina, valuti, con accertamenti di merito preclusi al giudice di legittimità, la sussistenza o meno dei presupposti ora richiesti dalla legge per la concessione dei benefici penitenziari ai detenuti per reati cd. ostativi non collaboranti”. Fino a quando non si conosceranno le motivazioni del verdetto, spiega l’avvocatessa Giovanna Araniti – che ha combattuto la battaglia di Pezzino fino alla Consulta e ora in Cassazione – “non sono in grado di dire se c’è applicazione retroattiva delle nuove norme, dal momento che il mio assistito ha fatto oltre 26 anni di carcere come richiesto in precedenza e addirittura ha superato i 30 anni di reclusione, tra i requisiti introdotti dalla riforma per il non collaborante che chiede la liberazione condizionale”.
Quanto alla mancata collaborazione di Pezzino – che ha già scontato altre due condanne per vari reati tra i quali omicidio, tentato omicidio, rapina e lesioni aggravate – Araniti sottolinea che l’omicidio per il quale il 60enne è all’ergastolo “è maturato in ambiente familiare, per reazione, dopo che un suo nipotino era scampato a un attentato, e per il diritto comunitario non si può pretendere la collaborazione di chi teme di mettere a rischio i suoi parenti”. Per questo, l’avvocatessa contesta anche il fatto che non sia stata riconosciuta come “inesigibile” la collaborazione di Pezzino, cosa che avrebbe agevolato l’accesso ai benefici. Anche ‘Nessuno tocchi Caino’, che ritiene troppo stretti i nuovi ‘paletti’, sperava che la riforma finisse alla Consulta che aveva già bocciato le vecchie norme sollecitando l’intervento del legislatore. “La Corte Costituzionale ha rinviato al Parlamento, poi ha rinviato l’esame della legge di conversione del decreto alla Cassazione che – prosegue l’associazione – a sua volta ha rinviato al Tribunale di Sorveglianza la valutazione del caso”. “Rinviare – conclude ‘Nessuno tocchi Caino’ – è rimandare indietro e questa è la valutazione che facciamo di questa riforma del 4bis che, seppur metta la parola fine alla presunzione assoluta di pericolosità, introduce tanti e tali paletti, da rendere davvero difficile l’esercizio del diritto alla speranza”.