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Cronache

Ergastolo ostativo ai boss mafiosi, l’associazione Vittime del Dovere: combattere la mafia con fermezza

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Sulla questione dell’ergastolo ostativo ai boss delle organizzazioni mafiose,  volentieri ospitiamo questo intervento dell’Associazione di volontariato Vittime del Dovere* 

 

Siamo ad un punto di non ritorno, serve un immediato intervento legislativo per fermare le subdole e chirurgiche azioni di demolizione degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata. La Consulta, infatti, su impulso dei legali della difesa di un boss recluso al 41 bis, si ritrova a dover affrontare nuovamente la tenuta costituzionale dell’ergastolo ostativo, ovverosia quella disciplina penitenziaria prevista dall’art. 4 bis Ord. Pen. che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari (liberazione condizionale, lavoro all’esterno, permessi premio, semilibertà) coloro che si sono macchiati di delitti di criminalità organizzata, terrorismo ed eversione. 

La norma viene contestata nella parte in cui individua, nella collaborazione con la giustizia, l’unica chiave per il superamento della presunzione assoluta di pericolosità sociale del detenuto e quale integrante prova del distacco del soggetto dall’organizzazione mafiosa.

La questione si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza Viola della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 bis I comma Ord. Pen. per contrasto con l’art. 3 CEDU, poiché tale disciplina non conferisce al condannato l’accesso ai benefici risocializzanti.

Sulla scorta di tale decisione la Corte costituzionale, già nell’ottobre 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis, comma 1, Ord. Pen. nella parte in cui non prevede l’accesso ai permessi premio, anche in mancanza di collaborazione, senza tenere conto del percorso carcerario del detenuto/internato.

Certamente la normativa penitenziaria di cui si discute è nata in un periodo emergenziale e ha subìto adattamenti nel corso del tempo, nulla osta ad eventuali riadattamenti alla mutata sensibilità sociale e politica del nostro Paese. Tuttavia, alla luce dell’attuale situazione criminogena, che rispetto al passato è addirittura peggiorata, sedimentandosi ed infiltrandosi in tutti gli ambiti, non possiamo che sollecitare un intervento del Legislatore, atto a chiudere tempestivamente la breccia volutamente aperta. La normativa antimafia, di cui anche il 4 bis e il 41 bis dell’ Ord. Pen. sono il frutto del lavoro di indagine e di studio di tanti rappresentanti delle Istituzioni, i quali hanno evidenziato l’importanza del legame endofamiliare nel fenomeno mafioso, la sua pervasività nel tessuto sociale, economico e democratico del Paese, nonché la sua incredibile capacità di sopravvivenza anche tra le mura carcerarie. Non dobbiamo, comunque, dimenticare mai il sangue versato dagli uomini e dalle donne dello Stato per l’istituzione di questo fondamentale strumento di prevenzione e contrasto alle mafie.

A fronte della necessità di non sottovalutare i pericoli ancora oggi presenti, confidiamo nell’ascolto del legislatore delle centinaia di magistrati oggi sotto scorta, che sottolineano la violenza mai sopita di questo fenomeno; nel rispetto del lavoro dei rappresentanti delle Forze dell’Ordine che quotidianamente e con grande sacrificio operano costantemente per sgominare le nuove forme assunte da questa metastasi in continua evoluzione.

Al fine di evitare interventi  improvvidi, a cui abbiamo assistito nel recente passato e che creerebbero un vulnus alla lotta contro la mafia con scarcerazioni ingiustificabili e inaccettabili, è di assoluta importanza che vi sia un confronto con le Forze dell’Ordine e i Magistrati, che la mafia la affrontano ogni giorno con spirito di abnegazione e che hanno bisogno di un sistema normativo solido che garantisca loro la libertà di compiere il proprio dovere senza il timore di essere lasciati soli.

Ogni intervento di ridimensionamento dell’art. 4 bis Ord. Pen. appare assai pericoloso, soprattutto agli occhi di chi ha visto nascere tale sistema normativo, edificato sul sacrificio di tanti servitori dello Stato che hanno combattuto e continuano a combattere le gravi forme di criminalità organizzata. 

Ricordiamo all’opinione pubblica che in ragione della pandemia sono stati scarcerati centinaia di boss in regime detentivo di Alta Sicurezza, molti dei quali, se non recidivi, sono ancora agli arresti domiciliari, pertanto senza evidenti limitazioni alla riorganizzazione di potenziali traffici e affari di natura criminale.  

Non rassicurano certo le esistenti correnti politiche che, in sede parlamentare, seppure sollecitate dalla nostra Associazione, poco e niente hanno fatto in concreto in questo ambito. Senza contare che ogni richiesta formulata all’ex Ministero della Giustizia, Alfonso Bonafede, oltre che ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, volta a consentire la partecipazione delle vittime ai tavoli di lavoro per le modifiche al processo penale, è stata incomprensibilmente ignorata. 

E’ improvvido chiedersi se tutto ciò non sia frutto di un percorso iniziato già 30 anni fa con il famoso “papello” di Totò Riina? Di seguito vogliamo riportarne il testo a dimostrazione del fatto di come la maggior parte delle richieste evidenziate siano state soddisfatte, soprattutto in tempi recenti, e per far conoscere ai giovani una tragica realtà di cui non hanno probabilmente cognizione.

Di seguito le pretese elencate da Cosa Nostra e rivolte allo Stato italiano:

  1. Revisione della sentenza del Maxiprocesso 
  2. Annullamento dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario (cosiddetto carcere duro) 
  3. Revisione della legge Rognoni-La Torre (reato di associazione mafiosa) 
  4. Riforma della legge sui pentiti
  5. Riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia (come per le Brigate Rosse)
  6. Arresti domiciliari dopo i 70 anni di età
  7. Chiusura delle super-carceri
  8. Carcerazione vicino alle case dei familiari
  9. Nessuna censura sulla posta dei familiari
  10. Misure di prevenzione e rapporto con i familiari
  11. Arresto solo in flagranza di reato
  12. Defiscalizzazione della benzina in Sicilia (come per Aosta).

Per concludere, noi Vittime del Dovere e familiari di Vittime del Dovere, non siamo così fiduciosi nel ritenere che le misure alternative alla detenzione possano redimere anche i più feroci assassini. La speranza in genere non segue il male, neanche nella mitologia antica. Infatti, Elpis, personificazione greca dello spirito della speranza, rinchiusa, secondo l’epica greca, con tutti i mali del mondo nel vaso di Pandora, pur avendo avuto la possibilità di fuggire insieme ai mali, preferì restare nel vaso per non accompagnarsi alle negatività del mondo. Esiodo non ha mai spiegato esattamente il perché, ma evidentemente aveva i suoi buoni e saggi motivi!  

Anche la nostra speranza è cauta e prudente, essendo oltretutto già testimoni delle nefaste conseguenze di erronee valutazioni giudiziarie, pertanto attendiamo con impazienza una revisione illuminata della normativa, che non deve essere demolita ma costruita con maggior coscienza, nel rispetto del lavoro di quanti combattono con fermezza la mafia, nella memoria dei caduti al servizio della Nazione e soprattutto per la sicurezza di tutta la collettività.

 

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Choc a Nola: marito violento, giovane ‘liberata’ dai carabinieri grazie all’intervento della suocera

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Dopo anni di soprusi e maltrattamenti, la storia di terrore vissuta da una giovane donna di Nola ha finalmente trovato un epilogo in tribunale. Un giovane di 21 anni, con un passato turbolento segnato da dipendenza da droga e violenze, è stato arrestato e accusato di sequestro di persona, maltrattamenti e lesioni personali aggravate. Le aggressioni brutali, compresa una tentata strangolazione e attacchi pericolosi anche ai passanti nel centro antico di Nola, finiranno con il suo arresto.

La Procura di Nola, con l’ausilio dei carabinieri, ha condotto un’indagine lampo che ha portato alla luce gli abusi subiti dalla donna per anni. La vittima, che aveva sopportato in silenzio gli attacchi del compagno, ha trovato la forza di parlare solo dopo l’intervento della madre dell’aggressore, che l’ha convinta a cercare aiuto e cure mediche.

Durante l’ultima aggressione, la donna ha subito gravi danni all’orecchio e all’occhio, oltre a numerose altre ferite. In ospedale, il personale ha allertato le autorità, innescando una serie di eventi che hanno portato all’arresto del giovane. Nonostante il profondo legame affettivo che la legava al suo aguzzino, il quale chiudeva la porta di casa a chiave per impedirle di scappare, la donna ha finalmente deciso di rompere il silenzio.

Il Gip del Tribunale di Nola, Teresa Valentino, ha accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere presentata dalla Procura, segnando un decisivo punto di svolta nel caso. La giovane donna ha espresso il desiderio di vedere giustizia fatta: «Chiedo che venga punito per quello che mi ha fatto», ha dichiarato, evidenziando il lungo calvario e la paura che ha vissuto, temendo anche per la sicurezza della sua famiglia.

Questa vicenda sottolinea la tragica realtà della violenza domestica e l’importanza di supportare le vittime nel trovare la forza di parlare e denunciare i loro aggressori. L’arresto del giovane non solo mette fine a un ciclo di violenza, ma serve anche come monito sulle conseguenze legali che attendono coloro che sceglieranno di perpetrare tali crimini.

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Tony Colombo e Tina Rispoli restano in carcere, confermate in Cassazione le accuse di camorra

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La Corte di Cassazione ha recentemente respinto le richieste di scarcerazione per il cantante neomelodico Tony Colombo e sua moglie Tina Rispoli, implicati in un’inchiesta del pool antimafia. La coppia è accusata di avere legami con il clan Di Lauro, operante nella zona di Scampia-Secondigliano.

Le indagini, condotte dai pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano, puntano a dimostrare come Colombo e Rispoli, nonostante non appartengano direttamente a una famiglia mafiosa, siano profondamente inseriti nelle dinamiche criminali del clan. I giudici della quinta sezione della Suprema Corte hanno sottolineato la “totale condivisione di intenti” tra i coniugi e la loro “estrema pericolosità”, evidenziata dal loro “perdurante e costante inserimento nei contesti illeciti”.

L’accusa si concentra anche sulla gestione di un capannone industriale associato a Vincenzo Di Lauro, con arresti confermati anche per lui dalla Cassazione, e sulla condivisione di un marchio commerciale legato alla moda e all’abbigliamento. Le prove raccolte includono intercettazioni telefoniche e ricostruzioni finanziarie effettuate dalle forze dell’ordine.

Il deputato Francesco Emilio Borrelli di Alleanza Verdi Sinistra ha commentato il caso, sottolineando come lui e il suo partito abbiano per anni lottato contro il sistema di Colombo e Rispoli, denunciando i loro legami con la camorra che, a suo dire, molti hanno preferito ignorare.

Questa vicenda mette ancora una volta in luce le intricate connessioni tra il mondo dello spettacolo e le organizzazioni criminali in alcune aree di Napoli, rivelando come figure pubbliche possano a volte essere coinvolte in attività illecite che sfruttano la loro visibilità per operazioni economiche dubbie. La decisione della Corte di Cassazione rappresenta un passo significativo nel tentativo delle autorità di combattere il crimine organizzato, dimostrando che nessuno è al di sopra della legge, anche quando si tratta di figure note al grande pubblico.

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Processo per usura e racket ai clan di Napoli Ovest, l’assenza per paura dei commercianti

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Napoli ovest è ancora una volta teatro di un processo che mette in luce la profonda infiltrazione della camorra nelle attività quotidiane dei cittadini. Il processo, che ha avuto inizio ieri con la prima udienza preliminare, vede coinvolte venti persone, identificate dalla Procura come membri del clan Vigilia. Questo gruppo, a lungo dominante nel rione Traiano per il controllo delle piazze di spaccio, è ora accusato di estorsione e usura nei confronti di commercianti locali.

Il giudice per le udienze preliminari ha preso in esame il caso, che rivela come un commerciante di via Epomeo sia stato costretto a pagare fino a 15mila euro in diverse rate sotto minaccia. Queste pratiche estorsive non sono isolate, ma parte di una strategia di radicamento criminale che ha visto i cittadini, indicati come vittime dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli, sottomessi a tassi usurari e pressioni continue.

La nota più triste di questa vicenda è l’assenza in aula delle presunte vittime, i “cittadini innocenti” che hanno subito intimidazioni e minacce. Questo silenzio è indicativo dell’atmosfera di paura che regna in alcune aree di Napoli, dove l’omertà sembra ancora prevalere. Nonostante la gravità delle accuse, nessuna delle vittime ha voluto presentarsi per rivendicare il proprio status di parte offesa.

Il processo vede anche la costituzione di parte civile da parte del Comune di Napoli e della Presidenza del Consiglio, oltre che dell’associazione Sos Impresa, rappresentata dall’avvocato Alessandro Motta. Questi soggetti cercano di sostenere il procedimento giudiziario e di offrire supporto alle vittime, spesso lasciate sole a fronteggiare la criminalità organizzata.

L’udienza è stata occasione per gli avvocati di delineare le strategie difensive, con alcuni imputati che hanno optato per il rito abbreviato, sperando in una riduzione della pena. Tuttavia, il clima di tensione non diminuisce, come dimostrano episodi recenti di violenza nella stessa area, tra cui un raid in un parco giochi che ha visto una madre ferita mentre si prendeva cura della figlia.

Il caso continuerà a giugno, con il ritorno in aula e l’attesa delle richieste di condanne per coloro che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Intanto, il verdetto duro contro il clan Sorianiello, emesso nello stesso periodo, conferma l’esistenza di una rete criminale ben strutturata, capace di imporre il proprio dominio attraverso la violenza e l’intimidazione.

Questo processo non è solo un’esposizione delle dinamiche criminali di Napoli ovest, ma anche un esame della capacità della giustizia di proteggere i cittadini e di affermare l’autorità dello Stato in zone dove la legge sembra avere poco potere. Le conseguenze di questo processo saranno cruciali per la lotta alla camorra e potrebbero segnare un punto di svolta nella ripresa di controllo civile nelle aree più turbolente della città.

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