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Ergastolo al medico definito “angelo della morte”, uccise 12 pazienti in corsia

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Leonardo Cazzaniga, ex viceprimario del Pronto Soccorso dell’ospedale di Saronno (Varese), è stato condannato all’ergastolo per 12 omicidi dai giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Busto Arsizio al termine di sette ore di Camera di Consiglio. Cazzaniga è stato ritenuto colpevole di omicidio volontario nei confronti di 12 persone, dieci pazienti in corsia e madre e suocero di Laura Taroni, l’infermiera sua ex amante. La Corte d’Assise di Busto Arsizio (Varese) lo ha assolto dall’accusa di omicidio della suocera, Maria Rita Clerici, e di due pazienti del Pronto Soccorso di Saronno. Per un terzo decesso era stata la stessa accusa a chiederne l’assoluzione durante la requisitoria finale.

La Corte d’Assise di Busto Arsizio (Varese) ha condannato a 2 anni e 6 mesi per favoreggiamento quattro dei cinque medici della commissione medica dell’ospedale di Saronno (Varese), chiamata a valutare l’operato di Leonardo Cazzaniga su segnalazione di due infermieri. I giudici hanno accolto la tesi dell’accusa, secondo cui l’ex direttore generale dell’ospedale di Saronno (Varese) Paolo Valentini, l’ex direttore sanitario Roberto Cosentina, l’ex direttore del Pronto Soccorso Nicola Scoppetta e il medico legale Maria Luisa Pennuto, non potessero non valutare con competenza l’agire di Leonardo Cazzaniga in corsia e non aver assolto l’obbligo di agire di conseguenza. La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha invece assolto l’oncologo Giuseppe di Lucca dalle accuse di omessa denuncia “perche’ il fatto non sussiste”.

“L’angelo della morte”, cosi’ come si faceva chiamare nei corridoi del Pronto Soccorso di Saronno, in provincia di Varese, potrebbe ora trascorrere il resto della sua vita in carcere. La Corte ha ritenuto fondate le tesi dell’accusa (il fascicolo ‘Angeli e Demoni’ e’ a firma del procuratore Gianluigi Fontana e del pm Maria Cristina Ria) secondo cui il medico avrebbe somministrato farmaci anestetici letali a dieci pazienti da lui trattati in ospedale tra il 2011 e il 2014, in una sorta di delirio di onnipotenza, cosi’ come a Luciano Guerra – suocero dell’ex amante, l’infermiera Laura Taroni – e al marito della donna, Massimo Guerra, dopo averlo persuaso di essere malato. Gli stessi giudici lo hanno assolto dalle accuse di omicidio per le morti di due pazienti in corsia e per quella della madre della Taroni, Maria Rita Clerici: delitto per il quale l’ex infermiera, che e’ stata processata con l’abbreviato, e’ gia’ stata invece condannata in Appello a 30 anni. La donna e’ stata ritenuta anche colpevole, in concorso con Cazzaniga, per l’omicidio del marito (sulla cui sentenza ora si aprira’ un procedimento in Cassazione, a causa di 13 pagine mancanti nella motivazione dei giudici meneghini), mentre e’ stata assolta per l’omicidio del suocero Luciano Guerra.

Tra il medico e l’infermiera l’amore era sbocciato nei corridoi dell’ospedale del varesotto, una decina di anni fa, mentre Taroni era ancora sposata con Massimo Guerra. La donna ha detto di aver vissuto schiacciata tra le richieste di pratiche intime estreme del marito e il giudizio di sua madre, anche in riferimento a come stava crescendo i suoi due figli: cosi’; quando la relazione con Cazzaniga si e’ fatta piu’ seria, secondo l’accusa i due avrebbero deciso di “eliminare” in serie gli elementi “scomodi”, ovvero Massimo Guerra, poi Maria Rita Clerici e infine Luciano Guerra. Secondo i giudici della Corte d’Assise, pero’, la coppia avrebbe agito insieme solo per eliminare il marito della Taroni. Noto per il cosiddetto ‘protocollo Cazzaniga’, un cocktail di farmaci di cui lui stesso parlava in corsia al Pronto Soccorso, l’ex viceprimario trattava i pazienti (quasi tutti gravati da patologie serie) con anestetici e sedativi somministrati in dosi fino a dieci volte superiori alla norma. Secondo la difesa del medico, lui mirava a “lenire le loro sofferenze”, a limitarne agonia e dolore. Tesi ripetuta anche oggi dal medico, in dichiarazioni spontanee: “Pur nella acuta consapevolezza d’essere imputato di 14 omicidi volontari, quindi un ‘demonio’, un ‘killer spietato’, ribadisco di non aver mai agito come Lady Macbeth suggeri’ al consorte”, ha detto poco prima della “sentenza che so – ha ammesso – poter essere la catastrofe”. La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha anche condannato a 2 anni e 6 mesi per favoreggiamento quattro dei cinque medici della commissione medica dell’ospedale di Saronno chiamata a valutare l’operato di Cazzaniga, su segnalazione di due infermieri. “Soddisfatti, ma nessun commento”, ha dichiarato il procuratore Gianluigi Fontana. “Siamo curiosi di leggere nelle motivazioni come sia stata dimostrato il rapporto di causa ed effetto tra la somministrazione dei farmaci e la morte”, ha dichiarato uno dei suoi avvocati, Ennio Buffoli. Leonardo Cazzaniga, per decisione della Corte d’Assise, dovra’ pagare risarcimenti ai familiari delle vittime per quasi un milione di euro.

 

 

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Strangolata in casa, il compagno ha confessato

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“Si, sono stato io, ho ucciso Sabrina”. Ai pm di Pavia e Cremona è bastata questa ammissione e un disordinato ragionamento sul movente per risolvere, a ora, il caso dell’omicidio di Sabrina Baldini Paleni, 56 anni, operatrice sanitaria in una Rsa del Lodigiano, strozzata in casa a Chignolo Po (Pavia) dal compagno, Franco Pettineo, 52 anni, autista e fratello del precedente marito di Sabrina. Pettineo l’ha uccisa, strozzandola mentre lei cercava di difendersi, tanto che l’uomo aveva dei graffi in faccia e sul corpo. Poi la fuga dell’omicida, apparentemente sconclusionata.

Prima della scoperta del corpo di Sabrina da parte della figlia, arrivata in casa la mattina di ieri con i carabinieri, l’uomo, a bordo della sua Dacia nera aveva cominciato a dirigersi verso il Milanese. Era stato visto uscire di casa alle 8 e 30 da un testimone e i carabinieri di Pavia l’hanno individuato con il sistema targhe (il cellulare era rimasto in casa) una prima volta ancora in provincia di Milano; ma il rilevamento era delle 9 e 30, di due ore prima, avvistamento quindi inutile. Poi un buco di alcune ore durante le quali Pettineo deve essere stato in una zona appartata, forse meditando di farla finita. L’alert definitivo è scattato nel primo pomeriggio nel Cremonese, a Pandino.

Qui i carabinieri lo hanno fermato e lui non ha opposto resistenza; li ha seguiti docilmente, senza dire una sola parola. In caserma interrogato a lungo dai pm di Pavia Valeria Biscottini e di Cremona Andrea Fignoni è crollato: “Sono stato io”. E’ stato fermato per omicidio aggravato dalle relazioni personali e portato in carcere. Lunedì, davanti al gip entrerà probabilmente nel dettaglio del movente della lite sfociata nel femminicidio che sembra da ricondursi a una tensione familiare costante per una decina d’anni ed esplosa nella serata di giovedì. Alle forze dell’ordine non risultano episodi violenti che Sabrina abbia denunciato o meno, né i vicini di casa hanno mai sentito urla o rumori tali da far intervenire i carabinieri che hanno una stazione a Chignolo Po. Difficilmente, in un paese di 4mila abitanti non sarebbero venuti a conoscenza di situazioni pericolose. E ancor più nella frazione Lambrinia, dove abitano solo alcune centinaia di persone in strade silenziose vicino al fiume Lambro.

La procura di Cremona, diretta da Silvio Bonfigli, dopo la convalida del fermo, che appare scontata come la misura del carcere, trasmetterà gli atti a quella di Pavia, competente a indagare sull’omicidio. Che la situazione nella coppia fosse tesa, e non da poco, sembrano suggerirlo le parole che la figlia di Sabrina, Selene, avuta dal matrimonio finito, lascia su Instagram, con allegata la testimonianza di una vicina di casa la quale sostiene che la donna avrebbe avuto intenzione da tempo di lasciare il compagno. “”Addio angelo mio, ciao mamma, faremo di tutto per farti aver giustizia. Tu non meritavi questo – scrive la giovane sui social – io, mio fratello, tuo genero, la sua famiglia, che ormai consideravi la nostra, faremo di tutto per fargli aver quello che si merita”. “Noi ti proteggeremo, tu proteggici da lassù. Non verrai mai dimenticata. La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci e dei vigliacchi e tu – dice riferendosi evidentemente all’assassino della madre – non hai vinto, non hai spento quella luce”.

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‘Non solo clima, tagli alberi alzano rischi alluvioni’

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Non è solo il cambiamento climatico a causare le eccezionali perturbazioni degli ultimi anni, ma pure azioni non corrette – come l’eccessivo consumo di suolo in pianura e la mancanza di presidio e manutenzione a monte. L’abbandono dei boschi o il taglio di alberi eccessivo in collina e montagna -, possono contribuire in maniera decisiva ad aumentare i rischi sui versanti per erosione o frane e lungo i corsi d’acqua verso valle in occasione di piogge intense e durature come quelle di questi giorni. Lo sottolinea il professor Federico Preti, presidente nazionale dell’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica e docente di Idraulica dell’Università di Firenze riguardo al rinnovato rischio di alluvioni in Toscana con l’ultimo maltempo.

“Ci risiamo: in Toscana continuano a esondare i corsi d’acqua”, spiega Preti secondo il quale, ad esempio, “tagliare troppo e male la vegetazione ripariale può addirittura aumentare il rischio a valle” sia per “frane che sono più frequenti nei versanti non più gestiti negli ultimi decenni, rispetto a quelli ancora mantenuti o boscati” sia per la capacità di “trattenimento e rallentamento delle acque” che gli alberi garantiscono nei tratti a monte dei corsi d’acqua. “La strada oggi – suggerisce – è piuttosto quella di rinaturalizzare il territorio e pianificare interventi strutturali e non strutturali (come anche delocalizzazioni di edifici) a medio e lungo termine”.

Preti sostiene che “è stato di recente confermato che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti sui versanti (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50%” dato che “gli eventi critici ora hanno una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno minore”.

“Oggi ci servirebbero 3 miliardi di euro all’anno da spendere per mitigare il rischio in Italia, a fronte di circa il triplo speso ogni anno per ricostruire dopo le catastrofi”, prosegue il docente, ma “possiamo mitigare l’aumento di rischio idrogeologico, compensando gli effetti del consumo di suolo e del cambio climatico con la prevenzione tramite soluzioni basate sulla natura, ovvero realizzando interventi innovativi di Ingegneria Naturalistica con investimenti 10 volte inferiori a quelli per la ricostruzione in emergenza post eventi catastrofici”. Con “interventi diffusi a monte” di gestione corretta di boschi e realizzazione di opere vive “possiamo avere ulteriori vantaggi – afferma – come ad esempio trattenere e rallentare l’acqua, cosa che garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento delle falde”.

Invece “il cambiamento di uso del suolo e la minore manutenzione dei nostri bacini idrografici, oltre agli effetti del cambio climatico, hanno portato oggi ad un rischio notevolmente maggiore”, “il consumo di suolo che ha enormemente aumentato la vulnerabilità e l’esposizione di beni e persone al danno e abbiamo un rischio che è cresciuto in maniera ormai insostenibile”.

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‘Impronte e tappetino’, al via le nuove analisi su Sempio

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“Sono stato consulente per l’accusa nell’omicidio sul caso Rostagno in cui si sono ottenuti dati sul Dna analizzando un oggetto toccato dall’indagato 27 anni prima”. Così Francesco De Stefano, perito nell’appello bis sul caso Garlasco che portò alla condanna a 16 anni per Alberto Stasi, spiegò ai pm di Pavia, che 8 anni fa archiviarono il primo fascicolo su Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi, perché quelle tracce biologiche trovate su unghie e dita della studentessa potevano arrivare da un contatto “mediato” con la tastiera del pc nella villetta, usata dal 19enne per giocare ai videogiochi con Marco. La tastiera e il mouse di quel computer, che i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, nelle indagini riaperte a Pavia, stanno cercando con poche speranze, sono solo due degli oggetti presi in considerazione dagli inquirenti in questa sorta di “caccia al tesoro”, per rianalizzare ciò che si è salvato dei vecchi reperti. Perché il Dna prelevato a Sempio andrà comparato, come indicato dal gip e richiesto dall’aggiunto Stefano Civardi e dalla pm Valentina De Stefano, con tutte le “ulteriori tracce di natura biologica rinvenute sulla scena del crimine”, con quello che resta anche solo a livello documentale. E ciò darà il via, in sostanza, ad un confronto serrato tra consulenti.

Per prima cosa, a inizio settimana la Procura conferirà l’incarico, verosimilmente a Carlo Previderè, gentista del caso Yara, per l’accertamento irripetibile su estrazione e match del Dna con gli esiti sul materiale rinvenuto su Chiara Poggi. Poi, dopo aver già effettuato una propria consulenza sulla comparazione tra i profili genetici dopo “l’impulso” della difesa Stasi, gli inquirenti disporranno pure un altro accertamento per dimostrare che quell’ormai nota impronta di scarpe, con suole a pallini, può riferirsi anche ad un numero maggiore del 42, che indossava Alberto, fino al 44 che calzava Sempio. Si cercano anche dei mozziconi di sigaretta, che vennero fotografati in un posacenere della casa ma mai repertati probabilmente, come si punta sugli esiti di un traccia biologica rintracciata sul tappetino del bagno e su tutte le varie impronte. La fascette adesive utilizzate per rilevarle sono state recuperate e andranno rivalutate pure le verifiche dell’epoca su alcuni capelli. Proseguiranno le audizioni dei testimoni, compresi i genitori di Chiara, tutti già sentiti in questi 18 anni più volte, come Marco Poggi e i suoi amici, ascoltati ancora nei giorni scorsi. Sempio, pronto semmai anche a farsi interrogare, è più “preoccupato per l’incubo che sta rivivendo” la famiglia Poggi che per se stesso, mentre il fratello di Chiara cerca di dargli “conforto”. Stasi dal carcere spera che la sua responsabilità, accertata dalla Cassazione nel 2015, possa essere spazzata via dalla nuova inchiesta e con una successiva richiesta di revisione del processo.

Da valutare, oltre agli “elementi nuovi” che la Procura guidata da Fabio Napoleone è convinta di avere in mano, c’è anche quell’alibi dello scontrino del parcheggio di Vigevano, che per i vecchi pm reggeva, così come le giustificazioni sulle tre chiamate partite dal cellulare di Sempio verso casa Poggi, il 4, il 7 e l’8 agosto, quando Marco e i genitori erano già in vacanza dal 5 agosto. Stando alle nuove indagini, inoltre, il pc della villetta non venne più acceso dal 10 agosto, ovvero la ragazza per tre giorni almeno, prima di essere uccisa, non venne più a contatto con la tastiera. E, dunque, quello trovato, per i pm, potrebbe essere il Dna dell’aggressore. Il perito De Stefano disse, invece, che era più “verosimile” sostenere un “trasferimento” mediato, da “oggetto a persona”, anche per il “quantitativo esiguo” e per la “discontinua distribuzione del Dna sulle dita”. Insomma, sarà una lunga battaglia che segnerà ancora il destino di molte persone, legate ad una morte atroce e ad un caso giudiziario che pare infinito.

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