Dopo “due anni tremendi”, a meta’ mandato la Confindustria di Carlo Bonomi appare in trincea: la barra e’ ferma in una “costante e appassionata ricerca di incalzare istituzioni e partiti nella scelta delle misure e delle riforme piu’ adeguate”; ha due riferimenti solidissimi, alti, per la fiducia piena nel Presidente Sergio Mattarella e nel premier Mario Draghi; ma la politica dei partiti e ‘parte’ dei sindacati non sono stati disponibili a cercare punti di contatto su cui costruire un percorso comune, “preferiscono rapporti bilaterali” direttamente con il Governo. E’ cosi’ archiviata – nelle parole del leader degli industriali all’assemblea privata di Confindustria – la prospettiva di quel Patto per l’Italia proposto e perseguito dallo stesso Carlo Bonomi fin dalla sua prima assemblea da presidente. All’assemblea privata, la prima in presenza dall’inizio della presidenza Bonomi, hanno partecipato 580 imprenditori, con il “record di presenze degli ultimi 30 anni”. Il piu’ importante appuntamento annuale interno all’associazione e’ per il presidente di Confindustria anche l’occasione per lanciare un monito alla stessa platea di industriali. Lo fa prima con un invito alla coesione: “E’ capitato, talvolta, che io non la avvertissi intorno a me, questa determinazione a battersi”; Poi, anche con un forte richiamo alla distanza dalla politica: “Non ci puo’ essere spazio per alcun collateralismo politico e partitico. In alcune parti d’Italia, a un occhio attento, le imprese sono troppo vicine a questo o quel sistema di potere politico. Dobbiamo tutti guardarcene come da un contagio pericoloso”. Sembra pronunciato oggi, dice Bonomi, il “monito solenne” che Guido Carli lancio’ agli industriali tra il 1977 ed il 1978: “Occorre scongiurare ogni rischio di subalternita’ alle politiche dei partiti”, “Il compito delle imprese e di chi le rappresenta e’ di non piegarsi mai alle ragioni di questa o quella coalizione, questo o quel partito”. Sono nette le critiche di Carlo Bonomi alla politica ed arriva ancora una stoccata al ministro del Lavoro, Andrea Orlando. “I partiti dell’eterogenea coalizione dell’attuale Governo non hanno mai davvero condiviso uno spirito di concordia e cooperazione nazionale”, antepongono le loro “bandierine identitarie”: e’ un “fenomeno crescente e via via sempre piu’ difficilmente contenibile per la necessita’ di evitare folli crisi di governo”. Il presidente di Confindustria ripercorre le tappe di “questo andazzo”: boccia le misure fiscali in legge di bilancio, ricorda la proposta di taglio del cuneo contributivo “rimasta inascoltata” come altre, elenca i passi indietro fatti con “misure figlie della necessita’ di copertura della nuova ondata di conferme di bonus avanzate dai partiti”, dal reddito di cittadinanza a quota100, alla facolta’ per gli autonomi di avere ancora anni prima di rientrare in tassazione Irpef sopra i 65mila euro di fatturato (con un costo di “circa 70 miliardi dal 2020 al 2026”). Cosi’, dice il leader degli industriali, “si inabissava anche la prospettiva su cui avevamo insistito tanto: la necessita’ di affrontare la ripresa italiana attraverso un grande patto per l’Italia, pubblico e privato, imprese e sindacati, tutti insieme”. L’attacco e’ ai partiti ed a quella parte del sindacato (Confindustria sembra ‘assolvere’ solo la Cisl che con il segretario Sbarra si dice pronta ad un confronto senza ideologie che va fatto ”se non ora quando’ ) che “ha sempre risposto che avrebbe solo parlato con il Governo, e non certo con noi: disconoscendo ogni possibilita’ di uno scambio di comune convergenza tra produttivita’ e salari, nuove politiche attive del lavoro e nuovi ammortizzatori volti alla formazione e non piu’ meri sussidi. Atteggiamento che il ministro Orlando ha del resto sempre incoraggiato, avendo a propria volta la stessa visione per cui il lavoro non va delegato alle parti sociali ma e’ la politica che lo decide, spesso ideologica”.