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Elezioni, l’astensionismo è figlio della trasformazione dell’elettore in un fan

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Mai così pochi italiani alle urne in una consultazione di livello nazionale. E senza il traino delle amministrative sarebbero stati anche meno: 49,69%. È un numero destinato a entrare nella storia della Repubblica. Per la prima volta in una consultazione nazionale (referendum esclusi) l’affluenza dei cittadini italiani ai seggi è scesa sotto il 50%. Più della metà del Paese non si è recato alle urne, sabato e domenica, in Italia. Complessivamente, in vent’anni, abbiamo perso per strada 10 milioni di elettori.

«Abbiamo trasformato i cittadini in fan, dirottato la partecipazione politica altrove, chiedendo una mera adesione a personaggi pubblici, con una polarizzazione estrema: o con me o contro di me. Abbiamo fatto in modo che sia sempre necessario individuare dei nemici, per dare linfa alla battaglia continua della politica trasformata in sfida. L’astensionismo che affligge la nostra democrazia è figlia di tutto questo. Inoltre, si aggiunge una “tradizionale” flessione della partecipazione alle europee perché la costruzione del “cittadino europeo” è un processo ancora in divenire e Bruxelles appare inesorabilmente lontana. Ma da qui occorre ripartire per affrontare questa assenza di partecipazione: non dalla campagna elettorale ma dal giorno dopo le elezioni”. A spiegarlo è il professor Lorenzo Viviani, ordinario di Sociologia dei fenomeni politici presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, dove insegna Sociologia Politica, Sociologia della Leadership e Sociologia della Democrazia. È coordinatore della Sezione di Sociologia politica dell’AIS, associazione italiana sociologia e del Centro Interuniversitario di Sociologia Politica CIUSPO dell’Università di Firenze, Direttore della Rivista “SMP – SocietàMutamentoPolitica”. 

«Il dibattito purtroppo è sempre più assente nella vita politica: c’è una timeline che si è sostituita all’agenda, una difficoltà ad argomentare, anche da parte dei leader, se non con slogan. Tutto questo porta alla polarizzazione, ed è un paradosso, a ben guardare, perché la disintermedializzazione dovuta ai social non ha portato a una maggiore partecipazione ma al suo contrario. I leader dei partiti parlano direttamente ai cittadini ma non per questo hanno creato comunità partecipate. Ripartiamo da qui per curare la nostra democrazia», conclude il professor Viviani.

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Grillo alla guerra sul simbolo, alt di Conte: la pagherà

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Tenere unita la comunità pentastellata e avvertire Beppe Grillo sui rischi di un’azione legale. Questi i due obiettivi dell’intervento social del presidente M5s Giuseppe Conte, che parla al Movimento dopo la chiusura della votazione bis sullo Statuto. La base ha confermato la cancellazione del ruolo del garante. E il leader invita tutti a “guardare avanti, quel che è stato è stato”. L’ex premier, ora più che mai, prova a serrare le fila con un appello alla coesione. “Il M5s è la casa democratica di tutti”, dice. Anche di chi si è astenuto, e di chi, con il suo voto, si è schierato dalla parte del fondatore. Una fetta non trascurabile di iscritti, a cui il presidente tende la mano.

“Non è più l’epoca delle cacciate e delle espulsioni”, scandisce. Guardando al futuro, però, i toni si fanno più muscolari. Danilo Toninelli, qualche ora prima della diretta social del leader, conferma i sospetti: “Grillo impugnerà il simbolo e lo farà diventare suo con un’azione legale”. Conte non scansa la questione. Anzi, avverte: “chi si azzarda a intralciare il M5s troverà una solida barriera legale, pagherà gli avvocati, anche i nostri, la lite temeraria, e pure i danni”.

Dopo mesi di conflitto aperto sulla Costituente, tutto lascia presagire che la battaglia si sposterà in tribunale. Con Grillo pronto alla sfida da lui stesso adombrata. Il suo entourage è convinto che “andrà avanti”. “Il simbolo è di sua proprietà al 100%”, incalza Toninelli. Ma quello sul contrassegno, potrebbe non essere l’unico fronte della guerra legale. Dall’inner circle grillino si moltiplicano gli attacchi diretti alla procedure di voto e alle modalità della Costituente, a partire dalla cancellazione degli iscritti della scorsa estate. E c’è chi non esclude che un’impugnazione parallela possa interessare anche questi aspetti.

“Grillo è sempre stato imprevedibile e lo sarà ancora”, avvisa chi lo conosce bene. E il presidente Conte non lascia cadere la questione. “Falsità e calunnie, tutto è stato trasparente”, spiega. Sulla cancellazione degli iscritti, chiarisce: “si è rispettata una clausola statutaria”. Sulla piattaforma di voto, lancia una frecciata a Roberto Casaleggio: “è gestita da terzi, non come Rousseau”. Poi, l’affondo: “chi rimesta nel torbido o fa un azione in giudizio, la pagherà”.

“Io ho l’onore di questa comunità e la difenderò con le unghie e con i denti”, è l’opposizione ‘fisica’ del leader. Che si dimostra sicuro. “Abbiamo adottato tutte le cautele del caso, studiato tutte le conseguenze e non abbiamo nessun timore”, è l’avvertimento. “Con un team di avvocati, – aggiunge – abbiamo spiegato a chi ha tentato di danneggiarci che è un grave danno all’azione del M5s, e chi l’ha fatto ha pagato le conseguenze”. Da una parte, Conte mostra i denti e gioca la carta della deterrenza in vista di una guerra legale con Grillo. Dall’altra, il leader dedica una minima parte del suo lungo discorso allo scontro con il garante. Si dice deluso dagli attacchi velenosi e dal sabotaggio della Costituente. Ricorda “l’aut aut” del fondatore e spiega: alla “logica del caminetto, ho preferito la comunità”.

Non a caso, al centro dell’intervento ci sono proprio gli iscritti, e Conte non evita di citare gli 8 mila nuovi arrivi dell’ultimo mese. “Il M5s non scimmiotterà gli altri partiti, cambiamo il Paese”, suona la carica. La sfida del rilancio, passa dalle proposte della Costituente. Etica pubblica, “contro i signori delle tessere”, e appello “contro il riarmo in Ue”, in primis. Con la contesa lanciata ai dem sul “vero progressismo”. Ma la sfida è anche quella di evitare scissioni e fuoriuscite. Tra i grillini, si fa largo una convinzione: “siamo pochi, ma ci stiamo coagulando”. Le chat sono infuocate, però il futuro resta incerto. C’è chi parla di liste alle amministrative, chi di associazioni, chi di fondazioni. “Domani, o magari dopodomani, nascerà qualcosa di nuovo, aspettiamo l’azione legale di Beppe”, sono le parole di Toninelli. Che lasciano intuire un percorso ancora in nuce. “Non vedo le ragioni politiche di una scissione, la si fa per perseguire l’autocrazia e respingere la democrazia del M5s?”, taglia corto Conte.

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Salta il taglio dell’Irpef, scende l’Ires per chi assume

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Niente da fare, al momento, per un ulteriore taglio dell’Irpef: la misura si affronterà solo “dopo il consolidamento dei conti”. Ma spazio a “aggiustamenti” su due misure caldeggiate dagli alleati: l’Ires premiale per chi reinveste e assume, chiesta dal mondo delle imprese e da Forza Italia, insieme all’innalzamento del tetto di reddito dipendente per la flat tax, misura bandiera della Lega.

Nelle due ore di riunione con gli alleati – in un clima che viene descritto come tranquillo – Giorgia Meloni insieme a Giancarlo Giorgetti definisce i margini di modifica alla legge di bilancio. Che si punta a chiudere in tempi stretti, entro Natale. Modifiche che vanno incontro alle richieste dei partiti ma nei limiti di una coperta che resta, comunque, piuttosto corta. Se la Lega chiedeva, quindi, un aumento da 30mila a 50mila euro del tetto del reddito da dipendente sotto il quale si può accedere alla flat tax si deve accontentare di un incremento a 35mila euro.

Per quanto riguarda l’Ires premiale l’ipotesi – secondo quanto riferiscono alcune fonti – sarebbe quella di ridurre l’aliquota al 24% tra i 3 e i 5 punti, con un costo massimo di 400 milioni che verrebbe in parte coperto da banche e assicurazioni. FdI, dal canto suo, incassa la flat tax al 5% sugli straordinari degli infermieri e la riduzione del minimo contributivo per i nuovi artigiani e commercianti. Le risorse, del resto, sono limitate. E dunque, nonostante lo sforzo messo in campo con il concordato e con quello bis, che si chiude giovedì, non c’è spazio per ora per l’abbassamento di due punti della seconda aliquota Irpef dal 35 al 33%. Un punto fermo messo in chiaro nel vertice servito per mettere in sicurezza il percorso della manovra in Parlamento dopo lo scontro sul canone Rai e le polemiche degli ultimi giorni proprio sul concordato.

Nella riunione a Palazzo Chigi, tra l’altro, è presente anche il viceministro all’Economia Maurizio Leo sotto attacco nei giorni scorsi da parte della Lega per le lettere inviate dell’Agenzia delle entrate alle partite Iva, definite da Matteo Salvini “dai toni inquisitori”. Vicenda chiusa, almeno per il momento. Mentre la Lega, uscita sconfitta nello scontro con FI sul canone Rai, la spunta su un’altra battaglia storica: quella per l’annullamento delle multe da 100 euro per chi non ha ottemperato agli obblighi vaccinali al tempo della pandemia Covid. Nel milleproroghe approvato in Cdm si prevede addirittura di rimborsare quanti le abbiano già pagate. Tra le novità che entreranno nella legge di bilancio e che vengono confermate dal vertice di maggioranza anche l’esenzione dalla stretta sul turn over per le forze dell’ordine, gli enti locali, il personale Ata e i ricercatori.

E una misura promossa da FdI per il riconoscimento del sostegno economico agli specializzandi dell’area non medica, che potrebbe sbloccare la retribuzione del tirocinio per specializzandi come odontoiatri, psicologi, fisici, chimici, veterinari, farmacisti e biologi. Restano sul piatto ancora alcune norme che potrebbero entrare nel corso del dibattito in commissione. Tra queste la dote familiare di 500 euro per le attività extrascolastiche per i figli ma anche il voucher per le scuole paritarie così come l’innalzamento delle detrazioni per le spese scolastiche da 500 a 8mila euro, sul quale Noi Moderati è in pressing.

Domani alle 15 è prevista una nuova riunione sulla manovra, questa volta con i relatori del provvedimento, il presidente della commissione Bilancio della Camera, il Mef e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani: obiettivo definire più nel dettaglio le nuove misure. Da mercoledì poi si dovrebbe iniziare con le votazioni. Nel frattempo è aperto il confronto tra le opposizioni sulle – poche – risorse destinate alle minoranze della quota per le modifiche parlamentari. Si tratta di 50 milioni del tesoretto di 120 milioni previsto dalla legge di bilancio. Non è certo che i partiti di opposizione si compattino su una sola misura come accadde per lo scorso anno. M5s – viene infatti spiegato – potrebbe smarcarsi dagli altri con una indicazione diversa per la propria quota.

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75 premi Nobel contro la conferma di Rfk a ministro sanità

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Oltre 75 vincitori del premio Nobel hanno firmato una lettera aperta che esorta i senatori a non confermare la nomina di Robert F. Kennedy Jr., sostenendo che la scelta del presidente eletto Donald Trump per guidare il dipartimento della sanita’ e’ dannosa per la salute pubblica. La missiva, ottenuta dal New York Times, segna la prima volta in tempi recenti che i premi Nobel si sono uniti contro un ‘nominee’ del governo, secondo uno di loro, Richard Roberts, vincitore del prestigioso riconoscimento per la medicina del 1993, che ha contribuito a redigere la lettera.

“Questi attacchi politici alla scienza sono molto dannosi”, ha detto. “Bisogna prendere posizione e proteggerla”, ha aggiunto. I firmatari della lettera hanno messo in dubbio che Kennedy, a loro dire “privo di credenziali” in medicina, scienza o amministrazione, sia adatto a guidare il dipartimento che tutela la salute pubblica e da cui dipende il finanziamento della ricerca biomedica. “Mettere Kennedy a capo del dipartimento mettera’ a repentaglio la salute pubblica e compromettera’ la leadership globale dell’ America nelle scienze della salute”, si legge nella lettera. Se confermata, l’opposizione di Rfk a strumenti di salute pubblica consolidati, come i vaccini e la fluorizzazione dell’acqua potabile, rappresenterebbe un rischio per il benessere del Paese, prosegue la missiva.

I premi Nobel hanno anche criticato la promozione di teorie cospirative da parte di Kennedy, che ha falsamente collegato i vaccini all’autismo, ha respinto la scienza consolidata che dimostra come l’Hiv causi l’Aids e ha suggerito, senza prove, che il coronavirus ha preso di mira o, a seconda, risparmiato alcuni gruppi etnici. I firmatari hanno inoltre notato che il nominee è stato un “critico belligerante” delle agenzie che rientrerebbero nella sua competenza, tra cui la Food and Drug Administration, i Centers for Disease Control and Prevention e i National Institutes of Health.

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