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Elezioni, Calleri (Fondazione Caponnetto) presenta il vademecum antimafia: votate chi si impegna contro le mafie 

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Le elezioni parlamentari sono sempre un momento prezioso e delicato della vita democratica, soprattutto in questa fase travagliata della storia del nostro Paese. La Fondazione Caponnetto, in vista di questa scadenza, ha preparato una sorta di vademecum in 15 punti, per invitare elettori e candidati, a tenere altissima l’asticella morale e a combattere la mafia col voto. Come? “Gli elettori s’impegnino a non votare candidati in odore di mafia o che non dichiarino di disprezzare i voti mafiosi. I candidati dichiarino di non accettare mai i pacchetti di voti che i mafiosi controllano” dice Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Caponnetto. Il vademecum è stato presentato a Firenze, presso il giardino Caponnetto, a 102 anni dalla nascita di Antonino Caponnetto, indimenticato capo del pool antimafia di Palermo, quello che aveva come magistrati di punta Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Calleri, presidente della Fondazione, spiega a Juorno i motivi di questa iniziativa e fa il punto sullo stato di salute della lotta alla mafia nel nostro Paese.  

Presidente Calleri, da dove nasce l’idea di questo vademecum?

Nasce dal fatto che il tema mafia non è all’ordine del giorno all’interno dei programmi dei partiti.

Perché la lotta alle mafie è praticamente sparita dai programmi elettorali degli schieramenti politici?

Perché non è più un tema, perché si ragiona in modo generico. Nei programmi trovi la parola mafia ma in modo insufficiente. Abbiamo quindi stilato questi quindici punti, che presenteremo domani. Invitiamo gli elettori a votare i propri candidati soltanto se si impegnano su questi quindici punti. 

Salvatore Calleri. Presidente della Fondazione Caponnetto

Può spiegarci questo vademecum?

A grandi linee: la normativa antimafia del doppio binario, lo scioglimento dei Comuni, le interdittive prefettizie che vanno rafforzate invece che alleggerite com’è appena avvenuto, un’attenzione al traffico dei rifiuti. E tanto altro. 

Si potrebbe pensare che se il tema mafie non viene cavalcato dalle forze politiche è perché non porta consensi. 

Secondo me non viene cavalcato per due motivi: perché non è più di moda e perché non sanno come trattarlo. La classe politica italiana ed europea – non è un problema solo nostro – in questo momento ha un difetto: il genericismo. La lotta alla mafia va invece condotta in modo molto specifico. Non basta uno slogan. Quanto al consenso elettorale, veramente sensibile e informato sul tema, in modo specifico e tecnico, è non più del 4% della popolazione, non un consenso altissimo, ma neanche così basso.  

In che modo le cosche sfruttano la guerra e la conseguente crisi energetica per accrescere i propri affari?

Le crisi aiutano sempre le mafie perché si inseriscono nelle debolezze e nei traffici generati dalle crisi. Faccio un esempio: la crisi delle bollette; vedrete che ci saranno un sacco di passaggi di attività o di inserimenti in attività lecite di gruppi mafiosi perché non si è in grado di pagare le bollette. Le armi: quelle che non verranno utilizzate, dopo la fine della guerra, a chi andranno? Un parte rimarrà negli eserciti, un’altra sarà smistata. 

Gestione dei fondi del PNRR: che cosa fare per per contenere le infiltrazioni mafiose?

Nella gestione dei fondi del PNRR dovremo muoverci in modo radicale. Controllare tutto. La mafia già ci sta mirando e non mi basta che esponenti governativi dicano “dobbiamo evitare le infiltrazioni”. Da esponenti governativi, quale che sia il loro colore politico, io mi aspetto che mi dicano come intendono fermarli, non che dobbiamo vigilare sulle infiltrazioni; questo lo posso dire io che non ho poteri di intervento.

Elezioni. Come si muovono le mafie a ridosso della tornata elettorale?

La mafia avrà i suoi candidati in ogni schieramento. Cade sempre in piedi. In questi anni peraltro ha fatto un’enorme campagna collaterale che ha favorito i pro-mafia, cioè quelli che attaccano l’antimafia. 

Mi indichi i primi tre provvedimenti antimafia che la Fondazione Caponnetto attuerebbe se fosse al Governo. 

Aumento degli organici delle forze dedicate alla lotta alla mafia, attenzione massima a tutto ciò che è rifiuti, rafforzamento delle normative del doppio binario, fra cui l’ergastolo ostativo. Poi i quindici punti che troverete nel vademecum antimafia. 

Da anni ormai la lotta alla mafia vive un momento di fiacchezza, che cosa fare per alimentare il fuoco antimafia nella società civile?

Non so quanto sia compito di un Governo alimentarlo. Il Governo deve combattere la mafia a prescindere da quanto il fenomeno sia sentito nella società civile. Posso aggiungere un quarto provvedimento?

Certo.

La ricerca dei tremila miliardi di euro che costituiscono il tesorone della mafia, i quali consentirebbero di risanare il bilancio dello Stato. 

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Casoria e Afragola: guerra di camorra per il controllo dello spaccio, nove arresti

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Un duro colpo alla camorra nel territorio di Casoria e Afragola. Questa mattina, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), nei confronti di nove persone.

I soggetti, tra cui due già detenuti in carcere e uno agli arresti domiciliari, sono accusati, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico di droga, detenzione ai fini di spaccio ed estorsioni. L’operazione, frutto di un’indagine avviata nel luglio 2020 e conclusa a febbraio 2021, ha portato alla luce un violento scontro tra due organizzazioni criminali rivali per il controllo delle piazze di spaccio.

L’omicidio di Antimo Giarnieri: un errore fatale

Le indagini coordinate dalla DDA di Napoli hanno ricostruito una faida tra due gruppi criminali che si contendevano il traffico di stupefacenti a Casoria. Il conflitto, caratterizzato da azioni armate reciproche, ha raggiunto il culmine nel luglio 2020, con l’omicidio di Antimo Giarnieri, vittima di un errore di persona. Nell’agguato fu ferito anche un altro uomo.

L’autore dell’omicidio è stato individuato e arrestato il 1° giugno 2021, ma le indagini hanno continuato a scavare a fondo nei meccanismi della criminalità locale, portando alla maxi-operazione di oggi.

Il business della droga: consegne a domicilio e piazze di spaccio

Dagli intercettazioni e dai riscontri investigativi è emerso che i due clan non solo rifornivano le principali piazze di spaccio con cocaina, hashish, marijuana e anfetamine, ma gestivano anche un servizio di consegna a domicilio per i clienti più esigenti.

Un sistema ben organizzato, che prevedeva una struttura gerarchica precisa, in cui ogni affiliato aveva un ruolo specifico nel rifornimento, nello smistamento e nella vendita della droga.

Le estorsioni e i legami con il clan Moccia

Le indagini hanno inoltre rivelato che i due gruppi criminali praticavano estorsioni ai danni degli acquirenti della droga, per recuperare i crediti delle dosi non pagate. Le estorsioni, sia tentate che consumate, dimostrano la ferocia con cui i clan imponevano la loro egemonia sul territorio.

Un altro aspetto inquietante emerso dall’inchiesta è il legame tra uno dei sodalizi e il clan Barbato, un’articolazione della storica consorteria Moccia, da decenni egemone nei comuni a nord di Napoli. Questo collegamento conferma come la criminalità organizzata continui ad operare con ramificazioni profonde e ben strutturate.

Un duro colpo alla camorra locale

L’operazione di oggi rappresenta un passo avanti nella lotta alla camorra nel territorio di Casoria e Afragola, dove la presenza criminale è da tempo radicata. I nove arresti infliggono un colpo significativo alla rete di traffico di stupefacenti e alle estorsioni che soffocano l’economia locale.

Le indagini proseguono per accertare ulteriori connessioni tra i clan locali e le organizzazioni criminali di più alto livello, con l’obiettivo di smantellare completamente la rete di illegalità e violenza che continua a infestare il territorio.

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Giornalisti spiati in Italia, ecco chi è stato intercettato e come funziona Paragon Solutions

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Nel giorno in cui Paragon Solutions rescinde il contratto con il governo italiano per violazione del codice etico – secondo un’indiscrezione del britannico Guardian – cresce la pressione politica per fare luce sul cosiddetto “caso Spyware”. Le opposizioni chiedono che la premier Giorgia Meloni e i ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, riferiscano in Parlamento, mentre Palazzo Chigi nega il coinvolgimento della nostra intelligence.

Nel frattempo, l’Unione Europea monitora attentamente la situazione, sottolineando che qualsiasi tentativo di accedere illegalmente ai dati dei cittadini, compresi giornalisti e oppositori politici, è inaccettabile.

Chi è stato intercettato e come funziona Graphite

In Italia, secondo le prime ricostruzioni, almeno sette persone sarebbero state intercettate attraverso Graphite, uno spyware militare capace di infiltrarsi anche in smartphone criptati senza che gli utenti se ne accorgano, accedendo a WhatsApp e Signal. Tuttavia, gli esperti ritengono che il numero reale delle persone sotto controllo possa essere molto più alto.

Finora solo in due hanno reso noto di essere stati intercettati dopo aver ricevuto l’avvertimento da Meta (proprietaria di WhatsApp):

  • Luca Casarini, fondatore dell’Ong Mediterranea Saving Humans, che ha annunciato un esposto in Procura.
  • Francesco Cancellato, direttore di Fanpage (foto Imagoeconomica in evidenza), che ha denunciato l’accaduto venerdì scorso.

Oltre a loro, si sospetta che altre due figure legate all’attivismo sui rapporti tra Italia e Libia siano state bersagliate dallo spyware, tra cui Husam El Gomati.

L’Agenzia per la cybersicurezza e il ruolo del Copasir

Prima che il governo risponda in Parlamento alle interrogazioni delle opposizioni, è atteso un passaggio al Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Nel frattempo, anche l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale ha avviato contatti con lo studio legale Advant, incaricato da WhatsApp di indagare sulla vicenda, che coinvolgerebbe almeno 90 persone in Europa tra giornalisti e membri della società civile.

Nonostante la Procura di Roma non abbia ancora aperto fascicoli ufficiali, emergono conferme da fonti israeliane. Secondo il quotidiano Haaretz, Paragon Solutions in Italia avrebbe collaborato con un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence, così come avviene con altri governi nell’ambito di operazioni anticrimine.

Le reazioni politiche: un nuovo caso Almasri?

L’opposizione è sul piede di guerra, definendo la vicenda “inquietante” e “pericolosa per la sicurezza nazionale”. I parlamentari PD della Commissione di Vigilanza Rai chiedono che il governo “chiarisca al più presto”, mentre il leader M5S Giuseppe Conte parla di un “fatto di gravità inaudita in un sistema democratico”.

“Se Paragon ha interrotto il contratto per ragioni etiche, la prima spiegazione del governo non torna”, ha dichiarato Conte.

Anche Enrico Borghi (Italia Viva) ha chiesto di sapere “chi siano gli utilizzatori italiani del software di hacking”, mentre per Nicola Fratoianni (AVS) il governo “deve dire tutta la verità”.

Dopo il caso Almasri, un’altra tempesta politica si abbatte sull’esecutivo, sollevando interrogativi sulla gestione della sicurezza e del controllo informatico in Italia.

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Truffa ai danni di imprenditori: usata la voce di Crosetto per falsi riscatti

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Una truffa elaborata e ben congegnata ha colpito diversi imprenditori italiani, coinvolgendo il nome del ministro della Difesa Guido Crosetto. Un gruppo di malintenzionati ha contattato alcune figure di spicco dell’imprenditoria nazionale fingendosi collaboratori del ministro o addirittura ricreando la sua voce con sofisticati software informatici. L’obiettivo? Convincerli a effettuare bonifici milionari su conti esteri, in particolare a Hong Kong, con la scusa di contribuire segretamente al pagamento di riscatti per giornalisti italiani presi in ostaggio in zone di guerra.

Imprenditori ingannati: un bonifico da un milione di euro

La truffa, che potrebbe sembrare la trama di un thriller politico, ha invece ingannato almeno due imprenditori, uno dei quali ha effettuato un versamento di un milione di euro. I malviventi hanno sfruttato il tema caldo della “ragion di Stato” e delle recenti trattative per la liberazione di ostaggi, come quelle per Cecilia Sala e per il libico Almasri, per rendere più credibile la richiesta.

L’intervento della Procura di Milano

L’inganno è stato scoperto quando lo stesso ministro Crosetto ha ricevuto una telefonata da un amico imprenditore che gli chiedeva spiegazioni su una richiesta di contatto proveniente dalla sua presunta segreteria. Il ministro ha subito verificato e confermato che nessuno del suo staff aveva effettuato tali chiamate. Poco dopo, un altro imprenditore, che non conosceva Crosetto di persona, ha riferito di essere stato contattato direttamente dal ministro e poi da un presunto generale, che gli avrebbe chiesto un bonifico “molto elevato”.

Resosi conto della gravità della situazione, Crosetto ha immediatamente allertato i carabinieri, che hanno raccolto le denunce e avviato le indagini. La Procura di Milano, sotto la direzione del pm Giovanni Tarzia e del procuratore Marcello Viola, sta cercando di bloccare i trasferimenti bancari prima che il denaro possa sparire nei circuiti finanziari internazionali.

L’appello di Crosetto: “Attenzione alla truffa”

Il ministro ha deciso di rendere pubblica la vicenda attraverso i suoi canali social per evitare che altri imprenditori possano cadere nella trappola:

“Preferisco rendere pubblici i fatti affinché nessuno corra il rischio di cadere nella trappola”, ha dichiarato.

Nel frattempo, l’indagine si allarga per individuare la rete di truffatori dietro questo elaborato schema di frode. Un episodio che solleva nuove preoccupazioni sulle tecnologie di deepfake vocale e sulle vulnerabilità della sicurezza informatica anche ai più alti livelli delle istituzioni.

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