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Cultura

Egitto, riemergono opere d’arte della regina Hatshepsut

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L’Egitto ha annunciato nuove scoperte archeologiche, tra cui tombe di alti funzionari risalenti a 4.000 anni fa e reperti artistici dell’epoca della regina Hatshepsut, in un’antica necropoli della celebre città di Luxor. Gli artefatti, emersi durante una campagna di scavo durata tre anni, sono stati rinvenuti nella zona di Deir al-Bahari, nella necropoli di Tebe, sulla riva occidentale del Nilo, ha precisato in un comunicato l’egittologo-star Zahi Hawass, che ha guidato la missione in collaborazione con il Consiglio supremo delle antichità egiziane.

Le scoperte spaziano dalla XV dinastia (1650-1550 a.C.) fino alla potente XVIII (1550-1292 a.C.), che annoverava faraoni come la regina Hatshepsut e il re Tutankhamon. Il team ha rivelato una parte intatta delle fondamenta del tempio funerario della valle della regina Hatshepsut, oltre a opere d’arte, tra cui bassorilievi e iscrizioni dai colori vividi e straordinariamente ben conservati.

I 1.500 blocchi decorati rappresentano la regina e il suo successore, Thutmose III, mentre compiono rituali sacri. Sono “le scene più belle che abbia mai visto nella mia vita”, ha dichiarato Hawass, presentando queste scoperte. “È la prima volta che disponiamo di un set completo della decorazione di un tempio risalente alla XVIII dinastia”, ha aggiunto parlando a giornalisti. Sotto le fondamenta del tempio, gli archeologi hanno scoperto un deposito intatto di strumenti cerimoniali con l’iscrizione del nome della regina Hatshepsut. Tra le altre scoperte figurano tombe scavate nella roccia del Medio Regno appartenenti ad alti funzionari, oltre a una tomba del “sorvegliante del palazzo” della regina Tetisheri della XVII dinastia, nonna del re Ahmose, che espulse gli Hyksos dall’Egitto.

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Cultura

Dal razzismo all’anoressia, le provocazioni di Toscani

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In sessant’anni di carriera ha parlato di razzismo, religione, sesso, fame, pena di morte, guerra, anoressia, violenza. Le fotografie, usate come armi di denuncia, sono sempre state più forti di qualsiasi slogan. “Bacio tra prete e suora” del 1999, “Tre Cuori White/Black/Yellow” del 1996, “No-Anorexia” del 2007 con la modella Isabelle Caro, 31 chili, morta pochi anni dopo. E poi tanti scatti per il mondo della moda, come il celebre primo piano del sedere di Donna Jordan con la scritta “Chi mi ama mi segua” per la campagna di Jesus Jeans del 1973, che gli fece conquistare il primo grande scandalo ma anche la fama internazionale. Oliviero Toscani, morto a 82 anni, ha firmato campagne in grado di suscitare dibattito e critiche per crudezza o anticonformismo.

Dopo aver lavorato per riviste del calibro di Vogue, L’uomo, Harper’s Bazaar, negli anni ’80 ha firmato una collaborazione che ha segnato per sempre la sua carriera, quella con Benetton, collaborando con il brand dal 1982 al 2000 e poi dal 2018 all’inizio del 2020. Per Benetton, Toscani ha realizzato tra l’altro, nel 1992, Angelo-Diavolo, incredibile scatto che vede come protagonisti un bimbo bianco con i capelli biondi – simile a un putto – e un bimbo nero con una pettinatura che simula delle piccole corna sulla sua testa a ricordare la figura del diavolo. Il fotografo ha ammesso di aver cercato per anni i soggetti giusti per rappresentare questo forte concetto di contrapposizione, legato al tema del razzismo.

Nel 1992, il soggetto pubblicitario di un’altra campagna per Benetton è stato un omicidio di mafia. Toscani ha più volte provocatoriamente giocato con il contrasto tra bianco e nero, un rimando al tema del razzismo. Senza dimenticare i fotogrammi dello spot choc contro le stragi del sabato sera prodotti da Toscani nel 1997. E ancora i tre cuori umani con le scritte “White”, “Black” e “Yellow”: il tema era il razzismo e l’obiettivo trasmettere all’osservatore il concetto di unione e uguaglianza che contraddistingue senza distinzioni ogni popolo del mondo. Nel 1999, ha scelto una macchia di sangue come logo della campagna mondiale per Benetton a favore del supporto ai rifugiati del Kosovo.

Nel 2018 ha fatto discutere la sua scelta di utilizzare una foto di migranti appena salvati, sbarcati da una nave come immagine di una nuova campagna per la casa di moda: un’operazione squallida, bollò lo scatto Salvini, invitando a boicottare il marchio. Precedentemente aveva suscitato scandalo la serie di scatti, realizzati sempre per Benetton, con protagonisti alcuni condannati a morte negli Stati Uniti: Toscani fu accusato dallo Stato del Missouri di falso fraudolento per averli ritratti con l’inganno, senza specificare cioè il suo scopo. Per il settimanale Donna Moderna, Toscani ha ideato una campagna contro la violenza sulle donne con protagonisti un bambino e una bambina nudi accanto alla scritta “carnefice” e “vittima”.

Nel 2009, banana e pisello erano invece i protagonisti di una campagna contro il bullismo finanziata dalla Provincia di Bolzano nel contesto di una iniziativa contro ogni forma di estremismo. Dibattito e critiche anche per i cartelloni con protagonisti preservativi usati e un neonato. Allo stile anticonvenzionale delle sue fotografie si lega un aneddoto curioso: nel 1965 Toscani era stato chiamato da Vogue per realizzare un ritratto a Carmelo Bene, che arrivò in studio fradicio per un temporale e si mise di fronte alla fotocamera con la giacca tutta storta e la patta dei pantaloni quasi aperta. Un’immagine colta dal fotografo come simbolo di una bellezza alternativa, fuori dagli schemi.

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Cultura

Treccani, ‘Supercazzola’ conquista il linguaggio della politica

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Supercazzola, l’invenzione lessicale nata nel film di Mario Monicelli Amici miei del 1975 per indicare una ‘frase priva di senso pronunciata con convinzione al fine di confondere l’interlocutore’, conquista il linguaggio della politica. Potrà essere considerata dai puristi parola non adatta alle aule parlamentari, ma è diventata ormai celebre e di uso frequente anche in politica. A riconoscerle valore lessicale è ora il Vocabolario Treccani della Lingua italiana on line, con una voce del linguista Michele A. Cortelazzo, accademico ordinario della Crusca e collaboratore dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, nella rubrica Le parole della neopolitica, ospitata su Treccani.it.

“Non so cosa capiranno gli storici del futuro – si chiede Cortellazzo – quando cercheranno di interpretare la replica del senatore Matteo Renzi alla risposta del nuovo ministro della cultura Alessandro Giuli nel suo primo Question time del 10 ottobre 2024, secondo il quale “il punto politico […] è che sì, sicuramente, è stata ‘prematurata con scappellamento a destra come fosse antani’ la risposta monicelliana del ministro, ma il punto chiave è che lei non ha dato una risposta di politica culturale”, citando il noto tormentone di Amici miei. Renzi stesso però è stato ripetutamente vittima della supercazzola. ll 24 febbraio 2014 l’allora Presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni commentando il suo discorso programmatico di governo aveva dichiarato che “finora, in confronto al discorso di Renzi, la supercazzola del conte Mascetti era un serio programma di governo…”.

Matteo Salvini il 30 luglio 2020, intervenendo nel dibattito sull’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, aveva dichiarato di preferire “”l bel tacer del MoVimento 5 Stelle alle gratuite supercazzole di Renzi e compagnia”, subendo in questo caso un rimbrotto dall’allora Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati: “la terminologia ‘supercazzola’, forse, è meglio tenerla da parte. Ci sono dei sinonimi più appropriati a questa Aula”. E, da una posizione opposta, anche Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista, il 18 luglio 2022 aveva giudicato una presa di posizione di Renzi sul problema dei profughi come “un’altra ‘supercazzola con scappellamento a destra’ per dirla con il celebre film del nostro compagno Mario Monicelli”. Insomma, secondo Cortelazzo grazie ai vocabolari l’allusione al film di Monicelli sarà palese anche in futuro.

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Cinquanta capolavori di Giorgio Morandi esposti alla David Zwirner Gallery di New York

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Più di cinquanta capolavori di Giorgio Morandi (1890-1964), che attraversano sei decenni della carriera dell’artista e offrono uno sguardo approfondito sulla sua poetica silenziosa e raffinata, potranno essere ammirate a New York, alla David Zwirner Gallery, dal 16 gennaio al 22 febbraio. Curata dalla storica dell’arte Alice Ensabella, la mostra riunisce opere provenienti dalla collezione della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano (Parma), una delle più importanti dedicate al maestro. Si tratta dell’esposizione maggiore dedicata a Morandi a New York dai tempi della retrospettiva del 2008 al Metropolitan Museum of Art. La collezione della Fondazione è il risultato di una profonda amicizia e collaborazione tra l’artista e il collezionista Luigi Magnani (1906-1984), musicologo e storico dell’arte. Magnani non solo acquisì molte opere direttamente da Morandi, ma ricevette dall’artista anche doni personali, creando un nucleo rappresentativo e unico.

Tra le opere in mostra spiccano l’Autoritratto (1925), uno dei rari autoritratti di Morandi, e la raffinata Natura morta metafisica (1918), testimonianza del periodo metafisico dell’artista. Ed ancora, la Natura morta (Strumenti musicali) (1941), commissionata da Magnani poco dopo il loro primo incontro. Sebbene Morandi non accettasse solitamente richieste su commissione, l’artista fece un’eccezione, come ricorda Magnani: “Me ne andai felice, ma inconsapevole del grande e generoso gesto che Morandi compiva accettando di dipingere il suo primo (e ultimo) quadro su commissione”.

La Fondazione Magnani-Rocca, situata nella Villa dei Capolavori, è una delle più importanti istituzioni culturali italiane e ospita una collezione che include opere di Monet, Renoir, Cézanne, Tiziano, Goya e de Chirico, oltre al nucleo più significativo di lavori di Morandi. L’amicizia tra Luigi Magnani e Giorgio Morandi rappresenta uno dei legami più significativi nella storia dell’arte italiana del Novecento. Iniziata nell’autunno 1940, quando il giovane musicologo e storico dell’arte incontrò per la prima volta l’artista bolognese, questa relazione si trasformò in un dialogo profondo e duraturo, alimentato da un’intesa silenziosa ma autentica.

Morandi, noto per la sua riservatezza e per il carattere schivo, trovò in Magnani un interlocutore sensibile, capace di comprendere pienamente la sua visione artistica e il suo mondo interiore. Questo legame permise a Magnani di raccogliere un nucleo di opere che riflette, con rara completezza, l’evoluzione poetica e tecnica dell’artista: una collezione non solo di dipinti, ma anche di significati e valori condivisi. La stima reciproca si tradusse in gesti di straordinaria unicità: Magnani fu tra i pochissimi a cui Morandi vendette direttamente le sue opere, spesso selezionando con cura dipinti che rappresentassero al meglio ogni fase della sua carriera.

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