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Ecco perchè la bomba che ha fatto saltare in aria la pizzeria #Sorbillo costerà carissimo a Napoli e ai napoletani

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Quanto ci costerà la bomba piazzata sotto la pizzeria di Gino Sorbillo in via Tribunali? Si può mettere una bomba e andarsene tranquilli alle 2 di notte, pochi minuti dopo la chiusura della pizzeria, nel cuore del centro antico di Napoli? Può accadere tutto ciò nei Decumani affollatissimi da turisti ad ogni ora del giorno e della notte, a duecento metri da un commissariato di polizia? Tenete bene in mente queste domande. Credo ce le poniamo un po’ tutti. Proverò a rispondere alla fine.

Una bomba in via Tribunali distrugge la pizzeria #Sorbillo. Gino Sorbillo: mi scuso, Napoli non è di questi delinquenti

In termini economici il danno di questa bomba per Gino Sorbillo è recuperabile. È un imprenditore capace, serio, equilibrato che, sono certo, già questa mattina transennerà tutto, e senza chiedere preventivi darà incarico a qualche azienda di ricostruire tutto e subito. Non perché abbia bisogno di guadagnare. Ha la pizzeria sul lungomare. Pizzerie a Milano. Pizzerie a New York. No, lo conosco bene. Gino Sorbillo è un napoletano vero, verace se vi piace di più.

Lui lo farà per dire ai criminali che gli hanno sistemato la bomba sotto la pizzeria: “Avete visto camorristi di merda, sono ancora qua, eh già!”.

Quest’uomo nella notte avrebbe potuto urlare al mondo intero il suo disprezzo per una città dove gli hanno bruciato e devastato la pizzeria due volte in pochi anni. E invece lui ha chiesto scusa ai napoletani e a Napoli per quanto accaduto. Ha avuto la fermezza e la serenità di dire poche parole che non possiamo lasciare passare in silenzio. Gino Sorbillo ha detto “Napoli non è di questi delinquenti”. È vero, è così. E lo è ancor di più se queste parole le pronuncia un imprenditore mentre nei suoi occhi scorrono le immagini della sua pizzeria, del suo lavoro, distrutto da criminali.

 

L’affetto che si è riversato su Gino Sorbillo sui social network e nella realtà, con decine di persone che sono andate in via Tribunali a portargli la loro solidarietà, fa capire che Napoli vuole sicurezza, chiede serenità, ha voglia di crescere. Chi ha messo la bomba non è uno stupido. Ha gestito un piano, ha messo a segno un attentato, ha corso i rischi strettamente necessari sapendo che l’avrebbe fatta franca. Chi ha messo la bomba sapeva di avere il tempo necessario per farlo ed andarsene senza vedere arrivare la polizia che ha un commissariato a 200 metri ma che a quell’ora è chiuso, senza personale, senza una volante all’esterno e col portone sbarrato. L’altro giorno nel quartiere collinare del Vomero, alle 5 del mattino, un’auto si è fermata fuori ad un negozio di tabacchi. Sono scesi due uomini con una mazza di ferro. Hanno sfondato un centro blindato. Ci hanno messo un paio di minuti. Mentre suonava l’antifurto, mentre dai piani superiori del palazzo c’era gente affacciata che minacciava di chiamare la polizia, i ladri incuranti di tutto, sono entrati, hanno fatto razzia e poi con calma sono andati via. Sapevano che non c’era una sola auto della polizia e dei carabinieri in giro? Mi ha spiegato come funziona il furto con devastazione il tabaccaio di via Bernini, plurirapinato e dunque con negozio che assomiglia a Fort Knox:

“Usano sempre la stessa tecnica, sanno di avere a disposizione il tempo necessario per fare quello che vogliono in attesa dell’arrivo di un’auto della polizia o dei carabinieri”.

Torniamo alle domande iniziali. Quanto costerà questa bomba a Napoli?

Gino Sorbillo oggi è il volto della pizza napoletana nel mondo. Sui social network tra Fb, Twitter e Instagram ha oltre mezzo milione di followers che lo seguono assiduamente.

Ha pizzerie a Napoli, Milano, New York. Ha un appeal internazionale. È spesso in tv, sui giornali, in radio, sul web. Da questa mattina all’alba la bomba alla pizzeria Sorbillo è la notizia più ricercata su google, l’hastag di tendenza su Twitter, non c’è giornale on line che non parli della bomba alla pizzeria Sorbillo, non c’è radio che non si sia collegata da Napoli per dare questa notizia, domani anche i giornali di carta ci arriveranno con qualche approfondimento (ahimè di maniera, di circostanza) sulla questione sicurezza a Napoli. Che cosa vuol dire tutto ciò? Che Napoli sarà esposta al ludibrio internazionale per la questione sicurezza. Ma come siamo messi a Napoli? Da mesi a Napoli si attende l’arrivo di 100 poliziotti che avrebbero dovuto rafforzare il presidio del territorio.

Da mesi a Napoli di attende l’arrivo di carabinieri per lo stesso motivo. Da anni a Napoli poliziotti e carabinieri vanno in pensione a decine per raggiunti limiti di età e non vengono rimpiazzati per il famoso blocco del turn over e perchè non si fanno concorsi per ricoprire le piante organiche sguarnite. Da tempo a Napoli i sindacati di polizia parlano di mancanza di auto, mancanza di benzina per far circolare le vetture con  i colori della polizia di Stato per il controllo del territorio.

La rabbia della gente sui social per la bomba alla pizzeria #Sorbillo:solidarietà a Gino, liberiamo Napoli dalla camorra

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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