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Politica

É morto a 94 anni Ciriaco De Mita

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E’ morto questa mattina, a 94 anni, l’ex presidente del Consiglio e segretario della Democrazia cristiana, Ciriaco De Mita. Attualmente era sindaco di Nusco, piccolo comune dell’Avellinese. Eletto per la prima volta alla Camera nel 1963, vi rimase per 30 anni di seguito diventando un protagonista della Prima Repubblica. Nel 1982 divenne segretario della Dc e nel 1988, per un anno, fu anche capo del governo.

“Nel 1985, quando si trattava di scegliere il successore di Sandro Pertini, Alessandro Natta mi fece capire che i comunisti avrebbero potuto sostenere una mia candidatura al Quirinale”. Ma “ci vuole uno stile che io, diciamoci la verità, non avevo. A me piace l’analisi, il pensiero, mi piace chiacchierare. Un Presidente della Repubblica non può chiacchierare”. Ciriaco De Mita lo raccontava al ‘Corriere della Sera’ in occasione del suo novantesimo compleanno, evocando inevitabilmente quei ragionamenti, ‘ragionamendi’ per dirla con cadenza irpina, elogiati da alcuni, criticati da altri, e che portarono l’avvocato a Agnelli a definirlo in modo pungente “un intellettuale della Magna Grecia”. L’espressione intellettuale “è stata usata nei riguardi di Moro e paragonare un politico a Moro, dentro e fuori la Democrazia cristiana, è un complimento”, fu la replica dell’allora segretario della Dc, che non esitò a definire Agnelli “un mercante moderno, con poche idee e tanti interessi particolari”. Parole che rivelano quanto De Mita fosse sì uomo di pensiero, ma anche di grinta e di azione. Basta guardare al cursus honorum del figlio del sarto di Nusco, nato nel paese irpino il 2 febbraio del 1928, dove già nel 1943 si iscrive alla Dc. Consigliere nazionale del partito nel 1956, nel ’63 deputato per la prima volta (sempre rieletto fino alla legislatura 2006-2008, ad eccezione del biennio 1994-96), nel 1969 diviene vicesegretario della Dc, quando stringe con Arnaldo Forlani il Patto di San Ginesio, dalla località delle Marche dove si svolge un convegno, che porta alla segreteria dello Scudocrociato l’altro ‘gemello’ appunto di San Ginesio, nel nome del rinnovamento da parte della generazione dei quarantenni.

Più volte ministro, poco più di dieci anni dopo è De Mita a conquistare, il 6 maggio del 1982, la leadership di piazza Del Gesù, dove rimane nonostante la debacle elettorale del 26 giugno dell’anno dopo, quando la Balena bianca perde quasi sei punti percentuali rispetto alle consultazioni precedenti. Sono le elezioni che portano Bettino Craxi alla guida del governo, inizio di un un’epoca che vedrà perennemente a duello i leader socialista e democristiano, con il fallimento del famoso patto della staffetta, che a metà legislatura avrebbe dovuto determinare un avvicendamento tra i due a palazzo Chigi. Nel frattempo, a luglio dl 1985, cambia l’inquilino del Quirinale, dove a Sandro Pertini succede Francesco Cossiga, grazie all’abile mediazione del segretario della Dc, che intorno alla sua candidatura riesce a coagulare i consensi della maggioranza pentapartito e del Pci, garantendogli l’elezione al primo scrutinio con la cifra record di 752 voti. All’indomani delle elezioni del 1987, le porte della presidenza del Consiglio si aprono nuovamente ad un candidato della Dc e dopo la parentesi di Giovanni Goria, il 13 aprile del 1988 nasce il governo a guida De Mita. Bisogna risalire ad Alcide De Gasperi ed Amintore Fanfani per trovare una personalità che sia contemporaneamente leader dell’esecutivo e del partito di maggioranza relativa. Come nel caso degli illustri predecessori il doppio incarico ha però breve durata. La nascita del Caf, il patto tra Bettino Craxi, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, porta il secondo a palazzo Chigi nell’estate del 1989, dopo che il terzo aveva assunto nell’inverno precedente la segreteria della Dc. De Mita diventa presidente del Consiglio nazionale, in virtù di un accordo unitario tra le correnti del partito, ma che vedrà comunque la sua, vale a dire la sinistra di base, su posizioni sempre contrapposte rispetto al Caf. Come nell’estate del 1990, quando i cinque ministri della componente lasciano il governo, pur votando poi la fiducia, durante l’esame della legge Mammì che sancisce l’esistenza del duopolio Rai-Mediaset.

Al tramonto della prima Repubblica, tra il settembre 1992 e il marzo 1993, De MITA guida la commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, e, dopo la breve parentesi del primo biennio berlusconiano, dal 1996 al 2008 torna in Parlamento. Dal 2009 al 2014 viene eletto a quello Europeo. Negli anni successivi non lascia l’agone politico, nè rinuncia ai suoi ragionamenti, fino a duellare con Matteo Renzi durante la campagna elettorale per il referendum costituzionale del 2016. Termina la sua vita e la sua carriera dove l’aveva iniziata: a Nusco, eletto per due volte sindaco, nel 2014 e nel 2019. Del resto, come aveva modo di ripetere spesso, “senza memoria non ci può essere futuro”.

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Studenti bocciati con il 5 e multe a chi aggredisce prof

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Dalla bocciatura con il 5 in condotta al ritorno della valutazione numerica sul comportamento alle scuole medie fino alle multe per aggressioni al personale scolastico. Via libera del Senato al disegno di legge messo a punto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Il provvedimento, che ora deve passare alla Camera, prevede una serie di novità. Il voto in condotta sarà numerico anche alle scuole medie. Il giudizio sintetico sul comportamento rimarrà, dunque, solamente per i bambini della scuola primaria. Per tutti gli altri ci sarà il voto espresso in decimi e farà media con le altre materie. Sia alle medie che alle superiori, se non si raggiunge almeno il 6 in condotta si verrà automaticamente bocciati.

L’insufficienza si può ottenere per mancanze disciplinari gravi e reiterate avvenute nel corso di tutto l’anno scolastico. Per quanto riguarda le scuole superiori, nel caso di voto pari a 6 si avrà un debito formativo e si dovrà sostenere un elaborato di educazione civica. Il vero spartiacque per gli studenti delle superiori, specie in ottica diploma, è però l’8 in condotta. Se non si supera questa soglia si possono perdere fino a 3 punti di credito scolastico, punteggio che va a confluire direttamente nel voto di Maturità. Anche le sospensioni cambieranno.

Non ci sarà più l’allontanamento da scuola e lo studente dovrà partecipare ad attività scolastiche di riflessione e a una verifica finale da sottoporre al consiglio di classe. Il tenore della punizione dipenderà dalla durata della sospensione. Chi avrà più di due giorni dovrà partecipare ad “attività di cittadinanza solidale” in strutture convenzionate. Per il ministro Valditara si tratta di “un importante passo in avanti nella costruzione di una scuola che responsabilizza i ragazzi e restituisce autorevolezza ai docenti”. “A differenza di quanti parlano di misure autoritarie e inutilmente punitive – ha detto il ministro – io rivendico la scelta di dare il giusto peso alla condotta nel percorso scolastico degli studenti”.

Il provvedimento introduce anche multe per i reati commessi ai danni di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. La somma varia dai 500 ai 10.000 mila euro “a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’istituzione scolastica di appartenenza della persona offesa”. “È anche importante – ha sottolineato Valditara – che chi abbia aggredito personale della scuola risarcisca la scuola per il danno di immagine che ha contribuito a creare”.

E sempre il ministro ha annunciato oggi, rispondendo a un question time alla Camera, che è allo studio una normativa che riguarderà le chiusure scolastiche per festività religiose. “La norma che stiamo studiando è molto semplice – ha detto – non consentire la chiusura delle scuole in occasione di festività religiose o nazionali non riconosciute dallo Stato italiano. Ovviamente senza nessuna discriminazione nei confronti dei ragazzi che vogliano invece festeggiare quelle determinate ricorrenze, che saranno giustificati se rimarranno a casa”.

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Time, Meloni tra le 100 persone più influenti al mondo

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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni figura tra le 100 persone più influenti del mondo nel 2024 nella lista pubblicata dalla rivista statunitense ‘Time’. La premier è inserita nella categoria ‘leader’ insieme, tra gli altri, a Donald Tusk, Javier Milei, Li Qiang e Yulia Navalnaya. Nella scheda che parla di lei, si legge che “quando Giorgia Meloni è salita al potere in Italia nel 2022, diventando la prima donna leader del Paese, molti osservatori nutrivano timori per il suo partito di estrema destra e per l’impatto che avrebbe avuto sull’Europa e sul mondo.

Ma a due anni di distanza, Meloni rimane popolare, non solo in Italia, dove gode di un rating del 41% nonostante una debole crescita economica, ma anche tra i leader occidentali, molti dei quali sono stati rallegrati dal suo fermo sostegno all’Ucraina (e, in particolare, dalla sua capacità di persuadere leader come l’ungherese Viktor Orban a sostenere i finanziamenti europei a Kiev)”. “Meloni – si legge ancora sul magazine americano – non ha abbandonato completamente la sua politica di destra. In patria, il suo governo ha perseguito politiche che, secondo i critici, erodono silenziosamente i diritti Lgbtq+. A livello di Unione europea, è stata accreditata come la forza trainante dell’approccio del blocco all’immigrazione, che prevede il pagamento di paesi come Egitto e Tunisia per impedire agli aspiranti migranti di partire. Se il blocco di destra europeo dovesse espandersi dopo le elezioni del Parlamento europeo di giugno, come previsto dai sondaggi, Meloni potrebbe emergere come sua naturale figura di spicco”.

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Dopo l’addio di Amadeus, prime conferme in Rai

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Dopo l’addio di Amadeus e le voci su possibili nuove uscite da Viale Mazzini, arrivano le prime conferme per i volti noti Rai in vista della prossima stagione. Sigfrido Ranucci ha annunciato la prosecuzione di Report, ma anche Federica Sciarelli dovrebbe andare avanti con Chi l’ha visto?. Più incerto il futuro di Fiorello che ha smentito nuovamente il suo passaggio al Nove. Della programmazione in arrivo sulla tv pubblica, in particolare dei palinsesti estivi, si è parlato nella riunione del consiglio di amministrazione che ha approvato il bilancio del 2023, chiusosi in pareggio, che è uno degli ultimi atti dell’attuale vertice in attesa di rinnovo.

A movimentare la giornata del telemercato ci ha pensato come al solito di prima mattina a Viva Rai2 Fiorello che, nella sua rassegna stampa satirica, ha ipotizzato l’acquisto del polo giornalistico di La7 da parte della Warner, spingendo sia l’azienda americana che quella italiana alla smentita. Anche una battuta dello showman sul possibile interesse del Nove per il direttore del TgLa7 Enrico Mentana ha fatto rumore, se non altro perché si inserisce nelle voci di un possibile rafforzamento dell’offerta informativa, dopo quella dell’intrattenimento, da parte del canale di Warner Bros.

Discovery. La rete comunque può già fare affidamento sulla Cnn, che è una divisione del gruppo, e potrebbe, dunque, guardarsi attorno più che altro sul fronte dell’approfondimento. Domani, comunque, è atteso l’annuncio ufficiale del contratto con Amadeus, che condurrà un game show in access e un format musicale in prima serata, e forse si saprà qualcosa in più sulle strategie future dell’emittente.

Non dovrebbe essere comunque quella la destinazione di Fiorello, che oggi, dopo aver ribadito che non ci andrà, neanche in part time, ha fatto sapere che gli piacerebbe “un bel programma radiofonico, ma senza visual radio”. Sarebbe stato corteggiato da La7, almeno in passato, invece, Ranucci che, dopo la notizia della conferma delle repliche estive di Report in cda, ha assicurato con si muoverà. “A me piace la Rai, sono innamorato di quest’azienda”, ha detto il conduttore, ringraziando l’Ad Roberto Sergio che si è speso per la conferma del programma di Rai3 anche per la prossima stagione.

Dovrebbe proseguire anche Chi l’ha visto?: la conduttrice Federica Sciarelli starebbe, infatti, per firmare un biennale per proseguire la collaborazione anche dopo il pensionamento, che è previsto per ottobre 2025 ma potrebbe essere anticipato per via delle ferie arretrate. Una novità per l’estate della terza rete è, invece, il nuovo approfondimento con Monica Maggioni, al debutto il 24 luglio in prime time.

L’addio di Amadeus ha lasciato, comunque, strascichi in Rai. In cda Sergio ha ribadito che si è trattato di una scelta dettata da motivi personali e che la Rai ha fatto tutte le offerte possibili per convincerlo a rimanere. In ogni modo, l’assemblea dei cdr, ricordando la lunga scia di volti che hanno lasciato la tv pubblica e contestando “la volontà di trasformare il servizio pubblico nel megafono dei partiti”, ha proclamato lo stato di agitazione e affidato all’Usigrai un pacchetto di cinque giorni di sciopero.

Domani in consiglio si discuterà del Media Freedom Act, che impone di garantire trasparenza e indipendenza nella scelta dei vertici, e del regolamento sulla par condicio, che ha provocato forti polemiche in Vigilanza. Il clima, insomma, resta teso proprio quando si entra nella fase calda del rinnovo del consiglio.

Le carica di Ad dovrebbe passare a Giampaolo Rossi e quella di presidente, a meno di sorprese dell’ultim’ora, a Simona Agnes, ma c’è ancora qualche incertezza sui nomi degli altri membri del consiglio, se si esclude la conferma per il Movimento 5 Stelle di Alessandro Di Majo. Sabato 20 aprile scade il termine per la presentazione dei curricula dei quattro componenti eletti da Camera e Senato. Lo stesso termine vale per le candidature per il rappresentante dei dipendenti, un ruolo per il quale si ripropone l’attuale consigliere Davide Di Pietro.

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