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Cronache

Due morti in 12 ore nel carcere di San Vittore: indagini sulla possibile presenza di droga tagliata male

Due detenuti morti in 12 ore nel carcere di San Vittore. Indagini sulla possibile assunzione di stupefacenti. Disposte le autopsie per chiarire le cause dei decessi.

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Due detenuti sono morti a distanza di poche ore l’uno dall’altro nel carcere di San Vittore (foto archivio Imagoeconomica) a Milano. Le morti, avvenute in meno di 12 ore, hanno fatto scattare un’immediata indagine interna e della Polizia Penitenziaria, che sta cercando di capire cosa sia accaduto all’interno dell’istituto.

Il primo decesso è avvenuto ieri sera, quando un uomo è morto dopo il ricovero in ospedale. Il secondo, invece, si è verificato questa mattina nella cella di un altro detenuto. Entrambi erano stranieri: un 36enne peruviano e un 48enne marocchino.


L’ipotesi della droga tagliata male

Gli inquirenti stanno valutando l’ipotesi che i decessi possano essere collegati all’assunzione di sostanze stupefacenti.
Secondo una nota del Dipartimento regionale dell’amministrazione penitenziaria, una delle morti “sarebbe riconducibile alla presunta assunzione di oppiacei”, mentre “l’altra è probabilmente dovuta a un’emorragia gastrica”.

I pm Carlo Scalas ed Enrico Pavone, coordinati dal procuratore Marcello Viola, hanno già disposto le autopsie sui corpi dei due detenuti per stabilire le cause del decesso ed eventuali collegamenti tra i casi.


Perquisizioni e controlli in corso nel penitenziario

Nelle ultime ore sono proseguite le ispezioni nei reparti dove si trovavano i due uomini. L’accesso al personale è stato temporaneamente bloccato per permettere le perquisizioni, condotte anche con unità cinofile alla ricerca di sostanze stupefacenti.

Al momento, i controlli hanno dato esito negativo, ma le verifiche continueranno per individuare un’eventuale fonte comune di contaminazione.
Intanto, altri due detenuti che avevano accusato malori nei giorni scorsi sono stati dimessi dall’ospedale e sarebbero fuori pericolo.


“Serve più civiltà nelle carceri”, l’appello del garante dei detenuti

Sono tragedie che colpiscono tutti, in una situazione che già non è bella. Le carceri devono fare un passo verso la civiltà”, ha commentato Luigi Pagano, storico direttore di San Vittore e attuale garante dei detenuti del Comune di Milano, recatosi sul posto appena appresa la notizia.

Di sicuro ci sono due ragazzi morti e si sta cercando di capire se c’è un filo comune — ha aggiunto Pagano —. Episodi come questi possono succedere, ma bisogna attendere gli accertamenti per capire se sono collegati tra loro”.

Le autopsie, che saranno eseguite nei prossimi giorni, dovranno chiarire se le morti siano legate alla presenza di droga tagliata male all’interno del carcere o a cause indipendenti.
Nel frattempo, l’atmosfera all’interno di San Vittore resta tesa, con maggiore sorveglianza e nuovi controlli preventiviper evitare ulteriori tragedie.

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Cronache

Il delfino Mimmo torna nel bacino di San Marco dopo il salvataggio: non vuole lasciare Venezia

Il delfino Mimmo, appena accompagnato fuori dal bacino di San Marco con un sonar speciale, è tornato indietro scegliendo ancora una volta le acque veneziane come suo habitat.

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Ha scelto il bacino di San Marco e da lì non sembra voler andare via. Mimmo, il delfino che da giorni attira turisti e curiosi, è tornato a nuotare nello specchio d’acqua più famoso al mondo poche ore dopo essere stato accompagnato al largo.

L’operazione della Capitaneria

Ieri la Capitaneria di Porto aveva coordinato un intervento per guidare il cetaceo verso acque più profonde, utilizzando un particolare sonar e una scorta di imbarcazioni. Una manovra riuscita: Mimmo aveva seguito il percorso fino all’uscita dal bacino, lasciando sperare in un suo ritorno definitivo al mare aperto.

Il dietrofront inatteso

Il sollievo è però durato poco. Appena la scorta è rientrata alla base, il delfino ha cambiato rotta e ha fatto ritorno nel bacino di San Marco. Un dietrofront che ha sorpreso gli operatori e divertito i turisti, entusiasti di ritrovare Mimmo tra gondole e vaporetti.

La scelta del suo “habitat”

Nonostante gli sforzi per allontanarlo, Mimmo sembra aver deciso che quelle acque sono il suo habitat naturale. Una scelta che continua a regalare un piccolo spettacolo quotidiano nel cuore di Venezia.

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Cronache

Caso “La cattura di San Pietro”: cadono due accuse per Sgarbi, resta il processo per riciclaggio

Cadono autoriciclaggio e contraffazione, ma Sgarbi andrà a processo per riciclaggio nel caso della tela del ’600 “La cattura di San Pietro”. Al centro, il presunto trafugamento e la comparsa in mostra dell’opera modificata.

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Cadono due accuse, resta in piedi la terza. È il primo snodo giudiziario nel caso della pregiata tela del ’600 La cattura di San Pietro, che vede imputato Vittorio Sgarbi. Il gup di Reggio Emilia ha escluso il processo per autoriciclaggio e contraffazione di beni culturali, ma ha disposto il rinvio a giudizio per riciclaggio.

La ricostruzione dell’accusa

Secondo l’impianto accusatorio, il dipinto sarebbe stato trafugato nel 2013 dal castello dell’anziana nobildonna Margherita Buzio. L’opera — attribuita a Rutilio Manetti — sarebbe stata poi modificata: una torcia, inserita da un restauratore che avrebbe ricevuto incarico da Sgarbi, avrebbe alterato l’aspetto originario del quadro.

A far arrivare il fascicolo a Reggio Emilia è stata la confessione del pittore Lino Frongia, che ha ammesso di aver aggiunto la fiammella sul dipinto. L’opera sarebbe ricomparsa nel 2021, in una riproduzione 3D esposta nella mostra I pittori della luce a Lucca, curata dallo stesso Sgarbi.

Le zone d’ombra sulle indagini

Il furto, segnalato anche all’Interpol, era stato denunciato nel 2013 ma il reato è prescritto. Nella denuncia compariva già il nome di Sgarbi e quello del suo collaboratore Paolo Bocedi, che secondo i carabinieri avrebbe consegnato la tela — arrotolata e danneggiata — a un restauratore. La replica in 3D sarebbe servita, secondo gli investigatori, a mascherare gli interventi effettuati sull’originale.

La difesa di Sgarbi

Sgarbi sostiene che i quadri siano due e non lo stesso, spiegando di aver trovato l’opera in suo possesso in un castello abbandonato acquistato nel Viterbese. Secondo la difesa, le misure delle due tele non corrisponderebbero e gli archivi personali del critico lo dimostrerebbero.

Gli avvocati Alfonso Furgiuele e Giampaolo Cicconi osservano: «I due reati archiviati sono quelli su cui abbiamo svolto attività difensiva. Per l’imputazione residua ci riserviamo di presentare una memoria».

Il processo proseguirà dunque solo sul fronte del riciclaggio, con una vicenda giudiziaria che resta intricata e ancora lontana dalla conclusione.

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Mela annurca, addio a Giugliano: la culla dell’“oro rosso” si svuota mentre la produzione vola nell’alto casertano

La mela annurca non è più a Giugliano: aziende delocalizzate nell’alto casertano, produzione in crescita ma prezzi in calo. Tra nuovi giovani agricoltori e difesa dei territori, l’antica patria dell’annurca perde il suo primato.

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Qualcuno la chiamava l’oro rosso della terra. Ma a Giugliano, che per decenni è stata la patria della mela annurca, oggi restano solo scampoli di coltivazioni: piccoli appezzamenti a Varcaturo, la masseria Casolla a Villaricca, poco altro. Il rosso simbolo della Campania si è spostato altrove.

La produzione si sposta nell’alto casertano

«La produzione ormai non si trova più a Giugliano», spiega Valentina Stinga, presidente Coldiretti Napoli. I produttori resistono, ma i melai si sono spostati. Oggi l’annurca si coltiva a Vairano, Francolise, Presenzano, Teano.

Negli anni Ottanta e Novanta la speculazione edilizia divorò le terre agricole giuglianesi. Molti agricoltori vendettero tutto per trasferirsi nell’alto casertano, dove oggi si concentra la filiera.

Un mercato ancora florido nonostante gli spostamenti

«L’area nord di Napoli non è più la culla dell’annurca», conferma Giuseppe Giaccio, presidente del Consorzio campano. Ma il settore resta fortissimo:

  • 3.000 ettari coltivati in Campania,

  • 600 ettari solo tra i consorziati,

  • 130 soci,

  • un indotto da 100 milioni di euro,

  • distribuzione nei mercati di Milano, Torino, Bergamo, Firenze.

Quest’anno l’offerta è aumentata del 20-30% con un prodotto di qualità altissima, ma i prezzi sono in calo per l’eccesso di produzione.

I giovani che tornano alla terra

La forza dell’annurca attrae anche nuove generazioni. Come Gerardo Rusciano, 26 anni, originario di Chiaiano:

  • laurea in Agraria,

  • trenta ettari a Teano,

  • quattro dipendenti fissi, cinque familiari al lavoro,

  • picchi di 15 operai in fase di raccolta.

Durante il Covid ha creato uno dei primi servizi di delivery: dal 2020 oltre 28mila consegne tra Napoli, provincia e Caserta.

Chi resiste a Giugliano

Qualcuno però non ha lasciato la terra d’origine. Castrese Galluccio difende il suo meleto di sette ettari a Varcaturo, affacciato sui Campi Flegrei.

«La vera mela annurca si fa qui», dice, rivendicando le caratteristiche uniche dei terreni flegrei. Negli anni ’30 e ’40 la sua era la mela più commercializzata del Mediterraneo, poi soppiantata da varietà americane e giapponesi.

Oggi, per competere, Galluccio non punta sul frutto fresco ma sui principi attivi: la sua produzione è quasi tutta assorbita dalla multinazionale New Nordic, che usa l’annurca per creare pillole e caramelle utili a ridurre colesterolo, migliorare il microbiota e favorire la ricrescita dei capelli nelle donne in menopausa.

L’annurca come simbolo della salute dei territori

La mela annurca è da sempre un termometro del territorio. Lo ricorda anche il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna:
«Fuori gli inquinatori della nostra terra come fece Gesù con i mercanti nel tempio. Difendiamo i nostri prodotti».

Parole che risuonano come un monito: a Giugliano, antica patria dell’annurca, i mercanti hanno vinto. Oggi quell’oro rosso vive altrove, mentre la sua culla originaria ne conserva solo l’ombra.

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