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Paura a Los Angeles, in 48 ore trovate morte due modelle

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Paura a Los Angeles mentre la polizia si interroga sulla morte di due modelle afroamericane a Downtown LA nell’arco di due giorni: una sicuramente uccisa mentre anche l’altra con ogni probabilità potrebbe essere stata vittima di un crimine violento. Le famiglie parlano di un serial killer a piede libero, anche se non ci sono ancora le prove. E additano le coincidenze temporali e geografiche che porterebbero a trarre questa conclusione. Il 10 settembre i familiari di Nichole ‘Nikki’ Coats ne hanno scoperto il cadavere due giorni dopo che i loro sms non avevano avuto risposta.

La morte di ‘Nikki’ è ancora dichiarato “sospetta” mentre si aspetta il responso del medico legale. Due giorni dopo, in un lussuoso condominio a meno di cinque chilometri di distanza, anche Malisa Mooney è stata trovata uccisa. Anche in questo caso erano stati i messaggi via cellulare, o meglio la loro assenza per una intera settimana, che avevano messo sul chi vive i familiari. “C’è un predatore in circolazione”, ha lanciato l’allarme la zia di ‘Nikki’, May Stevens, che ne aveva scoperto il cadavere, anche se finora solo la morte di Malisa è stata decretata come omicidio. Nell’ultimo messaggio ‘Nikki’ diceva che stava uscendo per un appuntamento galante. “Voglio risposte, voglio sapere perche’ mia figlia è morta. ‘Nikki’ non aveva nemici”, ha detto la madre, Sharon Coats.

La zia, che ne ha scoperto il corpo, ha detto che a malapena ha riconosciuto la nipote: “Aveva una gamba alzata in aria come se stesse calciando qualcosa. Non è così che ti metti a letto e muori. Sono convinta che sia stata uccisa”. Anche Malesa, che aveva 31 anni, faceva la modella, ma sbarcava il lunario come agente immobiliare e solo un mese fa aveva traslocato nella casa dove è stata uccisa. Allertata dai familiari, il 12 settembre la polizia ha fatto irruzione nell’appartamento di Bunker Hill e l’ha trovata senza vita, non è chiaro da quando. La morte delle due giovani donne arrivano sulla scia di un rapporto del municipio di Los Angeles sugli alti tassi di criminalità di cui sono vittima le donne nere, anche se in generale le statistiche sui crimini in città sono in diminuzione. Citando dati della polizia, il rapporto aveva notato che le donne di colore rappresentano solo il 4,3% della popolazione della città, ma sono il 25-33% delle vittime di violenza: “Sono in una posizione di eccezionale precarietà come risultato di decenni di discriminazione, razzismo e sessismo”.

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Cittadini stanchi di pagare il pizzo uccidono 11 uomini della gang di narcos nel campo da calcio

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Nel paese di Texcaltitlan, nel centro del Messico, dei cittadini stanchi di pagare il pizzo al cartello locale hanno ucciso a colpi di machete un gruppo di otto narcotrafficanti nel campo da calcio del municipio. L’esito dello scontro ha lasciato 11 morti, otto dei quali vincolati al cartello Familia Michoacana. Secondo quanto riportato dalla stampa messicana, gli abitanti del paese erano stati convocati nel campo sportivo per pagare la quota settimanale alla criminalità del posto. Dopo esser scesi dai loro pick-up i narcos sono stati attaccati dalla folla con pietre, colpi di machete e pugni. La polizia è arrivata poco dopo sulla scena del massacro e sta ricostruendo l’accaduto attraverso dei video postati sui social.

 

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Guatemala, Arévalo denuncia “un colpo di stato assurdo”

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Il presidente eletto guatemalteco Bernardo Arévalo ha denunciato che le indagini svolte dall’Ufficio del Pubblico ministero della Procura, secondo cui le elezioni generali tenute quest’anno, e da lui vinte, dovrebbero essere annullate, non sono altro che un “colpo di stato assurdo, ridicolo e perverso”.


Nel corso di una conferenza stampa ieri sera Arévalo, che dovrebbe insediarsi nella massima carica dello Stato il 14 gennaio 2024 succedendo a Alejandro Giammattei, ha assicurato che le accuse formulate contro il Tribunale supremo elettorale (Tse) e contro lui stesso, sono infondate, aggiungendo che per quanto lo riguarda, ha prove che dissipano anche il presunto riciclaggio di denaro. Alludendo infine ai settori della magistratura che stanno cercando di bloccare il processo di transizione democratica presidenziale, ha sostenuto che “i golpisti fanno i gesti disperati di chi sta per affogare, e provano a portare a termine un improbabile colpo di stato”.

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Putin si ricandida alla guida della Russia fino al 2030

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La simbologia non poteva essere più potente e significativa. Rispondendo alla domanda di un pluridecorato combattente filorusso del Donbass, padre di un caduto, nella giornata degli Eroi della Madrepatria, Vladimir Putin ha annunciato che il prossimo 17 marzo correrà per un quinto mandato da presidente della Russia, deciso a rimanere almeno fino al 2030 al comando del Paese in quella che vede come una sfida esistenziale con l’Occidente, sicuramente la più grave dalla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Il tutto è avvenuto, all’improvviso, nella sontuosa cornice della sala Georgievsky del Cremlino, dove Putin aveva appena consegnato alcune onorificenze.

Artyom Zhoga, già a capo di una milizia della Repubblica di Donetsk, che nel 2022 ha perso un figlio nella guerra e quest’anno è diventato capo del Parlamento della regione annessa alla Russia in seguito alle elezioni dello scorso settembre, si è rivolto al presidente sotto gli occhi delle telecamere. “Grazie alle sue azioni abbiamo ottenuto la libertà e il diritto di scegliere, ma c’è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo procedere con l’integrazione, e vorremmo farlo sotto la sua guida”, ha affermato Zhoga. Per poi concludere: “Abbiamo bisogno di lei, la Russia ha bisogno di lei”.

Al che Putin ha ringraziato e ha risposto: “Ho avuto diversi pensieri su questo argomento, ma oggi capisco che non c’è altra scelta. Ecco perché mi candiderò a presidente della Russia”. Una candidatura che equivale alla certezza della rielezione, non solo per la repressione del dissenso, accentuatasi dall’inizio dell’intervento militare in Ucraina, ma pure per il vasto sostegno di cui, anche secondo sondaggi indipendenti, il comandante in capo continua a godere oltre 21 mesi dopo l’inizio del conflitto. La narrazione che vuole la Russia impegnata in una guerra per la sopravvivenza contro un Occidente intento a smembrarla funziona. E’ vero che da una recente ricerca effettuata dal Centro statistico Levada emerge che oltre il 50% dei russi vorrebbe una soluzione negoziata al conflitto, ma senza concessioni umilianti.

Molti osservatori si aspettano inoltre che a sfidare Putin saranno ammessi, pro forma, soltanto candidati di movimenti politici considerati di sistema, come il Partito liberaldemocratico e quello comunista. Ma il team di Alexei Navalny, il più noto oppositore, in carcere da quasi tre anni, non si è dato per vinto e ha indetto una campagna denominata ‘Una Russia senza Putin’ in cui si invita ogni cittadino a votare per i candidati avversari del presidente e a convincere almeno altre dieci persone a fare altrettanto. Sebbene la data ufficiale delle presidenziali sia il 17 marzo, la responsabile della Commissione elettorale centrale Ella Pamfilova ha detto che le votazioni cominceranno in realtà fin da venerdì 15 e dureranno tre giorni. Un’usanza introdotta con la pandemia da Covid e diventata ormai comune, ma che secondo gli oppositori del Cremlino rende più difficili i controlli su eventuali brogli.

Se tutto sembra ormai deciso, qualche dubbio resta sulle modalità dell’annuncio odierno. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha assicurato che il tutto si è svolto in modo spontaneo e non programmato. Ma anche il sito dell’opposizione Meduza afferma di aver saputo da proprie fonti che Putin avrebbe dovuto comunicare la notizia in occasione della conferenza di fine anno e della linea diretta con i cittadini in programma il 14 dicembre. Secondo il sito, dunque, il presidente sarebbe stato colto alla sprovvista e avrebbe risposto senza pensarci troppo, cosa che sarebbe confermata dalla voce sommessa che gli è uscita. La cosa che conta, comunque, è che Putin diventerà con solo un anno di svantaggio rispetto a Stalin il secondo leader più longevo della Russia moderna: 30 anni, contro i 31 del predecessore sovietico, e ben di più dei 18 anni di Leonid Brezhnev.

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