È di sette arresti, uno in carcere, e 60 perquisizioni in tutta Italia, il bilancio dell’operazione della Polizia Giudiziaria della Polizia di Frontiera aerea di Fiumicino: i sette sono indagati a vario titolo per importazione di ingenti quantitativi e di cessione di GBL, ovvero gammaburilattone cioè la droga dello stupro, e di mefedrone e cocaina. Per dare l’idea della vastità dell’indagine occorre dire che gli investigatori della polizia di frontiera sono stati coordinati dal Servizio Centrale Operativo e dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, con il coinvolgimento degli agenti di 45 province, che ha portato complessivamente all’arresto, in diversi periodi, di 87 persone e al sequestro di 200 chili di gbl, pari a circa 380.000 dosi singole, nonché all’oscuramento, adottato grazie alla collaborazione del Servizio della Polizia delle Comunicazioni, di cinque siti internet utilizzati come canale di approvvigionamento della droga.L’inchiesta ha permesso di alzare un velo su un fenomeno molto pericolo e molto più diffuso di quanto si possa immaginare.
La diffusione del fenomeno infatti appare anche più grave rispetto al consumo delle droghe abituali sia perchè non ci sono strutture in grado di fornire dati specifici sul problema e di programmi di disintossicazione, sia perchè le vittime difficilmente si avvicinano a strutture sanitarie. Il GBL è stato in particolare utilizzato per soggiogare la volontà degli ignari assuntori che ne hanno fatto uso e creare in loro uno stato di semi coscienza e amnesia al fine di abusarne sessualmente o perpetrare violenze e raggiri ma anche per finalità voluttuarie ed è di rapida diffusione negli ambienti socio ricreativi e ludici. A favorirne la diffusione sicuramente il differente binario sanzionatorio, in particolare la mancata inclusione della sostanza nella legislazione di diversi Paesi europei fra le tabelle di stupefacente la cui cessione è vietata. È stata infatti accertata la rapida circolazione del GBL, in particolare attraverso siti internet, la vendita a cifre molto basse la crescente minaccia alla salute dei consumatori, il forte rischio di dipendenza.
La produzione ed il commercio delle nuove sostanze stupefacenti, come accertato nella fase delle indagini, è stato agevolato dall’utilizzo di tecnologie: è infatti oggi possibile “disegnare” la propria droga personale, ordinarla via email e riceverla a casa; l’invenzione di “stampatori” chimici a 3 dimensioni (3D chemical printer) permette agli individui di produrre in casa la propria personale la sostanza. Dopo gli interventi di repressione sul web in chiaro, gran parte del commercio si è spostato sul dark web e le transazioni sono sovente avvenute mediante l’utilizzo di bitcoin e altre criptovalute.
E’ stato inoltre accertato che alcune società on line, con sedi fisiche dislocatre in Olanda hanno venduto prodotti solo in apparenza riconducibili alla detersione ed alle pulizie, che di fatto contenevano gammabutirrolattone puro (Gbl). La sostanza stupefacente è stata cosi trasportata, a mezzo aereo, in diverse città italiane ed estere.
Quello che è venuto fuori è uno scenario allarmante sulla diffusione della sostanza, – spiegano gli investigatori -perlopiù approvvigionata mediante i citati siti internet olandesi, dove la sostanza può essere legittimamente commercializzata, così favorendo una nuova forma di imprenditorialità criminale ‘fai da te’ anche nell’ambito del traffico di droga; proprio la commercializzazione illegale delle droghe sulle reti informatiche risulta una modalità di diffusione insidiosa e difficile da contrastare, in quanto consente l’accesso al mercato clandestino di un numero potenzialmente indefinito di clienti ed offre la possibilità ai consumatori, soprattutto quelli più giovani, di acquistare la sostanza direttamente da casa, senza dover entrare in contatto con lo spacciatore, ricevendola a domicilio in confezioni, spedite per posta con la garanzia di riservatezza del contenuto. Un fenomeno vastissimo per cui, nonostante il prezzo al dettaglio sia molto contenuto, il volume d’affari è però risultato enorme.
Queste sono le ultime immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza della Stazione Centrale di Milano in possesso della Procura della Repubblica di Lecco diffuse dai Carabinieri che ritraggono Edoardo Galli mentre cammina sul binario dove è giunto il treno proveniente da Morbegno e mentre transita in uscita dai tornelli di sicurezza lo scorso 21 marzo.
Dopo questi istanti – spiega la nota della Procura- non ci sono, al momento, ulteriori riprese che lo ritraggono dialogare o in compagnia di altre persone ovvero nei pressi di esercizi commerciali.
Le donne ‘camici bianchi’ della Sanità italiana ancora oggi sono spesso davanti ad un bivio, quello di dover scegliere tra famiglia e carriera. Accade soprattutto al Sud e la ragione sta essenzialmente nella mancanza di servizi a sostegno delle donne lavoratrici. A partire dalla disponibilità di asili aziendali: se ne contano solo 12 nel Meridione contro i 208 del Nord. E’ la realtà che emerge da un’indagine elaborata dal Gruppo Donne del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao-Assomed, coordinato dalla dottoressa Marlene Giugliano. “Al Sud le donne che lavorano nel Servizio sanitario nazionale devono scegliere tra famiglia e carriera e per le famiglie dei camici bianchi non c’è quasi nessun aiuto. Una situazione inaccettabile alla quale occorre porre rimedio”, denuncia il segretario regionale dell’Anaao-Assomed Campania Bruno Zuccarelli.
Nelle strutture sanitarie italiane, afferma, “abbiamo 220 asili aziendali, di cui 208 sono al Nord (23 solo in Lombardia). In Campania gli asili nido su 16 aziende ospedaliere sono solo 2: Cardarelli e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Moscati di Avellino aveva un asilo nido che è stato chiuso con la pandemia e ad oggi il baby parking dell’Azienda Ospedaliera dei Colli è chiuso. Una condizione vergognosa e desolante”. Ma i dati raccolti dal sindacato dicono anche altro: se si guarda al personale del servizio sanitario nazionale, il 68% è costituito da donne, quasi 7 operatori su 10, con un forte sbilanciamento verso il Nord dove le donne sono il 76%, mentre al Sud solo il 50%. Un divario tra Nord e Sud, quello della sanità, che “si lega alle condizioni di difficoltà che le donne devono affrontare – aggiunge Giugliano – del resto in Campania il costo medio della retta mensile di un asilo è di 300 euro, con cifre che in alcuni casi arrivano anche a 600 euro.
E nella nostra regione c’è un posto in asili nido solo ogni 10 bambini”. Per questo le donne campane dell’Anaao chiedono di essere ascoltate dalle Istituzioni regionali, così come dalle Aziende ospedaliere e Sanitarie. Tre i punti chiave sui quali intervenire, sottolineano: “creazione di asili nido aziendali che rappresentano una forma di attenzione per le esigenze dei propri dipendenti e consentono una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro; sostituzione dei dirigenti in astensione obbligatoria per maternità o paternità e applicazione delle norme già esistenti, come flessibilità oraria; nomina, costituzione e funzionamento dei Comitati unici di garanzia”. Sono organismi che “prevedono compiti propositivi, consultivi e di verifica in materia di pari opportunità e di benessere organizzativo per contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, agevolando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni e favorendo l’affezione al lavoro, garantendo un ambiente lavorativo nel quale sia contrastata qualsiasi forma di discriminazione”, spiega Giugliano. In regioni come la Campania, “questi organismi hanno solo un ruolo formale, cosa – conclude l’esponente sindacale – che non siamo più disposte ad accettare”.
È costituzionalmente illegittima la previsione dell’automatica rimozione dall’ordinamento giudiziario dei magistrati finiti in vicende penali culminate con la condanna, a loro carico, a una pena detentiva non sospesa. Lo ha deciso la Consulta – esaminando il caso di un giudice coinvolto in aspetti ‘secondari’ del cosiddetto ‘sistema Saguto’ – che ha accolto una questione sollevata dalle Sezioni Unite della Cassazione alle quali si è rivolto l’ex giudice Fabio Licata.
L’ex magistrato è stato condannato in via definitiva alla pena non sospesa pari a due anni e quattro mesi per falso materiale per aver apposto la firma falsa della presidente del collegio, Silvana Saguto, con il consenso di quest’ultima, ed è stato rimosso dalla magistratura. Per effetto della decisione della Consulta, il Csm “potrà ora determinare discrezionalmente la sanzione da applicare” a Licata, compresa ancora l’opzione della rimozione, “laddove ritenga che il delitto per cui è stata pronunciata condanna sia effettivamente indicativo della radicale inidoneità del magistrato incolpato a continuare a svolgere le funzioni medesime”. Saguto, anche lei radiata dalla magistratura, e ora reclusa a Rebibbia, è stata condannata in via definitiva a 7 anni e dieci mesi di reclusione per aver gestito in modo clientelare le nomine degli amministratori giudiziari dei beni confiscati alla mafia, ottenendo in cambio anche denaro.
La Corte costituzionale – con la sentenza n. 51 depositata – ha ricordato che, secondo la propria costante giurisprudenza, la condanna penale di un funzionario pubblico o di un professionista non può, da sola, determinare la sua automatica espulsione dal servizio o dall’albo professionale. Sanzioni disciplinari fisse, come la rimozione, sono anzi indiziate di illegittimità costituzionale; e in ogni caso deve essere salvaguardata la centralità della valutazione dell’organo disciplinare nell’irrogazione della sanzione che gli compete. La norma dichiarata incostituzionale, invece, ricollegava la sola sanzione della rimozione alla condanna per qualsiasi reato, purché la pena inflitta dal giudice penale superasse una certa soglia quantitativa, finendo così per spogliare il Csm di ogni margine di apprezzamento sulla sanzione da applicare nel caso concreto.
Nel caso che ha dato luogo al giudizio, il giudice penale – rileva la Consulta – aveva irrogato una severa pena detentiva non sospesa, senza poter considerare gli effetti che tale pena avrebbe necessariamente prodotto nel successivo giudizio disciplinare. In conseguenza poi dell’automatismo creato dalla norma, neppure nel giudizio disciplinare era stato possibile vagliare “la proporzionalità di una tale sanzione rispetto al reato da questi commesso, dal peculiare angolo visuale della eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni”. E ciò pur “a fronte dell’entità delle ripercussioni che l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziario è suscettibile di produrre sui diritti fondamentali, e sull’esistenza stessa, della persona interessata”.