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Economia

Donnet: Natixis e Generali diventano leader europeo

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Generali e Natixis (gruppo Bpce) hanno sottoscritto un memorandum of understanding non vincolante per far nascere un colosso europeo dell’asset management con masse gestite per 1,9 miliardi e ricavi per 4,1 miliardi. Lo si legge in una nota in cui viene indicato che l’alleanza sarà paritetica con un accordo valido 15 anni.

L’intesa prevede la creazione di una società, una joint venture, “controllata in modo condiviso dalle due istituzioni finanziarie – ciascuna con una quota del 50% – e opererebbe sotto una struttura di governance congiunta, secondo equilibrati criteri di rappresentanza e controllo”. Il closing, sottoposto a tutte le necessarie autorizzazioni, è previsto per l’inizio del 2026. Generali e Bpce “manterrebbero il pieno controllo sulle decisioni di asset allocation dei rispettivi asset” e per questo “la Joint Venture beneficerebbe di un ampio e significativo contributo di capitale assicurativo a lungo termine” e “al contempo offrirebbe a BPCE e a Generali interessanti opportunità di investimento del proprio capitale e avvio di nuove strategie”.

“In linea con il suo approccio di investimento, Generali si impegnerebbe ad allocare 15 miliardi di euro di capitale di avviamento e di accelerazione alle società affiliate parte della piattaforma congiunta nei prossimi cinque anni, migliorando la capacità di sviluppare nuove strategie di investimento e contribuendo all’ulteriore espansione delle competenze e dell’offerta di prodotti”. La società controllante, a capo delle attività combinate, “verrebbe costituita ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, mentre Francia, Italia e Stati Uniti rimarrebbero gli hub operativi della nuova società, continuando a gestire direttamente le attività di business”.

Il Consiglio di Amministrazione della nuova entità – nel quale il Ceo di Bpce Nicolas Namias, sarebbe Presidente, il Ceo di Generali Philippe Donnet, vicepresidente, Woody Bradford, attuale Ceo di Gih, Ceo della società e Philippe Setbon, Vice Ceo – sarebbe composto da un egual numero di rappresentanti di BPCE e Generali, integrati da tre consiglieri indipendenti individuati congiuntamente da Bpce e Generali. La Joint Venture deriverebbe dal conferimento di asset e attività per un valore complessivo di circa 9,5 miliardi di euro. “L’attività risultante dalla combinazione – spiega la nota – gestirebbe Asset Under Management (il valore di mercato dei fondi gestiti per conto di clienti o investitori ndr) di 1.900 miliardi di euro “con una equilibrata e diversificata distribuzione”.

Sarebbe quindi il “primo operatore al mondo per Aum nella gestione di asset per la clientela assicurativa”. In dettaglio ci sarà “una presenza globale focalizzata in alcune aree geografiche: Europa (61% degli Aum) – inclusa una forte presenza in Francia e Italia – Nord America (34% degli Aum) e la presenza in Asia e in altri paesi (5% degli Aum); una gamma completa di strategie in tutte le asset class: reddito fisso (circa 65% degli Aum), azionario (circa 21% degli Aum), insieme a selezionati mercati privati e altri franchise (circa 14% degli Aum)” Nella nota si spiega che l’operazione fornisce un “positivo contributo finanziario per gli azionisti” grazie a “sinergie e opportunità di crescita e, sin dal primo anno, contribuisce positivamente agli utili di BPCE ed al risultato netto normalizzato e alla cassa di Generali”.

A seguito del closing dell’operazione, l’impatto sul CET 1 ratio di Groupe BPCE risulterebbe neutrale e l’impatto sul Solvency II Ratio di Generali sarebbe sostanzialmente neutrale. GIH verrebbe deconsolidata dal perimetro contabile di Generali. In futuro, le quota di proprietà di BPCE e Generali nella Joint Venture verrebbero contabilizzate utilizzando il metodo del patrimonio netto, che risulta dal controllo congiunto. Bpce – è scritto ancora nella nota – beneficerebbe di dividendi preferenziali nel 2026 e 2027, mentre Generali potrebbe beneficiare, nello stesso periodo, delle tranche di rimborso di un prestito legato al finanziamento dell’acquisizione di MGG recentemente annunciata.

Generali e Bpce nel comunicato sottolineano che l’accordo rappresenta “un’opportunità unica per offrire vantaggi reali a tutti gli stakeholder, inclusi investitori, clienti retail e istituzionali, boutique affiliate e dipendenti con una chiara attenzione a crescita, innovazione, sostenibilità e performance”. Infine è previsto che “i rispettivi organi di rappresentanza dei dipendenti saranno consultati prima della firma definitiva dei documenti dell’operazione”.

“La creazione di una Joint Venture con Bpce rappresenterebbe un’opportunità unica per dare vita all’asset manager leader in Europa e tra i primi dieci a livello globale”. Lo afferma l’amministratore delegato di Generali Philippe Donnet (nella foto Imagoeconomica in evidenza) sottolineando che nasce “una società con forti radici in Italia, Francia e Stati Uniti, in grado di rispondere alle esigenze in continua evoluzione dei clienti, guidata da Woody Bradford, Philippe Setbon, Nicolas Namias e me”.

“Il nostro paese d’origine, l’Italia, e tutti gli altri mercati in cui serviamo i nostri clienti – prosegue l’amministratore delegato di Generali Philippe Donnet – trarrebbero vantaggio da una piattaforma di asset management ancora più solida e con rafforzate competenze di investimento, in grado di apportare reali benefici all’economia”.

“Questa partnership con Bpce – spiega – con cui condividiamo una cultura e un approccio operativo analoghi, garantisce le condizioni ideali per un’integrazione agevole e di successo delle nostre attività combinate”. Secondo Donnet l’operazione rappresenta una “tappa fondamentale da quando, sette anni fa, abbiamo lanciato il business dell’asset management di Generali e conferma gli importanti risultati raggiunti nel corso degli ultimi cicli strategici”. “Sono immensamente orgoglioso del grande lavoro svolto dai nostri dipendenti e dalle società affiliate in questi anni”, conclude Donnet.

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Bolletta della luce 80% più cara per oltre 1 milione utenti

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In un anno oltre 1,2 milioni di famiglie non vulnerabili sono passate al mercato libero dell’energia elettrica, pagando per la luce tariffe mediamente più alte dell’80% rispetto a quelle applicate nel Servizio a Tutele Graduali e del 44% rispetto a quelle del mercato tutelato, rimasto attivo per i clienti vulnerabili. Lo denuncia Assium l’associazione degli utility manager, che ha analizzato gli ultimi dati di Arera. A gennaio 2024 più di 4,4 milioni di famiglie non vulnerabili rientravano nel mercato tutelato dell’energia elettrica che, come noto, è terminato a luglio del 2024 – spiega Assium – Chi non ha scelto un operatore del mercato libero, a partire da luglio è migrato automaticamente nel Servizio a Tutele Graduali, che oggi conta poco più di 3,2 milioni di utenti non vulnerabili. Questo significa che in un anno ben 1.230.974 famiglie hanno abbondonato i regimi gestiti da Arera per migrare al mercato libero dell’energia: di questi quasi 570mila hanno lasciato le Tutele Graduali tra luglio 2024 e gennaio 2025, optando per un operatore del mercato libero. Scelta che, denuncia Assium non è risultata economicamente conveniente, ma al contrario ha portato ad un sensibile aumento dei costi in Bolletta pari in media all’80% .Tradotto in termini di spesa, la Bolletta annua della luce sul mercato libero è risultata più pesante di 432 euro annui rispetto alle tutele graduali per i contratti a prezzo varabile, +405 euro per il prezzo fisso.

L’ultimo monitoraggio realizzato da Arera attesta infatti come a fine 2024 i clienti del Servizio a Tutele Graduali hanno pagato l’elettricità 0,20 euro al kWh, pari ad una Bolletta media da 540 euro annui (con consumi pari a 2.700 kWh annui), quelli del mercato tutelato 0,25 euro al kWh (con una Bolletta da 675 euro), mentre la tariffa media pagata per le offerte effettivamente scelte dai consumatori sul mercato libero si è attestata a 0,35 euro al kWh per i contratti a prezzo fisso, 0,36 euro al kWh per quelli a prezzo variabile, con una Bolletta media annua pari rispettivamente a 945 e 972 euro. Questo significa che chi è passato al mercato libero ha pagato per la luce tariffe in media più alte dell’80% rispetto al Servizio a Tutele Graduali se ha scelto un contratto a prezzo variabile (e del 44% in più rispetto al mercato tutelato) e del 75% se ha optato per il prezzo fisso (+40% su mercato tutelato). La Bolletta annua della luce sul mercato libero è così più cara di 432 euro annui rispetto alle tutele graduali per i contratti a prezzo varabile, e di 405 euro per il prezzo fisso.

“Quando decidono di cambiare gestore, gli utenti dell’energia continuano a compiere scelte economicamente non convenienti che pesano come un macigno sulle bollette annue della luce – afferma il presidente di Assium, Federico Bevilacqua – Questo avviene per due ragioni: prima di tutto il telemarketing selvaggio che, spesso ricorrendo a pratiche scorrette, spinge una consistente fetta di consumatori a optare per offerte non vantaggiose. In secondo luogo la scarsa conoscenza degli utenti circa le offerte degli operatori energetici, le condizioni praticate e la composizione dei costi in Bolletta, tutti elementi che generano confusione e portano a scelte errate. Per tale motivo quando si decide di cambiare fornitore è di fondamentale importanza rivolgersi a personale qualificato come gli utility manager, in grado di guidare famiglie e imprese nella scelta delle offerte più adatte in base ai profili dei singoli clienti”.

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Gli Stati baltici si staccano dalla rete elettrica russa

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Gli Stati baltici hanno iniziato questa mattina alle 5:00 a disconnettersi dalla rete energetica controllata da Mosca, ha dichiarato all’agenzia di stampa Afp l’operatore di rete statale lituano Litgrid. “Posso confermare che il processo di disconnessione è iniziato alle 06:00 (ora locale, ndr)”, ha detto il portavoce di Litgrid, Matas Noreika, dopo che la Lituania ha interrotto il suo collegamento elettrico con la Bielorussia e la Russia.

La Lituania è stata la prima dei tre Paesi baltici a staccarsi dalla rete elettrica controllata da Mosca: l’Estonia e la Lettonia dovrebbero seguire l’esempio a breve. Dopo la disconnessione dalla rete russa, i Paesi opereranno nella cosiddetta “modalità isolata” per circa 24 ore per testare la frequenza, o i livelli di potenza, prima di integrarsi con la rete europea domani.

I Paesi baltici – ex repubbliche sovietiche che hanno aderito alla Nato e all’Unione Europea nel 2004 – si sono preparati da tempo a integrarsi con la rete europea, ma hanno dovuto affrontare problemi tecnologici e finanziari. Il passaggio è diventato più urgente dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina nel 2022, spaventando gli Stati baltici che pensavano di poter essere presi di mira. Il ministro dell’Energia lituano, Zygimantas Vaiciunas, ha spiegato che la decisione di abbandonare la rete russa è stata presa per evitare che Mosca possa utilizzarla “come strumento di ricatto geopolitico”.

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Si riaccende il risiko tlc, Iliad e Poste guardano a Tim

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Tim vola in Borsa in attesa dei conti, del nuovo piano e dei rumors di consolidamento per le tlc in Italia. Il cda approverà il mercoledì 12 febbraio il bilancio 2024 mentre la strategia di Pietro Labriola (nella foto in evidenza di Imagoeconomica) per il triennio sarà presentata al mercato il 13 e gli analisti si aspettano che gli obiettivi vengano centrati. In Borsa riconquista quota 0,3 euro con un balzo del 6,28% che fa leva anche sulle voci di una trattativa del private equity Cvc con Vivendi per l’acquisto della quota del 24% che i francesi hanno inserito tra le partecipazioni disponibili alla vendita. A Parigi il titolo dell’azionista transalpino sale del 4,5% a 2,83 euro ma nessuno dei protagonisti commenta.

“Il consolidamento non può essere rimandato – commentano gli analisti di Mediobanca – la nuova Commissione europea è destinata ad adottare una posizione più proattiva, sostenendo l’agenda di Draghi, aumentando gli impegni per l’innovazione e facilitando le autorizzazioni alle fusioni. Riteniamo che l’accresciuta rilevanza dell’Ia sia un campanello d’allarme per i responsabili politici dell’Ue, che riflette la necessità di attuare un consolidamento del settore al fine di creare conglomerati in grado di competere su scala globale. In Italia, dopo Fastweb-Vodafone, verranno esplorate altre combinazioni”. Di questo consolidamento Iliad vorrebbe essere protagonista, portando in dote la sua rete mobile ma anche Poste si starebbe riaffacciando alla finestra.

Il Foglio rilancia l’ipotesi di un interesse della società guidata da Matteo Del Fante, già presente da alcuni anni nel settore con Poste Mobile. ‘Per adesso si tratta solo di un’ipotesi allo studio, ma che potrebbe incontrare anche la non contrarietà del governo che considera il settore telefonico come strategico’, scrive il giornale e ‘si potrebbe presentare come un’alternativa alla trattativa con Iliad anche se la compatibilità di un’aggregazione è tutta ancora da studiare nei numeri’. I francesi invece, nonostante il corteggiamento di Vodafone sia fallito, non hanno smesso di studiare altre opzioni e tra queste anche Tim.

Il ritorno e l’intensificarsi dei rumors degli ultimi giorni potrebbero far pensare che il Gruppo, che ha anche dato a Lazard e Mediobanca l’incarico di advisor, sia pronto a passare all’azione anche se ad oggi, secondo quanto si apprende, un’operazione non è ancora stata strutturata. Benedetto Levi e Thomas Reynaud avrebbero presentato la settimana scorsa al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e al capo di Gabinetto di Palazzo Chigi Caputi (quello che avrebbe subito accessi riservati dei Servizi finiti poi sui media)  una visione sul mercato delle tlc e sulla necessità di un consolidamento insieme alle rassicurazioni sui livelli occupazionali e al no a uno spezzatino. Si parte da qui, ma sulla strada da seguire per arrivare al consolidamento non ci sono ancora ipotesi se non escludere che Iliad possa lanciare un’opa su Tim. Tornando invece ai numeri di Tim, il consensus pubblicato sul sito del Gruppo vede gli analisti attendersi per il 2024 ricavi in crescita del 2,9% a 14,46 miliardi, un’ebitda in aumento dell’8,4% a 4,34 miliardi e un debito in calo a 7,35 miliardi di euro. Per il quarto trimestre in particolare gli analisti si attendono ricavi per 3,73 miliardi (+1,3%) e ricavi da servizi per 3,51 miliardi (+2,8%), con il business Domestic visto in crescita dello 0,9% a 2.481 milioni di euro e Tim Brasil a 1.032 milioni di euro, in aumento del 6,8%.

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