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Don Diana: la sorella, solo Mattarella può capire nostro dolore

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“Guarderò negli occhi il presidente Mattarella e ci sentiremo vicini nel dolore, perché solo chi come lui ha perso un fratello per mano della criminalità, può capire ciò che noi proviamo dal 19 marzo 1994”. Marisa Diana, sorella di don Peppe Diana, il sacerdote ucciso dal clan dei Casalesi perché esortava a ribellarsi alla camorra, prova orgoglio e forte emozione quando parla della visita a Casal di Principe del Capo dello Stato, prevista per martedì 21 marzo, primo giorno di primavera in cui si commemorano le vittime innocenti della criminalità organizzata, e due giorni dopo il 19 marzo, in cui cade il 29esimo anniversario dell’omicidio don Diana. Una “dimensione pubblica” quella della visita di Mattarella, “perché è il riconoscimento al miglioramento fatto da Casal di Principe dal 19 marzo di 29 anni fa, un cambiamento avvenuto soprattutto dopo il sacrificio di mio fratello, attorno al quale è sorta una rete di valori e associazioni che ne hanno perpetuato la memoria e il messaggio di non girarsi mai dall’altra parte di fronte alla prepotenza e all’arroganza della criminalità. Fin quando Dio mi darà la forza, continuerò ad alimentare la memoria di Peppe”. Ma c’è anche una dimensione intimamente privata della visita, quella di due drammatiche esperienze umane che si incontrano. “Mattarella visiterà la tomba di Peppe – dice Marisa – ed è lì che lo incontreremo con mio fratello Emilio, i nostri familiari e Augusto Di Meo (testimone del delitto, ndr). C’è fermento, è davvero importante che un presidente della Repubblica decida di venire alla tomba di Peppe; e sono convinta che mi commuoverò quando guarderò negli occhi Mattarella, e troverò in lui quello stesso dolore che non ha mai lasciato la nostra famiglia. Ma sono convinta che ritroverò nei suoi occhi anche quella fierezza di aver intrapreso con decisione, senza tentennamenti, un cammino di legalità nel rispetto della memoria dei nostri cari che si sono sacrificati per il bene collettivo”.

Marisa è docente come il fratello Emilio, entrambi in luoghi di frontiera, dove il degrado socio-economico si accompagna a quello ambientale, tutte eredità “malate” del periodo in cui il clan dei Casalesi comandava sul territorio; se Emilio insegna a Castel Volturno, Marisa è all’istituto comprensivo De Mare di San Cipriano d’Aversa, e proprio in questi giorni sta parlando di legalità con i suoi giovani studenti, dalla seconda elementare a salire. “I miei alunni – racconta – sono rimasti basiti quando ho detto loro della visita del Capo dello Stato a Casal di Principe, e in particolare sulla tomba di mio fratello Peppe. E’ stata l’occasione per parlare loro di Peppe, del coraggio che aveva nell’incitare i concittadini a ribellarsi, del perché la camorra ha voluto ucciderlo, delle associazioni che ne alimentano quotidianamente la memoria, come Libera e il Comitato don Diana”. E se Emilio al capo dello Stato vorrebbe chiedere di fare qualcosa per Castel Volturno, Marisa chiederà a Mattarella, “se ne avrò l’opportunità di spendersi per far riconoscere come testimone di giustizia Augusto Di Meo (testimone oculare del delitto don Diana mai riconosciuto dallo Stato), che tanto ha fatto per mio fratello pagando anche un prezzo personale”. “Vorrei inoltre dirgli – spiega – di aiutare i giovani del nostro territorio che sono senza lavoro, e per questo motivo imboccano strade sbagliate; il lavoro rende autonomi, e soprattutto evita scelte sbagliate”. L’ultimo pensiero di Marisa è per i genitori Gennaro e Iolanda, entrambi venuti a mancare (mamma Iolanda è morta di recente, nel gennaio 2020). “Sarebbero orgogliosi di vedere il cammino fatto, e ciò che Peppe ha creato. Da lassù so che ci guardano e sono fieri di noi”.

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Castello di Cisterna e Brusciano, blitz dei Carabinieri nelle piazze di spaccio: nascondigli – anche sacrileghi – della droga

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Ritrovamenti nelle cassette della posta, nei sotto scala o all’interno dei vani ascensori ma anche negli “altarini” accanto a statue sacre a spregio non solo della vita altrui per chi vende morte ma anche del credo o della religione.

I Carabinieri della compagnia di Castello di Cisterna sono impegnati quotidianamente nei controlli anti-droga nella zona a Nord di Napoli e spesso perquisiscono luoghi e zone che possono essere verosimilmente utilizzati come nascondigli.
Gli ultimi obiettivi – in ordine cronologico – sono le aree popolari di Brusciano e di Castello.
Passate a setaccio strade e piazze senza trascurare le aree comuni come le aiuole o le cantine passando per le lastre di marmo che coprono le scale condominiali fungendo da vero e proprio cassetto.
I Carabinieri della locale compagnia insieme ai militari del reggimento Campania sono tornati nel rione popolare la “Cisternina” e lì hanno rinvenuto e sequestrato numerose dosi di diverse specialità di droga, un caricatore Beretta 9×21 e bilancini di precisione.
Anche a Brusciano – nella “219” – sequestri di droga con numerose dosi già pronte per la vendita al dettaglio.
I Carabinieri hanno rovistato dappertutto e la droga era nelle zone comuni e quindi a carico di ignoti ma i controlli continueranno anche nei prossimi giorni.

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Incinta scomparsa, si cerca nelle campagne nel Milanese

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Un messaggio mandato a un’amica, verso le 21 di sabato sera, è l’ultima traccia su cui stanno lavorando la Procura di Milano e i carabinieri che indagano senza sosta, anche con ricerche incessanti nelle campagne attorno a Senago, sulla scomparsa della 29enne Giulia Tramontano, incinta di 7 mesi, di cui ufficialmente non si hanno più notizie da domenica scorsa, quando il fidanzato ha denunciato la sua sparizione. In quel whatsapp la giovane, originaria della provincia di Napoli, con un lavoro nel settore immobiliare, in particolare nella gestione di appartamenti di alto livello, e che da cinque anni vive nella cittadina a nord di Milano, diceva all’amica di sentirsi molto scossa e turbata dopo una lite col compagno, con cui convive. Fidanzato con cui i rapporti, pare, si fossero improvvisamente incrinati proprio in quelle ore per il sospetto di un’altra donna nella vita di lui. Nell’inchiesta, che è stata aperta dalla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e dalla pm Alessia Menegazzo, condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e della Compagnia di Rho, si stanno vagliando tutte le ipotesi, a partire da alcune incongruenze nelle versioni agli atti.

Si indaga a ritmi serrati, con l’acquisizione delle telecamere attorno alla casa della coppia e non solo e con l’audizione di testimoni, su una vicenda che potrebbe essere finita tragicamente. Il fidanzato, 30 anni, ha raccontato nella sua denuncia di essere andato al lavoro domenica mattina (fa il barman in un albergo di lusso a Milano), di essere rientrato nel pomeriggio e di non averla trovata a casa. Da qui, stando alla sua versione, la decisione di allertare le forze dell’ordine. La madre della 29enne, che vive nel Napoletano, si era subito preoccupata, invece, quel mattino, perché la figlia non l’aveva chiamata, come faceva di solito. Oggi, intanto, per tutto il giorno a Senago e nelle aree circostanti sono andate avanti le ricerche dei carabinieri, con l’aiuto anche dei vigili del fuoco e della Protezione civile. Nell’abitazione, da quanto si è appreso, non sono stati trovati il passaporto e il bancomat della donna. E nemmeno il suo telefono, che sarebbe risultato non attivo dalla tarda serata di sabato.

Quando domenica, poi, la mamma ha provato a chiamarla risultava spento. Per la famiglia la giovane non avrebbe avuto alcun motivo per sparire nel nulla volontariamente. In questi tre giorni attraverso la trasmissione ‘Chi l’ha visto?’ e l’associazione Penelope, che si occupa di persone scomparse, sono stati rilanciati via social numerosi appelli per ritrovare Giulia, ma tutte le segnalazioni arrivate non hanno avuto alcun effetto concreto. “L’ultimo contatto con la famiglia risale alla serata di sabato 27 maggio”, hanno scritto i familiari. La sorella Chiara oggi ha postato un’altra fotografia di Giulia sulla battigia del mare. “Aveva questo pancione un mese fa – ha scritto in riferimento alla foto – ora è anche più grande! Se la ragazza che vedete non ha il pancione è evidente che non è Giulia. Se Giulia ha le braccia scoperte questo tatuaggio è il segno più caratteristico che ha”.

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Prof aggredita, 16enne arrestato per tentato omicidio

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Ieri mattina era un 16enne come tanti, con una insufficienza in Storia e qualche nota disciplinare sul registro. Oggi Marco (nome di fantasia) è piantonato dai carabinieri nel reparto di neuropsichiatria infantile dell’ospedale San Paolo di Milano, con l’accusa di tentato omicidio aggravato per aver accoltellato la sua insegnante nell’aula dell’istituto Emilio Alessandrini di Abbiategrasso, nell’hinterland di Milano. Il tribunale per i Minorenni non poteva fare altrimenti, l’aggressione alla 51enne Elisabetta Condò non lascia dubbi sulle intenzioni dello studente, che si è scagliato almeno 6 volte col coltello rubato al padre, appassionato di caccia.

Un pugnale in stile Rambo lungo 20 centimetri e con la lama modello Bowie, col quale ha causato alla docente una prognosi di 35 giorni e una lunga riabilitazione. All’ospedale di Legnano, dove ha subito un delicato intervento di ricostruzione dei tendini del polso, hanno riscontrato 3 ferite alla testa da 20 centimetri, la frattura dell’osso parietale sul lato destro, il collasso di una piccola porzione del cranio, un’altra ferita profonda 10 centimetri alla scapola e infine una incisione dell’arteria ulnare da 15 centimetri. Le ragioni dell’aggressione restano chiuse nella mente del 16enne, che pur non avendo una diagnosi psicologica precisa viene ritenuto dai medici affetto da un disturbo paranoide che ha trasformato una normale insofferenza nei confronti dell’insegnante in uno slancio tanto violento.

Lo studente aveva ricevuto 6 note dall’inizio dell’anno e le ultime 4 erano state firmate proprio dalla Condò che però, così come l’intero istituto, non immaginava una reazione simile anche perché si trattava di richiami di poco conto, seppur gravi nel contesto scolastico. Neppure il padre del 16enne riesce a spiegare il suo comportamento, dice che non c’erano stati avvertimenti e aggiunge di non essere a conoscenza delle note. In un quadro così drammatico riesce però a trovare un aspetto da cui ripartire: la vita del figlio, distrutta ma ancora qui. Ai cronisti parla di uno scenario a cui nessuno aveva pensato, dice che avrebbe potuto uccidersi in classe in preda alla disperazione e invece è in arresto ma vivo. Quindi c’è ancora una speranza e da lì vuole cominciare. All’istituto Alessandrini sono tutti sotto choc, compagni e insegnanti continuano a raccontare la sequenza della mattinata vissuta, pochi minuti di un lunedì iniziato come tanti e che impiegherà anni per finire.

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