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Cronache

Don Aniello Manganiello torna a Scampia dopo 10 anni di esilio “per sottrarre i giovani alla camorra”

“Sono tornato per la mia gente”, queste le parole di Don Aniello Manganiello, il prete anti camorra che, dopo 10 anni di “esilio”, torna a Scampia per riprendere la sua lotta contro l’illegalità lì, dove l’aveva lasciata.

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Sedici anni in prima linea, al fianco degli ultimi, a combattere la camorra con le armi della cultura, della socialità e dell’inclusione. Poi nel 2010 don Aniello Manganiello lasciò Scampia e la sua gente con gli occhi lucidi di commozione. Fu trasferito, perché “troppo assistente sociale e poco prete”. Al rione don Guanella, dove è stato parroco dal 1994 al 2010, aveva saputo creare comunità, strappando tanti ragazzi dalle grinfie della camorra. Trasferito a Roma, vi rimane solo tre mesi. Torna in Campania e si stabilisce a casa della sorella, a Camposano, suo paese natale. Nel 2012 fonda l’associazione “Ultimi contro le mafie e per la legalità”. Gira l’Italia in lungo e in largo per portare nelle scuole la sua testimonianza di parroco minacciato dalla camorra. Una volta alla settimana torna a Napoli, per seguire la sua creatura, l’Oratorio don Guanella, l’associazione calcistica fondata nel 1994, uno spazio di sport e socialità a disposizione dei ragazzi di Scampia. Qui don Aniello ha lasciato il suo cuore e qui preme per ritornare. Dopo anni di lontananza, arriva l’ok dai suoi superiori. Pochi giorni fa don Manganiello ha potuto riabbracciare la comunità del rione don Guanella. Coadiuverà il nuovo parroco, ma soprattutto potrà riprendere la sua instancabile opera sociale, al servizio dei bisognosi, in mezzo alla gente, come ha sempre fatto. 

Dieci anni dopo il trasferimento “forzato” è tornato a Scampia. Quale quartiere ha ritrovato?

Sono contento perché sono tornato a casa, al rione don Guanella. Sono stato accolto benissimo, la gente mi vuole bene ed è felice di riavermi qui. Dal punto di vista della pulizia e del decoro urbano, è un vero disastro, la situazione è peggiorata. Nella criminalità c’è stata una sostituzione della camorra storica e delle figure apicali dei clan. Al loro posto ragazzi giovani, schegge impazzite, cani sciolti del tutto privi di regole e per questo potenzialmente molto pericolosi. Non sarà semplice per me instaurare un dialogo con loro, ma ci proverò. Entrando in punta di piedi, come ho fatto la prima volta.

Nel 2010, nonostante le proteste della gente, venne trasferito. Perché?

Su questa vicenda s’è detto di tutto e di più. Secondo qualcuno si trattò di un normale avvicendamento, poiché ero qui da sedici anni. Altri sostennero che mi trasferirono per tutelarmi da una camorra che alzava sempre più il tiro delle sue minacce. L’altra possibile spiegazione è che la mia azione sociale sul territorio non fosse ben vista dalla chiesa locale di Napoli. Forse la mia pastorale era più sociale che religiosa e catechistica. Davo più attenzione al sociale che all’annuncio del Vangelo.

Le che opinione s’è fatto di quel trasferimento?

Io penso che quando si lavora seriamente nel sociale, quando si restituisce dignità agli uomini, quando si combattono emarginazione ed isolamento per evitare che qualcuno rimanga indietro, per me si fa Vangelo. Probabilmente qualcuno nella chiesa locale di Napoli ha una concezione diversa dell’evangelizzazione e della catechesi. Io rimango della mia idea. San Luigi Guanella, il fondatore della mia congregazione, sosteneva un concetto importante. Diceva: “come si fa a parlare ad un povero di Gesù Cristo, quando ha la pancia vuota?”. In sintesi, credo che quella sia stata la motivazione del mio trasferimento: ero troppo assistente sociale e poco prete.

Che cos’ha fatto in questi dieci anni?

Dopo Scampia mi mandarono al Trionfale a Roma, ma ci rimasi solo tre mesi. Litigai con i superiori perché il libro che stavo scrivendo, “Gesù è più forte della camorra”, conteneva alcune pagine un po’ polemiche nei confronti del Cardinale di Napoli e della curia napoletana; volevano che mi censurassi per evitare incidenti diplomatici. Io mi rifiutai, chiesi l’anno sabbatico e me ne tornai al mio paese, Camposano, in provincia di Napoli. Intanto pubblicai il libro, che andò molto bene. A Camposano rimasi altri tre anni per fondare l’associazione “Ultimi per la legalità e contro le mafie”, che oggi conta oltre venti presidi in tutta Italia. Dal 2015 ho fatto il viceparroco a Ferentino, in provincia di Frosinone. Da Napoli in realtà non me ne sono mai andato: tornavo quasi ogni settimana per seguire i progressi dell’associazione calcio Oratorio don Guanella.

Quando si è configurata la possibilità di tornare al rione don Guanella? 

Erano due anni che chiedevo di tornare. Quest’anno è arrivato un nuovo parroco, al quale però non hanno affiancato un viceparroco. Allora il superiore della comunità ha chiesto di poter disporre di un altro confratello che, magari senza incarichi di parroco o di vice, potesse collaborare nelle pastorali e in oratorio. Il superiore ha fatto il mio nome. Si sono concretizzate delle condizioni favorevoli che mi hanno portato di nuovo qui. 

Torniamo alle origini. Quali furono le sue impressioni quando arrivò a Scampia, nel 1994?

Io a Scampia non ci volevo venire, perché mi facevo condizionare dal racconto di tv e giornali; nel ’94 feci molta resistenza. Trovai tante situazioni al limite, a partire dalla camorra, ma più in generale il contesto sociale era degradato e il livello di cultura molto basso. Anche nel rione la comunità parrocchiale era molto spaccata, ognuno andava per conto suo. Trovai una grande povertà. Poi, un po’ alla volta, abbiamo fatto tante cose. Abbiamo dato vita a tante realtà solidali, con una forte attenzione agli ultimi, ai senza fissa dimora presenti in città, per esempio. Ho fondato l’Asd Oratorio don Guanella Scampia calcio, per dare ai ragazzi l’opportunità di fare sport e di divertirsi in un ambiente sano e sicuro. Per strapparli alle sirene fascinose della camorra. Quando lo sport è fatto in modo serio e strutturato può diventare veicolo di regole e valori importanti.

Che bilancio traccia di quei sedici anni al rione don Guanella?

In quegli anni ho cercato in tutti i modi di infondere energia nella comunità, affinché diventasse una famiglia. Mi sono dato da fare tantissimo sul piano culturale e spirituale. Quando nel 2010 sono stato trasferito, ci fu una grossa manifestazione di protesta. E alla mia ultima celebrazione in chiesa c’era tantissima gente, non ci si poteva muovere. Molti piansero. Questi episodi mi hanno fatto comprendere che forse qualcosa di buono l’avevo fatto e che il quartiere, quando l’ho lasciato, aveva fatto un piccolo passo in avanti. 

Come approcciava i ragazzi già fagocitati dalla criminalità organizzata?

Nelle squadre dell’associazione sportiva ne avevamo tantissimi, anche figli di camorristi. Per strada, io salutavo tutti, anche i camorristi. Cercavo di entrare nelle loro vite con umanità e semplicità, senza fare prediche. Spesso bastava una parola, un saluto o una pacca sulla spalla perché l’altro non si sentisse condannato ed emarginato. Da quei piccoli gesti sono nate delle conversioni enormi da parte di spacciatori, tossicodipendenti, rapinatori. Potrei raccontarle una marea di storie di ragazzi che, pur provenendo da famiglie camorriste, con le esperienze nel nostro oratorio, nei campi scuola e nei gruppi di formazione, si sono tirati fuori dalla malavita e hanno preso le distanze anche dai loro genitori. Io dico che se anche ne salvi solo uno, hai fatto tantissimo. Lavorare in questo contesto non è facile. La chiesa può accompagnarli, fornire un sostegno, ma poi ai ragazzi devi dare delle prospettive. Qui la camorra è un ammortizzatore sociale. Lo Stato deve far sentire la sua presenza, non con l’assistenzialismo, ma con progetti seri e reali opportunità lavorative.

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Camorra: clan minorenni in Quartieri Spagnoli Napoli, 3 arresti

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Un vero mini-clan, con tanto di summit e azioni intimidatorie. Tutto formato da minorenni dei Quartieri spagnoli di Napoli. E’ la scoperta di una indagine dela polizia che ha portato a una misura di custodia cautelare del gip partenopeo con il carcere nei confronti di tre ragazzi, ritenuti vicini ai Di Biasi, meglio conosciuti come Faiano, e indagati, a vario titolo, di lesioni personali, porto e detenzione di armi da fuoco, violenza privata, rapina, reati tutti aggravati anche dalle modalita’ mafiose. Il provvedimento nasce dalle indagini sul ferimento a colpi d’arma da fuoco di Vincenzo Masiello il 5 novembre 2022.

L’agguato e’ da ricondurre alla mira espansionistica di un gruppo di giovanissimi ambiziosi che volevano ritagliarsi il loro spazio all’interno delle dinamiche criminali dei Quartieri Spagnoli. La vittima, attualmente detenuta, e’ da considerarsi elemento di spicco della camorra del quartiere. Durante le indagini e’ emerso che il nascente gruppo criminale e’ dedito a reati contro il patrimonio, ha un’ampia disponibilita’ di armi, ha stabilito la sua base operativa in vico Lungo San Matteo che e’ controllato militarmente. Gli indagati costantemente armati di pistola, per evitare attacchi da componenti di altri gruppi antagonisti, hanno in piu’ occasioni perquisito le persone che, in particolare nelle ore notturne, transitavano nella loro zona di influenza.

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Pizzaiolo ucciso: risate e gesti a fine udienza tra gli imputati

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Risate e gesti anche quello delle manette, a fine udienza, tra gli imputati al processo in corso a NAPOLI sull’omicidio di Francesco Pio Maimone, l’aspirante pizzaiolo ucciso nelle prime ore del 20 marzo 2023 sul lungomare di NAPOLI da un proiettile vagante esploso al culmine di una lite scoppiata solo per un pestone su un paio di scarpe griffate a cui la vittima era estranee. Il comportamento di alcuni degli accusati – collegati in video conferenza dalle carceri dove sono detenuti – non è passato inosservato in aula, quando ormai l’udienza, particolarmente importante quella di oggi, si era ormai conclusa. Oggi, infatti, per la prima volta uno dei testimoni, un amico della vittima, che era lì e nelle cui braccia Maimone è spirato, ha indicato colui che ha sparato, puntando il dito verso il riquadro del monitor in cui c’era Francesco Pio Valda.

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Terra dei Fuochi: M5s, fare luce su restituzione beni ai Pellini

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“I fratelli Pellini, condannati definitivamente per traffico illecito di rifiuti, sono responsabili di aver avvelenato la Terra dei Fuochi seppellendo e spargendo nelle campagne di Acerra rifiuti speciali e pericolosi. Era stata disposta la confisca del loro patrimonio per ben 222 milioni, quei soldi dovevano essere destinati alle bonifiche.

Invece, la Cassazione glieli ha restituiti perchè la Corte d’Appello di Napoli si sarebbe attivata oltre i termini previsti. Ministro, per rispetto verso tutti i cittadini e per affermare i valori della Giustizia, chiediamo che si accerti, anche tramite ispezioni, cosa è realmente successo negli uffici giudiziari di Napoli e che si faccia tutto il possibile per recuperare quei soldi alla causa collettiva. Questa non può essere solo una battaglia del Movimento 5 Stelle, deve essere un impegno di tutte le forze politiche”.

Lo ha detto il deputato M5S Sergio Costa, vice presidente della Camera, illustrando un’interrogazione al ministro Nordio. Nella replica, la deputata M5S Carmela Auriemma, prima firmataria dell’atto, ha osservato come “non sia sufficiente la risposta del ministro. 222 milioni di euro sono stati restituiti a dei delinquenti per un vizio procedurale, è doveroso che si faccia la massima chiarezza su quello che è accaduto, lo Stato lo deve a tutti i cittadini cresciuti nella Terra dei Fuochi e alle troppe famiglie che piangono le vittime di quell’inquinamento criminale. Lo Stato non può perdere così davanti agli eco-delinquenti, deve essere forte e inflessibile con questa gente. Bisogna tutelare il lavoro svolto per 15 anni dai magistrati di ben tre procure della Repubblica”.

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