Collegati con noi

Politica

Disfatta del candidato Pd-M5S, vince la candidata leghista Tesei

Pubblicato

del

In Umbria vince Donatella Tesei della Lega e Centrodestra con un consenso che si attesterebbe sotto il 58%. Il candidato Pd e  M5S invece, Vincenzo Bianconi (nella foto in evidenza col premier Conte), incassa il 38%. L’obiettivo minimo era una sconfitta onorevole, ma quello che si profila per la maggioranza che sostiene l’esecutivo è una debacle totale in Umbria che rischia di farsi sentire anche su Palazzo Chigi. Di sicuro si sentira’ sul futuro della alleanza fra dem e Cinque Stelle. Con il Pd sul 21% e il M5S sotto il 10%. Il segretario del Pd, nonostante il suo partito abbia nel complesso tenuto, parla di “sconfitta netta” e della necessita’ di “riflettere sulle scelte future”.

Insomma, se di test sull’alleanza con M5s si trattava, il test e’ fallito e nelle regioni occorrera’ rivedere la strategia. Alla stessa conclusione, seppure per ragioni diverse, giunge anche il Movimento guidato da Luigi Di Maio per il quale ragionare per poli opposti finisce per penalizzare il consenso dei Cinque Stelle. Ma Nicola Zingaretti parla anche di “una tendenza negativa del centrosinistra consolidata in questi anni in molti grandi Comuni umbri che non si e’ riusciti a ribaltare”. Un riferimento alla gestione precedente alla segreteria Zingaretti. E il pensiero corre a Matteo Renzi, rimasto lontano dall’arena elettorale, proprio come quando Zingaretti cita “le polemiche che hanno accompagnato la manovra” quale concausa della debacle. Una lettura del rusultato condivisa dai dirigenti dem impegnati i questi giorni in Umbria. La prima cartina che gira di mano in mano tra gli esponenti dem piu’ vicini a Zingaretti e’ quella di un’Umbria ‘in blu’: e’ il colore in cui vengono indicati i territori conquistati al centrodestra alle elezioni politiche del 2018. Il ragionamento e’: questa e’ la situazione da cui siamo partiti, di piu’ era difficile riuscire a fare. Una situazione, e’ il concetto sotteso a questo ragionamento, che non e’ addebitabile a quello che nel 2018 era solo governatore del Lazio. A guidare il partito, allora, era Matteo Renzi. La seconda cartina e’ relativa alle europee del maggio 2019: Zingaretti era segretario da due mesi e il colore blu lasciava gia’ lo spazio a larghe macchie di giallo e rosso, quelle che indicano i territori in cui il centrosinistra – non ancora il coalizione – risultava in vantaggio. Ora si tratta di vedere quali saranno i dati scorporati di Pd e M5s: “Per noi prevediamo una sostanziale tenuta del dato delle elezioni europee”, spiegano fonti parlamentari dem.
Non sfugge a nessuno, tuttavia, che il voto in Umbria arriva a pochi giorni dal varo della manovra e a 36 ore dalla foto di Narni con cui Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e Roberto Speranza hanno cercato di dare forza al loro candidato, Vincenzo Bianconi. E lo hanno fatto con uno strano mix di temi regionali e rivendicazione dei contenuti della legge di bilancio. Un evento dal quale si e’ tenuto lontano il solo Matteo Renzi: nessuna presa di distanza dall’ex presidente del Consiglio, e’ stato spiegato da fonti di Italia Viva, piuttosto una scelta di coerenza, dato che Italia Viva non ha schierato ne’ sostenuto alcun candidato. Dalle parti del Partito Democratico il risultato era atteso, la forza del centrodestra nella regione e i danni prodotti dalle inchieste sulle nomine in Sanita’, con le dimissioni della presidente Catiuscia Marini, lasciavano ben pochi margini per sperare. E un esponente storico del Pd come Pierluigi Castagnetti non ha mancato di rilevare come il centrodestra governa gia’ in molti comuni umbri, corrispondenti al 62 per cento della popolazione totale. A due ore dall’apertura delle Urne, Castagnetti twittava: “Fra poco i risultati, scontatissimi. Andra’ in onda la Grande Ipocrisia o la grande sceneggiata. Nessuno ricordera’ che il cdx da anni governa Perugia,Terni,Orvieto, Foligno. Cioe’ il 62% della popolazione umbra e che il quesito era: riuscira’ il centrosinistra a capovolgere…?”. E, in un tweet precedente, scriveva ancora che la destra, proprio in virtu’ che gia’ governa largamente in Umbria, avrebbe potuto solo perdere e “se le riuscisse di non perdere cio’ che gia’ ha, non si capisce cio’ che rischia il governo nazionale”. Un modo per mettere al riparo l’esecutivo da un processo che inevitabilmente partira’. Come in una celebre scena di ‘Ritorno al futuro’, la foto di famiglia scattata a Narni potrebbe sbiadire fino a veder scomparire i volti di Conte, Di Maio, Zingaretti e Speranza.
“Sarebbe un errore interrompere questo esperimento per via di una Regione che ha il 2% della popolazione nazionale”. E’ la prima analisi a caldo fatta dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, secondo quanto riporta il Corriere.it rispetto alle ripercussioni del voto umbro sul governo. Il premier poi, in merito alla campagna elettorale, prende le distanze e spiega: “Se avessi voluto fare campagna elettorale avrei girato porta a porta un mese, 24 ore al giorno”.

“Avete votato e scelto la liberta’ a nome di 60 milioni di italiani. Perche’ i signori Conte, Di Maio, Renzi e Zingaretti che sono momentaneamente e abusivamente occupanti del Governo nazionale i giorni sono contati” è questo il primo commento di Matteo Salvini parlando ai sostenitori riuniti davanti alla sede dell’Assemblea legislativa dell’Umbria, a Perugia, per commentare la vittoria della Tesei. Nel centrodestra è lui il vincitore. La Lega è sopra il 37 %, FdI sopra il 10 e Fi ridotta al lumicino, forse al 7%.
Dall’altra parte invece c’è un Pd sopra il 21% che regge l’urto ma poi ci sono i Cinquestelle che precipitano sotto il 10%.

Advertisement

Politica

De Luca e Piantedosi, duello a distanza ad Avellino: sfida elettorale in vista?

Pubblicato

del

Il teatro Carlo Gesualdo di Avellino è stato lo scenario di un incontro carico di tensioni politiche in vista delle prossime elezioni regionali. Protagonisti il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, e il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ospiti degli 80 anni di Confindustria Avellino. Entrambi evitano i cronisti e si limitano a un formale saluto reciproco, sedendosi fianco a fianco nella prima fila.

Sul palco, però, il clima cambia: i due ingaggiano un confronto pacato, ma pungente, che alcuni osservatori non esitano a interpretare come un possibile anticipo di una sfida elettorale. De Luca è già ufficialmente in campo per un nuovo mandato, mentre Piantedosi viene indicato dai partiti di centrodestra come il candidato ideale per sfidarlo.

Piantedosi, il nome che unisce il centrodestra

Matteo Piantedosi, stimato dalla premier Giorgia Meloni e dagli alleati di governo, è l’unico nome capace di trovare consenso trasversale nel centrodestra. Il suo profilo di prefetto e ministro lo rende una figura simbolica di legalità, un aspetto considerato cruciale per il futuro della Campania. Nonostante ciò, la sua attuale posizione al Viminale, strategica per il governo nazionale, potrebbe frenare una sua discesa in campo.

Il botta e risposta: infrastrutture, autonomia e risorse idriche

Durante gli interventi, De Luca e Piantedosi si lanciano frecciate ben calibrate, pur mantenendo toni istituzionali. Il governatore della Campania apre criticando il governo nazionale:
«In Campania abbiamo perso un anno e mezzo sui fondi di coesione, e il nostro accordo non è ancora arrivato alla Corte dei conti. Fortunatamente, l’autonomia differenziata è stata bocciata dalla Consulta grazie alla battaglia della Regione Campania».

Piantedosi risponde difendendo l’esecutivo e attaccando indirettamente la gestione regionale:
«Vorrei tranquillizzare De Luca sul contributo del governo per le aree interne, ma vorrei sottolineare che qui manca l’acqua nonostante le numerose sorgenti. Mi sembra che sia mancata una visione generale, visto che si perde ancora il 60% della risorsa idrica».

Il ministro chiude evidenziando i ritardi nella gestione regionale:
«Sui ritardi dei fondi di coesione, un anno e mezzo è poco rispetto ai problemi protratti per dieci anni in Campania».

Uno scenario da definire

Se da un lato De Luca mira a rafforzare il suo ruolo di amministratore locale sottolineando i successi regionali, dall’altro Piantedosi si presenta come una figura solida, in grado di unire il centrodestra e portare una visione alternativa per la Campania.

La partita per le prossime regionali si preannuncia aperta e combattuta. Resta da vedere se il confronto di Avellino sarà ricordato come il primo round di uno scontro elettorale che potrebbe ridisegnare gli equilibri politici in Campania.

Continua a leggere

Politica

Nervi tesi nel campo largo, scintille Pd-M5s

Pubblicato

del

E alla fine le dighe si sono rotte. Dopo giorni, le frecciate lanciate da Giuseppe Conte hanno fatto crollare il muro del Pd, che aveva evitato di replicare direttamente al presidente Cinque Stelle. La prima a rispondergli è stata l’eurodeputata Pina Picierno, che ha dato il là a uno scambio di accuse non proprio galanti. Fra i dem, hanno poi preso parola gli esponenti dell’area riformista, da sempre i più freddi rispetto a un’alleanza con il Movimento. L’innesco è stata un’intervista su La Repubblica a Picierno, dal titolo: “In Europa M5s in linea con la Lega”, sul “no” alle armi per l’Ucraina. Il botta e risposta è andato avanti a lungo, via social e comunicati. Quelli di Picierno sono “toni da bar” è stato il contrattacco degli eurodeputati M5s. “Non cercano alleanze ma pretendono sudditanza”, ha ribattuto lei.

Lo scontro non ha coinvolto i vertici. Sia Schlein sia Conte non sono intervenuti. Anche perché la prima lavora assiduamente alla costruzione di una coalizione, e il secondo, se anche tiene il freno tirato, condivide l’orizzonte. Però, il presidente del M5s un’altra frecciata l’ha lanciata. L’occasione è stato un convegno alla Camera sulla Salva-Milano, che dovrebbe, tra l’altro, sbloccare una serie di cantieri. La legge è stata approvata alla Camera e fra i firmatari ci sono anche esponenti del Pd, mentre i parlamentari di M5s e Avs sono contrari. “Invito la destra a rivedere questo testo – ha detto Conte – ma sorprende che ci siano delle firme anche di forze del campo progressista. Faccio un appello, ritirate quelle firme se volete costruire un’alternativa di governo. Disponetevi dal lato giusto, combattetela dal lato progressista, con noi e con gli amici di Avs” perché “una forza progressista non fa l’interesse di affaristi con la compiacenza di funzionari compiacenti”.

Le divisioni sull’Ucraina si riflettono sull’appoggio del Pd alla commissione Ue, che il M5s non ha votato. “Abbiamo lanciato la proposta di trasformare il fondo per la guerra da 500 miliardi su cui la Commissione europea sta lavorando in un fondo per l’automotive e la competitività – hanno ricordato i Cinque stelle – . Dica la Picierno se sua priorità è la militarizzazione dell’Ue o la difesa dei lavoratori”. Nei rapporti Pd-M5s pesa anche la collocazione progressista dei pentastellati. Pur collocando il Movimento fra i progressisti, Conte ha definito “un’etichetta stantia” il termine sinistra. “Delle due l’una – ha detto Picierno – o Conte non conosce l’inglese o non sa cosa significa la parola sinistra. In entrambi i casi si tratta di dichiarazioni che raccontano della credibilità del personaggio”. Per il M5s “attaccare Conte su questi punti denota una non troppo latente nostalgia per gli shock di Renzi. No, cara Picierno, a essere scioccati sono i cittadini che hanno europarlamentari” del Pd “che votano con la Meloni”. A sostegno di Picierno, i riformisti Pd. “Sul tema degli aiuti all’Ucraina è molto semplice – ha commentato la senatrice Simona Malpezzi – o stai con la democrazia o stai con Putin”. Per la senatrice dem Valeria Valente “offendere è segnale di debolezza: il populismo sulla guerra – ha aggiunto – lo lasciamo a Conte”. Ironico il senatore Filippo Sensi, che ha “evocato” Rocco Casalino, attribuendogli la paternità dei post M5s contro la Picierno: “Rocco, esci da questo corpo. La destra”.

Continua a leggere

In Evidenza

Felipe di Spagna in Aula, Mattarella punto di riferimento

Pubblicato

del

Un discorso mai formale, dal timbro progressista che non ci si sarebbe aspettato da un monarca, seppur costituzionale. Un intervento solenne al Parlamento italiano, decisamente politico, con il quale re Felipe VI ha affrontato tutti i temi più caldi della politica europea partendo da un pubblico riconoscimento dell’autorevolezza del presidente della Repubblica: voglio ringraziarlo, ha subito premesso parlando in italiano, “per la sensibilità verso la Spagna, per aver sempre trovato nel presidente della Repubblica i consigli. Lo sapete meglio di me, è un punto di riferimento per l’Italia e gli italiani, nonché per molti capi di stato tra cui ci sono io”. La cerimonia a Montecitorio è stato il momento centrale della visita di Stato del sovrano che è stato accompagnato in tutti i suoi appuntamenti dalla moglie Letizia.

Se il Re ha impressionato per la chiarezza delle sue prese di posizione, dall’Europa alla Nato, la consorte ha rubato l’attenzione dei cittadini e dei media: la sua eleganza – amplificata da diversi cambi di abiti in poche ore – è stata immortalata dai fotografi con centinaia di scatti visti e rivisti sui social. D’altronde la storica simpatia italo-spagnola era stata ben interpretata sin dalla mattina dallo stesso Mattarella che aveva parlato di relazioni bilaterali “straordinarie”. Concetto subito ricambiato dal re che, come ancor di più il padre Juan Carlos, ha un debole per l’Italia: “venire in visita di Stato in Italia è qualcosa di molto speciale, non è una visita qualsiasi, i nostri Paesi – ha sottolineato – hanno relazioni intense e sono molto amici”. La grande sintonia politica tra Mattarella e il re è apparsa subito evidente.

Se il capo dello Stato ha definito “ineluttabile” la necessità di riforme profonde per le istituzioni europee, il sovrano gli ha fatto specchio in Aula confermando la ferrea visione euro-atlantica di Roma e Madrid spiegando ai parlamentari che “la nuova Commissione deve orientare l’Unione verso il futuro, garantire la competitività globale e scommettere su un nuovo mercato interno”. Ma non solo. Dopo aver citato De Gasperi (“il futuro si può costruire solo con l’applicazione metodica del metodo democratico”), re Felipe ha lodato l’opera di due italiani ben presenti nelle dinamiche europee: Mario draghi ed Enrico Letta. Per poi chiudere con un riferimento alle radici antifasciste che ci legano: “siamo due Paesi che hanno una chiara consapevolezza del passato, in particolare del fatto che c’è un passato che non deve e non può ripetersi neanche per scherzo”.

Fin qui il Quirinale, che Felipe e Letizia ritrovano in serata per una cena di Stato offerta dal presidente. A pranzo entra in scena la premier che riceve i due ospiti nella residenza governativa di villa Doria Pamphili per un pranzo di lavoro. Giorgia Meloni li ha accompagnati a visitare i giardini della residenza, con il celebre labirinto di siepi. Poi le foto di rito e qualche imbarazzo di cerimoniale sul posto da prendere davanti ai fotografi: ci pensa il sovrano e risolvere le cose mettendosi alla sinistra della premier e collocando la moglie alla destra. Non poteva mancare infine un omaggio alla città, a quella Roma che re Felipe definisce “una delle principali culle della nostra civiltà” che “appartiene ed è sempre appartenuta al nostro immaginario collettivo europeo”. Quindi l’entrata in Campidoglio con gli squilli di tromba dei Fedeli di Vitorchiano in abiti storici, l’immancabile affaccio sul balcone con vista sui Fori e il regalo della Lupa da parte del padrone di casa, il sindaco Roberto Gualtieri. Giovedì si cambia scenario ma non sarà meno spettacolare: i sovrani di Spagna si spostano a Napoli. Prima una colazione di saluto con il presidente a villa Rosebery a Posillipo. Poi una Lectio magistralis di re Felipe IV al San Carlo, dove, in occasione degli 800 anni dell’Università Federico II, gli sarà conferita una laurea ad honorem in Scienze sociali e statistiche.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto