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Cronache

Diego Maradona Jr ricoverato al Cotugno: attenti al covid, è un inferno non riuscire a respirare e vivere con la paura di morire

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Soli. Un tampone li ha precipitati nell’inferno del Covid. Li ha costretti a casa. Nessuno che può avvicinarsi. Diego Armando Maradona jr, sua moglie Nunzia e i loro due bambini di tre e un anno, si ritrovano da soli. Unica compagnia la paura. Il timore che il virus possa fare male. Molto male. Diego jr aveva sintomi importanti, sua moglie sintomi lievi che potevano aggravarsi. I genitori di Nunzia non possono entrare in casa. Accudiscono però la  figlia e la sua famiglia senza rischiare di essere contagiati. Portano la spesa. Infondono forza e coraggio con i loro sguardi colmi di amore. Le lacrime non mancano. Quando Diego jr peggiora, non riesce a respirare, chiamano il 118. Una voce fredda risponde dall’altra parte della cornetta dove Nunzia chiede aiuto per il marito: “Signora, ma suo marito respira ancora”. Sì, Dieguito per fortuna respira ancora. Ma lo fa a stento. Non riesce neanche a parlare. Ed ha paura. Si sente soffocare. È una sensazione terribile che colpisce i pazienti Covid le cui condizioni sono più gravi. È il momento in cui non ci si può più curare a casa, occorre andare subito in ospedale. Una crisi respiratoria, la polmonite che aggredisce possono essere letali.

Diego Maradona Jr. I giorni felici con la moglie Nunzia

È il 12 novembre quando Diego arriva all’ospedale Cotugno. Diego è ancora lì. Non è più in gravi condizioni. Ma è lontano dal calore dei suoi cari. Ed è evidentemente preoccupato per la moglie ed i suoi due bambini. Parla con grande difficoltà, affannando, facendo frequenti pause. La mancanza di fiato strozza la voce in gola. Dieguito è consapevole del fatto che sarà una prova durissima, ma ne vuole parlare con Juorno. Perchè spera che la sua testimonianza possa dare coraggio a chi sta male ed essere da monito a chi sta bene a seguire tutte le regole per evitare il contagio. Parliamo con lui al telefono, l’unico legame che Dieguito ha con l’esterno. Dentro l’ospedale, però, ci sono medici e infermieri che ogni paziente considera angeli custodi.

Diego, come stai?
Sto molto, molto meglio, ringrazio Dio e questa eccellenza ospedaliera che abbiamo a Napoli: i medici e gli infermieri del Cotugno sono bravissimi.

Sei riuscito a capire quando e dove hai contratto il covid?
Difficile dire il momento esatto del contagio. Probabilmente, considerato che ho fatto molta attenzione, credo che me lo abbia trasmesso il mio vicino di casa. Ovviamente non sapevano, essendo asintomatici, di essere stati contagiati a loro volta. In ogni caso è successo.

Quando hai avuto veramente paura?
Quando ho cominciato a stare molto male e ho chiamato l’ambulanza. Mi hanno portato al pronto soccorso dell’ospedale di Pozzuoli, la Schiana, e sono stato subito visitato: il dottore ha immediatamente capito che avevo fame d’aria. Ma nonostante mi sentissi malissimo, mi hanno rimandato a casa con un referto di polmonite bilaterale. In quel momento ho avuto veramente paura.

Diego Maradona Jr. Il ricovero al Cotugno e le prime cure

Come ti hanno curato al Cotugno?
Al Cotugno sono stati meravigliosi. Dal primo giorno hanno studiato il mio caso, cosa che fanno con tutti. Da subito hanno scelto le terapie più appropriate. Ero molto grave. Il casco CPAP è un’esperienza terribile ma efficace: ora sto decisamente molto meglio. Senza ossigeno avrei potuto non farcela.

Che cosa vuoi dire a chi minimizza la gravità del Covid?
Il Covid è un incubo. È l’inferno che si materializza ed è difficile trovare le parole giuste per raccontare l’inferno. Piango tutti i giorni ma non per paura di morire. Ti senti fragile. Come una foglia esposta al vento di una tempesta.

I Maradona. Due periodi difficilissimi: il padre ricoverato per una operazione alla testa; Diego Jr in ospedale per il covid

Hai sentito tuo padre?
No. In questo periodo neanche lui è stato molto bene. Ora per fortuna sta meglio. Appena mi sarà possibile conto di andare con la mia famiglia da lui. Voglio abbracciarlo.

C’è qualcosa che vorresti dire?
È un’esperienza che mi ha segnato profondamente sia da un punto di vista umano che spirituale. Mi ha fatto capire che dobbiamo dare di più a Dio ma anche al prossimo. Dobbiamo ricordarci che solo insieme usciremo da questo incubo. Ognuno di noi deve fare la sua parte, insieme ce la faremo.

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Choc a Nola: marito violento, giovane ‘liberata’ dai carabinieri grazie all’intervento della suocera

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Dopo anni di soprusi e maltrattamenti, la storia di terrore vissuta da una giovane donna di Nola ha finalmente trovato un epilogo in tribunale. Un giovane di 21 anni, con un passato turbolento segnato da dipendenza da droga e violenze, è stato arrestato e accusato di sequestro di persona, maltrattamenti e lesioni personali aggravate. Le aggressioni brutali, compresa una tentata strangolazione e attacchi pericolosi anche ai passanti nel centro antico di Nola, finiranno con il suo arresto.

La Procura di Nola, con l’ausilio dei carabinieri, ha condotto un’indagine lampo che ha portato alla luce gli abusi subiti dalla donna per anni. La vittima, che aveva sopportato in silenzio gli attacchi del compagno, ha trovato la forza di parlare solo dopo l’intervento della madre dell’aggressore, che l’ha convinta a cercare aiuto e cure mediche.

Durante l’ultima aggressione, la donna ha subito gravi danni all’orecchio e all’occhio, oltre a numerose altre ferite. In ospedale, il personale ha allertato le autorità, innescando una serie di eventi che hanno portato all’arresto del giovane. Nonostante il profondo legame affettivo che la legava al suo aguzzino, il quale chiudeva la porta di casa a chiave per impedirle di scappare, la donna ha finalmente deciso di rompere il silenzio.

Il Gip del Tribunale di Nola, Teresa Valentino, ha accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere presentata dalla Procura, segnando un decisivo punto di svolta nel caso. La giovane donna ha espresso il desiderio di vedere giustizia fatta: «Chiedo che venga punito per quello che mi ha fatto», ha dichiarato, evidenziando il lungo calvario e la paura che ha vissuto, temendo anche per la sicurezza della sua famiglia.

Questa vicenda sottolinea la tragica realtà della violenza domestica e l’importanza di supportare le vittime nel trovare la forza di parlare e denunciare i loro aggressori. L’arresto del giovane non solo mette fine a un ciclo di violenza, ma serve anche come monito sulle conseguenze legali che attendono coloro che sceglieranno di perpetrare tali crimini.

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Tony Colombo e Tina Rispoli restano in carcere, confermate in Cassazione le accuse di camorra

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La Corte di Cassazione ha recentemente respinto le richieste di scarcerazione per il cantante neomelodico Tony Colombo e sua moglie Tina Rispoli, implicati in un’inchiesta del pool antimafia. La coppia è accusata di avere legami con il clan Di Lauro, operante nella zona di Scampia-Secondigliano.

Le indagini, condotte dai pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano, puntano a dimostrare come Colombo e Rispoli, nonostante non appartengano direttamente a una famiglia mafiosa, siano profondamente inseriti nelle dinamiche criminali del clan. I giudici della quinta sezione della Suprema Corte hanno sottolineato la “totale condivisione di intenti” tra i coniugi e la loro “estrema pericolosità”, evidenziata dal loro “perdurante e costante inserimento nei contesti illeciti”.

L’accusa si concentra anche sulla gestione di un capannone industriale associato a Vincenzo Di Lauro, con arresti confermati anche per lui dalla Cassazione, e sulla condivisione di un marchio commerciale legato alla moda e all’abbigliamento. Le prove raccolte includono intercettazioni telefoniche e ricostruzioni finanziarie effettuate dalle forze dell’ordine.

Il deputato Francesco Emilio Borrelli di Alleanza Verdi Sinistra ha commentato il caso, sottolineando come lui e il suo partito abbiano per anni lottato contro il sistema di Colombo e Rispoli, denunciando i loro legami con la camorra che, a suo dire, molti hanno preferito ignorare.

Questa vicenda mette ancora una volta in luce le intricate connessioni tra il mondo dello spettacolo e le organizzazioni criminali in alcune aree di Napoli, rivelando come figure pubbliche possano a volte essere coinvolte in attività illecite che sfruttano la loro visibilità per operazioni economiche dubbie. La decisione della Corte di Cassazione rappresenta un passo significativo nel tentativo delle autorità di combattere il crimine organizzato, dimostrando che nessuno è al di sopra della legge, anche quando si tratta di figure note al grande pubblico.

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Processo per usura e racket ai clan di Napoli Ovest, l’assenza per paura dei commercianti

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Napoli ovest è ancora una volta teatro di un processo che mette in luce la profonda infiltrazione della camorra nelle attività quotidiane dei cittadini. Il processo, che ha avuto inizio ieri con la prima udienza preliminare, vede coinvolte venti persone, identificate dalla Procura come membri del clan Vigilia. Questo gruppo, a lungo dominante nel rione Traiano per il controllo delle piazze di spaccio, è ora accusato di estorsione e usura nei confronti di commercianti locali.

Il giudice per le udienze preliminari ha preso in esame il caso, che rivela come un commerciante di via Epomeo sia stato costretto a pagare fino a 15mila euro in diverse rate sotto minaccia. Queste pratiche estorsive non sono isolate, ma parte di una strategia di radicamento criminale che ha visto i cittadini, indicati come vittime dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli, sottomessi a tassi usurari e pressioni continue.

La nota più triste di questa vicenda è l’assenza in aula delle presunte vittime, i “cittadini innocenti” che hanno subito intimidazioni e minacce. Questo silenzio è indicativo dell’atmosfera di paura che regna in alcune aree di Napoli, dove l’omertà sembra ancora prevalere. Nonostante la gravità delle accuse, nessuna delle vittime ha voluto presentarsi per rivendicare il proprio status di parte offesa.

Il processo vede anche la costituzione di parte civile da parte del Comune di Napoli e della Presidenza del Consiglio, oltre che dell’associazione Sos Impresa, rappresentata dall’avvocato Alessandro Motta. Questi soggetti cercano di sostenere il procedimento giudiziario e di offrire supporto alle vittime, spesso lasciate sole a fronteggiare la criminalità organizzata.

L’udienza è stata occasione per gli avvocati di delineare le strategie difensive, con alcuni imputati che hanno optato per il rito abbreviato, sperando in una riduzione della pena. Tuttavia, il clima di tensione non diminuisce, come dimostrano episodi recenti di violenza nella stessa area, tra cui un raid in un parco giochi che ha visto una madre ferita mentre si prendeva cura della figlia.

Il caso continuerà a giugno, con il ritorno in aula e l’attesa delle richieste di condanne per coloro che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Intanto, il verdetto duro contro il clan Sorianiello, emesso nello stesso periodo, conferma l’esistenza di una rete criminale ben strutturata, capace di imporre il proprio dominio attraverso la violenza e l’intimidazione.

Questo processo non è solo un’esposizione delle dinamiche criminali di Napoli ovest, ma anche un esame della capacità della giustizia di proteggere i cittadini e di affermare l’autorità dello Stato in zone dove la legge sembra avere poco potere. Le conseguenze di questo processo saranno cruciali per la lotta alla camorra e potrebbero segnare un punto di svolta nella ripresa di controllo civile nelle aree più turbolente della città.

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