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Cronache

Di Maio lancia vincolo mandato, il Pd insorge e lui frena:

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Pugno duro contro i potenziali fuoriusciti, toni piu’ morbidi nei confronti dei dissidenti “storici” del M5S e una proposta: l’introduzione del vincolo di mandato in Costituzione. Luigi Di Maio, alle prese col malcontento interno ai Cinque Stelle e dal rischio di nuove fuoriuscite, tenta di correre ai ripari. Rilanciando una proposta cara al Movimento ma, al momento, poco praticabile: il vincolo di mandato. Sulle parole di Di Maio, infatti, Pd e renziani insorgono e, in serata, e’ lo stesso ministro degli Esteri a fare una mezza marcia indietro: “non voglio un muro contro muro, contemperiamo liberta’ dell’individuo e l’evitare che i cittadini vengano traditi con il cambio di casacca”, spiega. “Di Maio vuole scherzare…”, taglia corto il capogruppo Pd Andrea Marcucci mentre Ettore Rosato chiude: “la proposta fa male alla Costituzione”. Ma l’azzardo di Di Maio e’ dettato dalla volonta’ di impedire che la polveriera pentastellata si accenda. Il numero dei potenziali “ex” – direzione Lega ma soprattutto Italia Viva – non e’ ovviamente noto ma i rumors di palazzo sono allarmanti: a Palazzo Madama ci potrebbero essere nuovi addii, alla Camera anche. Il malcontento nei confronti del leader e’ diffuso soprattutto tra chi non ha ottenuto posti di governo, li ha persi, o li ha visti perdere ai colleghi piu’ “vicini”. Un’assemblea ad hoc al Senato, nei prossimi giorni, chiamata a esaminare il tema del nuovo capogruppo, rischia di trasformarsi nell’ennesimo ring mentre alla Camera gli 11 candidati a capogruppo lasciano prevedere che i tempi per avere il successore di Francesco D’Uva saranno lunghi. E l’ira di Di Maio e’ palpabile: si narra – ma dallo staff del ministro non confermano – di un sms che il leader del M5S avrebbe inviato a Gelsomina Vono poco prima del suo addio. Sms in cui il leader avvertiva la senatrice del rischio di essere “marchiata” per il suo passaggio a Italia Viva. Da New York il capo politico fa una netta distinzione tra “chi muove giuste critiche e chi va via perche’ non ha ottenuto nulla per se'”. I primi “li ascoltero'”, i secondi “dovranno pagare 100mila euro per danni di immagine, come da Statuto”, avverte Di Maio. Chiamato ad accelerare sulla riforma del M5S, sia sul comitato centrale dei 12 (“saranno eletti su Rousseau”, sottolinea a chi lo critica perche’ saranno scelti dall’alto) sia nei territori, dove l’alleanza con il Pd in Umbria puo’ creare nuove slavine. In Emilia-Romagna e Calabria il “no” del M5S all’alleanza con i Dem e’ piuttosto diffuso. E domenica a Firenze i “ribelli” si riuniranno nuovamente, magari con l’obiettivo di stilare una “carta di Firenze” che certifichi il loro dissenso. Un dissenso al momento poco etichettabile. Non riguarda, ad esempio gli ortodossi e altri attivisti storici, come Barbara Lezzi o Giulia Grillo, pur manifestando il loro malcontento, assicurano che resteranno. L’attenzione sui potenziali fuoriusciti potrebbe invece spostarsi su i vincitori degli uninominali, meno “legati” al Movimento. Movimento che, nelle prossime settimane, e’ chiamato ad affrontare anche il tema ius soli. “Ma se dicessimo: va bene, la prossima settimana si fa il taglio dei parlamentari. Ma quella dopo, cari alleati, con la stessa urgenza e la stessa enfasi, facciamo lo ius soli”, propone Matteo Orfini. E la proposta, a Italia Viva, piace, cosi’ come agli ortodossi M5S come Giuseppe Brescia. Matteo Salvini gia’ annuncia le barricate. I vertici 5 Stelle, per ora, glissano. Ma garantiscono al Pd il cambio della legge elettorale. “Noi saremo leali sul fatto che bisogna trovare la quadra”, assicura Di Maio indicando il metodo del dibattito: “si trova un accordo e lo si comunica in pubblico, evitiamo che l’Italia sprofondi nella discussione su sbarramenti e soglie”.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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