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Depardieu show in aula, ‘non vado a palpare le donne’

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Comincia esitante, dice di essere “emozionato”. Poi, come vuole il suo personaggio esuberante e spesso tracimante, diventa un fiume in piena, che investe tutto e tutti. Gérard Depardieu (foto Imagoeconomica in evidenza), al secondo giorno di processo per le accuse di due donne di aver abusato di loro durante le riprese di un film, diventa protagonista insieme con Amélie e Sarah, le due donne che lo hanno denunciato. Lui rivendica di “non essere Emile Louis”, un celebre violentatore seriale che terrorizzava Parigi alcuni anni fa.

Loro gli rinfacciano di aver “cambiato più volte versione” sulle sue parole, le oscenità pronunciate, le mani sulle anche che stringevano e non “si appoggiavano”, come sostiene l’attore. La seconda giornata di Depardieu in tribunale ha fatto salire ancora la temperatura in aula. Perché i protagonisti sono diventati l’attore e le sue accusatrici e la discussione è entrata nel vivo.

Quando il presidente del tribunale gli ha chiesto se avesse da dire qualcosa, non si è fatto pregare: “Certo che parlo – ha risposto – ho delle dichiarazioni da fare. E ci vorrà sicuramente un po’ di tempo perché è molto emozionante essere qui. Ieri, di tutte quelle parole, molte non le capivo, ma è stato violento…”.

Il presidente lo ha spinto a scendere sul concreto, sulle accuse di Amélie, una delle donne che l’ha denunciato e che avrebbe subito i suoi abusi sul set del film Les Volets verts, nel 2021. Si è cominciato con le “oscenità” che l’attore avrebbe gridato in pubblico alla sua vittima: “Oscenità? ha risposto Depardieu – cosa vuol dire osceno? Volgare? Sì, mi succede di dire, ‘Dai, figa! Andiamo…”. “Sul set di un film?” lo ha incalzato il presidente. “Ah sì – ha ammesso l’attore – qualche lo volta me lo dico anche da solo, fra me e me, da solo”. Il dibattito si sposta poi sul “contatto fisico”.

Che per la prima volta, Depardieu – in qualche modo – ammette: durante le riprese, si è trovato a discutere con Amélie, l’assistente scenografa, a proposito di un quadro. Depardieu sostiene di aver creduto che lei fosse la proprietaria del luogo in cui era stato montato il set. La donna gli disse che quel quadro era una “crosta”, poco dopo Depardieu viene a conoscenza che Amélie non era la proprietaria ma che era una della troupe.

“Le dissi ‘perché mi menti?’ Perché non mi hai detto che ti occupavi della scenografia? E poi, una crosta del genere mi piacerebbe averla… ma tu che vuoi fare, la scenografa o fare la ‘brocante’? A quel punto – racconta – l’ho afferrata per le anche, così, come prendo questa barra… poi le ho detto che stava sempre al telefono. Mi ha risposto che cercava degli ombrelloni per una scena, e io gli ho detto, ‘ombrelloni… pensa alla scenografia, gli ombrelloni mettiteli nel c…, non me ne frega niente. Finisci questa scena e poi basta!”.

Secondo Depardieu “è stata una lavata di testa”, “anche a me è capitato di prenderne. Io non sono uno che va a palpare le donne, a 76 anni e con 150 chili… non sono uno che si struscia nella metro”.

A quel punto, è toccato ad Amélie dire la sua: “Oggi ho scoperto l’ultima sua versione. Un po’ mi diverte. E mi ha dato il coraggio di parlare. È una versione che si trasforma in una specie di rimprovero professionale, un lavoro che avrei fatto male. Ovviamente è del tutto falso. Succede di essere rimproverata, ma dai capi. Mai, mai, mai dagli attori”. E sul momento degli “ombrelloni”, Amélie ha sostenuto che le parole dell’attore sono state: “vieni a toccare il mio grosso ombrellone, te lo infilo nella…”.

Parole dette “con un uno sguardo di fuoco”, ha raccontato la donna. “Ho tentato di tirare indietro le mani ma mi terrorizzava”. Quando riprende la parola, Depardieu appare provato, le idee sembrano più confuse ed incerte: “Non devo parlare in quel modo, non devo incavolarmi così… sono stato molto duro con lei, si è potuta sentire umiliata, mi dispiace. Ho superato i limiti a livello di educazione e me ne vergogno”.

“Ma – aggiunge – non ho mai voluto fare del male a questa donna. Oggi sono tre anni che non lavoro più. Alla figlia di Fanny Ardant hanno sputato addosso perché la madre sta dalla mia parte. Questo movimento sta diventando un terrore. Ho visto cartelli con scritto ‘Depardieu stupratore’. Amo la femminilità, ma queste sono isteriche… non sto più a mio agio con questa nuova società, penso che il mio tempo sia finito”. Rinviata ai prossimi giorni, l’attesa testimonianza di Fanny Ardant.

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Meloni vede Vance: l’Ue ora parli con Trump

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Per avviare un dialogo con Donald Trump, bisogna tenere rapporti personali diretti. Giorgia Meloni ne è sempre stata convinta e questo è il principale messaggio che spera sia colto anche a Bruxelles dopo la sua missione a Washington. Anche per sfruttare al massimo i tre mesi di sospensione dei dazi commerciali per far decollare il negoziato Usa-Ue con l’orizzonte di un libero mercato transatlantico. Un percorso che la premier spera possa essere sugellato da un incontro fra il presidente americano e Ursula von der Leyen. Con la disponibilità di ospitarlo a Roma. Meloni è atterrata all’alba all’aeroporto di Ciampino, dopo una missione durata poco meno di 48 ore (voli inclusi), anche per poter essere a Palazzo Chigi in tempo per ricevere il vicepresidente Usa JD Vance. Prima da sola, poi in un pranzo allargato ai vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. La soddisfazione supera la fatica, i suoi parlano di “un risultato straordinario”.

Trump ha accolto l’invito per una visita ufficiale in Italia “nel prossimo futuro”, anche “valutando la possibilità di organizzare, in tale occasione, un incontro tra Stati Uniti ed Europa”, conferma la dichiarazione congiunta. Tra un mese il tycoon sarà in Europa, per il vertice Nato a L’Aia (24-25 giugno), seguito subito dopo da un Consiglio europeo. Potrebbe essere la finestra giusta, perché la sospensione dei dazi scade il 10 luglio. Più in là c’è il summit in Italia sulla ricostruzione dell’Ucraina, tema emerso sia nel bilaterale alla Casa Bianca, dove Meloni ha difeso la tesi di “Putin aggressore”, sia in quello con Vance, in cui sono stati condivisi “gli sforzi per una pace giusta e duratura”. Da Palazzo Chigi fanno notare che “la situazione ora è molto positiva”, e “piano piano si va avanti”.

Il percorso, però, è ancora incerto e tutto da costruire, secondo i ragionamenti e le analisi approfondite di queste ore ai piani alti del governo. Perché Trump si è detto convinto che si arriverà a un accordo, ma sui dazi non ha cambiato idea. E non sarebbe disposto a passi avanti finché non saranno chiare le mosse europee su una serie di temi per lui cruciali. Inclusi i rapporti con la Cina. Con il presidente americano non si può prescindere da relazioni personali dirette, avrebbe sottolineato la stessa Meloni nella telefonata sull’esito del viaggio alla presidente delle Commissione Ue von der Leyen. Non l’unica della giornata. Dopo questo genere di missioni c’è sempre un contatto con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

La “special relationship”, come l’ha definita la Casa Bianca, fra Meloni e Trump è stata confermata da battute e sorrisi nei momenti del bilaterale aperti alle telecamere. “Donald ha fiducia totale in Giorgia”, assicurano fonti di governo. Per dirla con il tycoon, la sua ospite “ha lasciato a tutti un’impressione fantastica”. E sul libro degli ospiti della Casa Bianca ha ribadito quel “Make West Great Again”, mutuato dal trumpiano MAGA.

A margine del colloquio c’è stato anche un saluto affettuoso con Elon Musk, anche se i rapporti fra i due – raccontano – non sono fluidi come qualche mese fa, e di Starlink alla Casa Bianca non si è parlato, come ha assicurato Meloni. L’obiettivo della presidente del Consiglio è porsi sempre più come un interlocutore europeo chiave per Washington. Sul piatto ha messo una serie di sforzi per “rafforzare la cooperazione”, con investimenti per 10 miliardi di euro. Maggiori importazioni di gas naturale liquefatto dagli Usa, gli impegni condivisi a non discriminare fiscalmente le Big Tech, a rafforzare la cooperazione sulla Difesa, a proteggere infrastrutture e tecnologie critiche e sensibili utilizzando solo fornitori affidabili, a sviluppare il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, a cooperare in materia spaziale con due missioni su Marte nel 2026 e 2028. Inoltre l’Italia contribuirà alla rinascita della cantieristica navale americana e gli Usa valuteranno opportunità di investimento offerte dalle Zes. La dichiarazione congiunta cita anche il Piano Mattei, e la cooperazione su infrastrutture cruciali “seguendo l’esempio” dell’approccio di Trump sugli Accordi di Abramo.

“È un documento vergognoso – attacca Angelo Bonelli di Avs – che sancisce, nero su bianco, la resa totale dell’Italia agli Stati Uniti”. “La premier – è la sintesi della leader del Pd Elly Schlein – si è impegnata ad aumentare la spesa militare e a far investire 10 miliardi alle imprese italiane negli Usa quando non ne ha trovato ancora uno per tutelare quelle colpite dai dazi ed evitare delocalizzazioni. In cambio pare abbia ottenuto una visita di Trump in Italia. Non mi pare un gran bilancio”.

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Kiev, firmato con Usa memorandum d’intesa sulle terre rare

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L’Ucraina e gli Stati Uniti hanno firmato un memorandumche dimostra l’intenzione di finalizzare e concludere un accordo sulle terre rare. Lo annuncia il vice primo ministro e ministro dell’Economia ucraina Yulia Svyrydenko, come riporta Ukrainska Pravda. “Oggi – ha detto – abbiamo compiuto un passo avanti verso un accordo di partenariato economico congiunto con gli Usa. Il memorandum dimostra il costruttivo lavoro congiunto e l’intenzione di finalizzare e concludere un accordo vantaggioso per entrambi i nostri popoli”. Oggi Donald Trump ha detto che l’intesa sui minerali, negoziata per mesi, sarà firmata “giovedì prossimo”.

Svyrydenko ha affermato che la parte ucraina si sta preparando a creare un Fondo di investimento per la ricostruzione dell’Ucraina. “L’accordo in questione aprirà opportunità per investimenti significativi, modernizzazione delle infrastrutture e una partnership reciprocamente vantaggiosa tra Ucraina e Stati Uniti: è con questo obiettivo che i team stanno lavorando al documento”, si legge nel memorandum pubblicato dai media ucraini. “Ora ci aspetta la finalizzazione del testo dell’accordo e la sua firma. E poi la ratifica da parte dei parlamenti”, ha osservato il capo del Ministero dell’Economia dell’Ucraina.

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Dagli Usa nuove tasse su navi cinesi in porti americani

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Gli Stati Uniti annunciano nuove tasse per le navi di fabbricazione cinese che attraccano negli Stati Uniti, in una mossa che rischia di rivoluzionare le rotte di spedizione globale e far salire la tensione con la Cina. Le tariffe, secondo la proposta elaborata dall’amministrazione Trump, entreranno in vigore fra sei mesi.

– Le nuove tasse colpiranno anche i proprietari e gli operatori cinesi di navi non prodotte in Cina, ha affermato ieri il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (Ustr) in un comunicato stampa. Le tariffe saranno applicate per ogni visita negli Stati Uniti (non per ogni porto statunitense visitato) e per un massimo di cinque volte all’anno per nave. L’Ustr ha inoltre introdotto una tariffa specifica per le imbarcazioni costruite all’estero che trasportano veicoli, la cui entrata in vigore è prevista sempre fra 180 giorni. Misure in arrivo anche per chi trasporta gas naturale liquefatto (Gnl). “L’Ustr ha intrapreso oggi (Ieri, ndr) un’azione mirata per ripristinare la cantieristica navale americana e rispondere alle azioni, alle politiche e alle pratiche irragionevoli della Cina volte a dominare i settori marittimo, logistico e della cantieristica navale”, si legge nella nota.

Nel 2024, l’allora presidente Joe Biden aveva incaricato l’Ustr di indagare sulle “pratiche sleali della Cina nei settori della cantieristica navale, del trasporto marittimo e della logistica”. Lindagine è stata portata avanti dal presidente Donald Trump, che all’inizio di marzo ha anche annunciato la creazione di un Ufficio per la costruzione navale da affiancare alla Casa Bianca. Dominante alla fine della seconda guerra mondiale, l’industria navale americana ha progressivamente perso terreno e oggi rappresenta solo lo 0,1% della cantieristica navale a livello mondiale, che è dominata ormai dall’Asia. La Cina oggi costruisce quasi la metà delle navi varate, davanti a Corea del Sud e Giappone. Secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), i tre Paesi asiatici rappresentano oltre il 95% delle navi civili costruite.

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