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Economia

Debito pubblico italiano a 3.070 miliardi, ma lo spread ai minimi dal 2010

Bankitalia fotografa il debito pubblico italiano a 3.070,7 miliardi, nuovo record storico. Crescono le entrate tributarie e lo spread scende ai minimi dal 2010.

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A giugno il debito pubblico italiano ha toccato un nuovo massimo storico: 3.070,7 miliardi di euro, in aumento di 18 miliardi rispetto a maggio. Un dato che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti definisce un “vincolo” da considerare in ogni decisione di politica economica.

Sul fronte delle entrate, però, arrivano segnali positivi: nei primi sei mesi del 2025 le entrate tributarie sono salite dell’8,5 miliardi (+3,4%), toccando quota 257,3 miliardi. Nel solo mese di giugno l’incremento è stato del 4,2%, pari a 1,8 miliardi in più.

Proposte politiche e rivendicazioni

I dati hanno alimentato il dibattito politico. Forza Italia, con Maurizio Casasco, propone di destinare 4,2 miliardi alla riduzione dell’aliquota Irpef per il ceto medio, dal 35 al 33% fino a 60mila euro di reddito. Dal fronte di Fratelli d’Italia, il senatore Giorgio Salvitti rivendica la linea “meno tasse, più entrate”.

Spread ai minimi dal 2010

Tra i segnali di stabilità c’è anche il calo dello spread Btp-Bund, sceso sotto i 77 punti base e toccando un minimo di 76,4, valori che non si vedevano dal marzo 2010. In chiusura la giornata si è fermata a 77,6 punti.

Il governo Meloni lo cita come indicatore di fiducia sui mercati, anche in un contesto internazionale complesso, con due conflitti in corso e maggiori richieste di spesa per la Difesa. Va però considerato che il calo è influenzato anche dalle difficoltà economiche della Germania.

Amministrazioni locali più virtuose

Secondo Bankitalia, a giugno il debito delle amministrazioni centrali è cresciuto di 19,7 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali è sceso di 1,7 miliardi. Stabile quello degli enti di previdenza.

La quota di debito detenuta dalla Banca d’Italia è calata al 19,6%, mentre quella in mano ai non residenti è salita al 33,2%. L’aumento complessivo di giugno deriva per 16,4 miliardi dal fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e per 800 milioni dalle variazioni di cambio e dai titoli indicizzati all’inflazione.

Osvaldo Napoli di Azione commenta: “I Comuni si confermano un modello di gestione virtuosa”.

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Economia

Desertificazione commerciale in Italia: 140mila negozi chiusi in dodici anni, l’allarme di Confcommercio

In dodici anni l’Italia ha perso 140mila negozi. Confcommercio lancia l’allarme: città sempre più svuotate, boom di B&B e ristorazione, rischio di altre 114mila chiusure entro il 2035.

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Il contrario di città, spiegava Renzo Piano (foto Imagoeconomica), «non è campagna, è deserto». È l’immagine che oggi descrive molti centri urbani italiani: periferie spogliate di negozi, botteghe e servizi, sostituite solo in parte da fast food, mini-market, ristoranti e bed and breakfast. Città sempre più simili a luoghi fantasma o a grandi contenitori di case vacanza.

Il crollo del commercio tradizionale

Secondo Confcommercio, negli ultimi dodici anni ha chiuso il 21% dei negozi fisici. Dal 2012 mancano all’appello 140mila attività: 118mila negozi e 23mila imprese ambulanti o artigiane migrate online. Senza interventi urgenti, un negozio su cinque rischia la chiusura, con un saldo negativo previsto del 20% nei prossimi dieci anni.

I cambiamenti nelle abitudini dei consumi

Il boom degli acquisti online — da Amazon a Temu fino a Shein — e il poco sostegno a borghi e periferie hanno modificato la struttura urbana. Cresce la ristorazione (+17,1%) e crollano i bar (-19,1%). Calano anche gli alberghi (-9,5%), mentre bed and breakfast e case vacanza esplodono con un +92,1%, destinato ad aumentare dell’81,9% entro il 2035. Le attività che lavorano prevalentemente via internet sono cresciute del 115%.

I settori più colpiti

Crollano i distributori di carburante (-42,2%), gli articoli culturali e ricreativi (-34,5%), mobili e ferramenta (-26,7%), abbigliamento e calzature (-25%). Anche il commercio non specializzato (supermercati, discount, grandi magazzini) arretra del 34,2%. Crescono invece farmacie (+16,9%) e negozi di informatica e telefonia (+4,9%).

Le città più a rischio

I capoluoghi con la più bassa densità commerciale — e con i cali potenzialmente peggiori entro dieci anni, fino al 38% — si concentrano soprattutto al Nord: Ancona, Ravenna, Trieste, Novara, Reggio Emilia. Nel Centro la situazione più critica è Fiumicino. Tra le città con maggiore densità commerciale figurano Frosinone, Trapani, Cosenza, Nuoro e Cagliari, tutte però esposte a possibili crolli oltre il 25%.

Il rischio 2035

Confcommercio stima che entro il 2035 potrebbero sparire altre 114mila imprese, oltre un quinto di quelle attive oggi. Una perdita che avrebbe «gravi conseguenze per economia urbana, qualità della vita e coesione sociale».

Le proposte per fermare il declino

L’associazione del commercio chiede una strategia nazionale di rigenerazione urbana coordinata con fondi europei, Pnrr e risorse di Comuni e Regioni. Tra le ricette indicate: potenziare i Distretti urbani dello sviluppo economico, siglare patti tra Stato e aziende per rivitalizzare i quartieri, rendere più accessibili gli spazi commerciali sfitti. Sono oltre 105mila i locali utilizzabili ma vuoti, un quarto dei quali inutilizzati da oltre un anno. Per rimetterli in circolo Confcommercio propone canoni calmierati e incentivi pubblici e privati.

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Economia

Debito pubblico, boom dei “Bot People”: famiglie italiane tornano a investire mentre il credito rallenta

Crescono i “Bot People” e gli acquisti di Btp da parte delle famiglie, segnale di fiducia nel debito italiano. Rallenta invece il credito a famiglie e imprese: prestiti fermi a +1,5% a ottobre.

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Raddoppiano i “Bot People”, le famiglie italiane che tornano a investire con decisione nei titoli di Stato. Un fenomeno che segna un’importante manifestazione di fiducia nella solidità del debito pubblico nazionale, rafforzata dalle recenti promozioni dei rating e dai rendimenti ancora competitivi.

Secondo i dati aggiornati, famiglie e imprese detengono oggi 442,4 miliardi di euro di debito pubblico, pari al 14,4% del totale, il doppio rispetto al minimo storico del 2021. Un cambio di rotta significativo.

Credito a rilento: prestiti in crescita, ma più deboli

Sul fronte del credito, i segnali sono invece contrastanti.
L’Abi nel suo rapporto mensile certifica che:

  • la crescita complessiva dei prestiti a ottobre si ferma a +1,5%,

  • in rallentamento rispetto al +1,7% di settembre,

  • nonostante il decimo mese consecutivo di crescita per le famiglie e il quarto per le imprese.

L’ostacolo principale resta la domanda debole, soprattutto da parte delle imprese reduci da due anni difficili per la produzione industriale e frenate dall’incertezza internazionale, dai dazi e da una crescita economica che nel secondo trimestre è stata negativa e nel terzo è rimasta ferma.

Effetto Bce: tassi giù ma domanda ancora tiepida

Il taglio dei tassi avviato dalla Bce nell’estate del 2024 ha ridotto il costo del denaro:

  • i tassi bancari sono scesi al 3,95% dal picco del 4,71% del 2023.

Non basta però a riportare la crescita del credito ai livelli pre-crisi energetica, quando i prestiti aumentavano tra il 2% e il 3% annuo.
La domanda resta “complessivamente debole”, rileva la stessa Bce.

Per capire la direzione dei prossimi mesi — spiega l’Abi — serviranno i dati di novembre e fine anno.

Btp sempre più attrattivi: famiglie, banche ed esteri comprano

Mentre il credito rallenta, la domanda di Btp continua a correre.
Complici:

  • stabilità politica,

  • rendimenti elevati,

  • politiche di bilancio prudenti,

  • strumenti su misura per i piccoli risparmiatori (Btp Italia, Btp Valore, Btp Più).

Il portafoglio delle banche italiane mantiene una quota stabile di circa 620 miliardi di euro in titoli di Stato.

In parallelo cresce anche la presenza degli investitori esteri, arrivati al 33,8% del totale, contro il 26,8% del 2022. Una dinamica che aiuta a compensare il calo delle detenzioni della Bce e di Bankitalia, scese da 721 a 592 miliardi.

Fiducia crescente e ruolo centrale delle banche

Per Lando Sileoni, segretario generale Fabi:

“Le famiglie non mettono i loro risparmi nei Btp se non percepiscono stabilità e una prospettiva credibile”.

E sottolinea il ruolo del settore bancario come pilastro della stabilità finanziaria italiana, grazie a una presenza strutturale nel debito pubblico.

Mentre la crescita economica resta incerta, è proprio la risposta dei risparmiatori — i nuovi “Bot People” — a mostrare il volto più stabile e fiducioso dell’Italia.

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Economia

Scioperi nei trasporti, i sindacati contro l’emendamento FdI: “Misura pericolosa e incostituzionale”

Filt Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti contestano l’emendamento FdI che impone preavviso scritto di 7 giorni per aderire a uno sciopero: “Snatura un diritto costituzionale”.

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Filt Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti contestano con fermezza l’emendamento alla Manovra proposto da Fratelli d’Italia che introdurrebbe l’obbligo per i lavoratori dei trasporti di dichiarare per iscritto, con sette giorni di anticipo e in modo irrevocabile, la propria adesione a uno sciopero.

“Limita un diritto costituzionale”

Secondo le tre sigle, la misura “snatura il diritto stesso di sciopero garantito dalla Costituzione”, aprendo la strada alla creazione di liste di scioperanti e a possibili pressioni o discriminazioni nei confronti dei lavoratori.

I sindacati ricordano che la normativa vigente, dalla legge 146/90 alle regole di settore, garantisce già pienamente i servizi minimi e il diritto alla mobilità dei cittadini. Per questo definiscono il nuovo obbligo “inutile e pericoloso”.

Pronti alla mobilitazione

Filt Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti chiedono il ritiro immediato dell’emendamento e annunciano che, se necessario, verranno messe in campo tutte le iniziative a tutela dei lavoratori dei trasporti e del loro diritto di sciopero.

Le vere criticità del settore

Le sigle individuano altrove le cause del disagio nel trasporto pubblico: infrastrutture insufficienti, carenza di personale, mancato rispetto dei contratti collettivi, ritardi nei pagamenti e inefficienze aziendali considerate “croniche”.

A tutto questo si aggiunge l’escalation di aggressioni a operatori e utenti, spesso alla base della proclamazione di scioperi.

“La strada non è comprimere i diritti”

Per i sindacati, comprimere ulteriormente un diritto costituzionale già fortemente limitato non migliorerà la mobilità italiana. Servono investimenti, organizzazione e un confronto reale sulle condizioni di lavoro, non una stretta sulle libertà fondamentali dei lavoratori.

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