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De Luca a coalizione, se sentenza non tocca legge mi candido

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Vincenzo De Luca aspetta la sentenza della Corte Costituzionale: se questa non inciderà sulla legge della Campania si candiderà, altrimenti “si costruirà un futuro”. E’ questo – secondo quanto si apprende da alcuni dei consiglieri presenti – il senso del discorso che il presidente della Regione Campania ha fatto nella riunione con i leader della sua maggioranza in consiglio regionale, che si è svolta a porte chiuse e si è conclusa poco fa nella sede della Regione in via Santa Lucia. La Corte Costituzionale si esprimerà probabilmente nei mesi di aprile o maggio sul ricorso fatto dal Governo Meloni nei confronti della legge regionale che la Campania ha approvato, adottando il limite di due mandati consecutivi del governatore, ma che parte da ora, aprendo quindi a De Luca la possibilità di candidarsi per la terza volta consecutiva.

Una scelta che la coalizione nazionale del centrosinistra, da Pd a M5s a Sinistra Italia non appoggia, affermando che verrà presentato un diverso candidato in Campania. Nel corso della riunione di oggi non ci sono stati interventi sul tema specifico da parte dei consiglieri regionali e dopo la presa di posizione di De Luca sono stati affrontati alcuni dei progetti in corso da parte della Regione e di iniziative che devono partire. Il Pd nazionale intende imprimere una accelerazione nella scelta del candidato e del programma elettorale. Nei giorni scorsi la segretaria Elly Schlein ha ribadito che il partito non avrebbe appoggiato De Luca in caso di sua candidatura, mentre Marta Bonafoni, coordinatrice nazionale della segreteria del Partito Democratico, ha spiegato che “abbiamo capito cosa vorremmo fare insieme a De Luca, portare la Campania al dopo De Luca presidente, ma insieme al De Luca campano, politico esperto, popolarissimo”.

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Israele accusa l’Iran: denaro contrabbandato per Hezbollah attraverso l’aeroporto di Beirut

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L’esercito israeliano (Idf) ha accusato la Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc) di aver fatto arrivare denaro contante clandestinamente al gruppo terroristico Hezbollah in Libano attraverso voli civili diretti all’aeroporto internazionale di Beirut. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, il denaro servirebbe per il finanziamento e la ricostruzione delle capacità operative di Hezbollah.

Un’infrastruttura civile a rischio obiettivo militare

L’accusa solleva serie preoccupazioni sulla sicurezza dell’aeroporto di Beirut, che potrebbe trasformarsi in un obiettivo militare per Israele. Se l’infrastruttura civile fosse utilizzata per scopi militari e logistici da parte dell’Iran e di Hezbollah, ciò potrebbe giustificare azioni di rappresaglia da parte dell’Idf. Questa ipotesi potrebbe aggravare ulteriormente le tensioni tra Israele e il Libano, aumentando il rischio di un conflitto diretto tra le parti.

Il ruolo della Forza Quds e le tensioni in Medio Oriente

La Forza Quds, unità d’élite delle Guardie della Rivoluzione Islamica, è specializzata in operazioni all’estero e fornisce supporto logistico e finanziario a diversi gruppi armati nella regione, tra cui Hezbollah. La sua presenza in Libano e il continuo sostegno al gruppo sciita sono visti da Israele come una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale.

L’Idf ha sottolineato che continuerà a monitorare e contrastare qualsiasi tentativo di rafforzamento di Hezbollah, considerato da Israele una minaccia esistenziale lungo il confine settentrionale.

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Ministero Giustizia, archiviare accuse corruzione sindaco Ny

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Un alto dirigente del dipartimento di giustizia, Emil Bove, ha ordinato all’ufficio del procuratore per il distretto meridionale di New York di chiedere l’archiviazione delle accuse di corruzione contro il sindaco di New York Eric Adams. Lo riferiscono i media Usa. Se un giudice dovesse approvare la richiesta per tutti e cinque i capi d’imputazione, il sindaco potrebbe condurre la campagna per la rielezione senza il rischio di un processo o di una condanna. La mossa solleva interrogativi sulla gestione della giustizia sotto Trump e mette in dubbio l’indipendenza dei procuratori federali.

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Superbowl appartiene agli Eagles, Trump lascia lo stadio

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“Il successo unisce il Paese”, proclama Donald Trump, ma dove sta di casa il successo? Con il presidente in tribuna a fare il tifo per i Chiefs (Patrick Mahomes “grande quarterback”, la moglie che “tifa per i Maga”), il Commander in Chief ha lasciato prima della fine la partita in cui gli Eagles di Filadelfia hanno demolito la squadra di Kansas City 40 a 22 mandando in fumo il sogno di Mahomes del suo quarto trofeo e il terzo consecutivo: qualcosa di mai successo nella storia e men che meno per un campione di meno di 30 anni. Trump, al suo fianco Mike Johnson, lo speaker della Camera, il Whip del Senato John Barraso, la figlia Ivanka, la nuora Lara e il figlio Eric, aveva cercato di capitalizzare sul pronostico che dava i Chiefs sicuri vincitori e una narrativa che avrebbe visto un quarterback afro-americano trionfare su un altro della stessa razza, quasi che lui fosse l’imperatore di fronte ai gladiatori del circo.

Ha trionfato invece Jalen Hurts degli Eagles, una squadra che nel 2018 si era disinvitata dalla Casa Bianca tra le polemiche dei suoi giocatori pronti a inginocchiarsi all’inno nazionale per le polemiche sul Black Lives Matter. Per gli Eagles tifava oggi l’ex First Lady Jill Biden che aveva accompagnato il nipote Hunter in una New Orleans blindata dopo l’attentato di Capodanno a Bourbon Street e, come se non bastasse, per la presenza del successore del marito. Tante le celebrità sugli spalti: Tim Cook di Apple e Rupert Murdoch, la cui Fox che quest’anno aveva avuto la diretta della partita, Jay-Z con le figlie Blue Ivy e Rumi e ovviamente Taylor Swift, la “First Girlfriend” fidanzata con il tight end dei Chiefs, Travis Kelce che il prossimo anno a questo punto potrebbe lasciare lo sport. Fischiata dal pubblico che decisamente preferiva gli Eagles, Taylor è rimasta visibilmente spiazzata.

In viaggio verso New Orleans Trump ha sparato un ventaglio di annunci: dal 9 febbraio, giornata nazionale del nuovo Golfo d’America, a una nuova raffica di dazi sull’acciaio e l’alluminio, un rilancio del Canada 51esimo stato Usa e l’addio alla produzione dei penny, la monetina da un centesimo. L’half time ha visto in scena il premio Pulitzer e Grammy Kendrick Lamar che, affiancato da Sze e Serena Williams (la tennista che come lui viene da Compton in California), ha usato il Super Bowl per un nuovo attacco a Drake con il diss Not Like Us il controverso track che accusa il rivale di pedofilia.

Lamar non ha usato i versi del brano più espliciti ma non si è tirato indietro da quello che, in un gioco di parole, allude al fatto che al rapper canadese piacerebbero le minorenni: “A Minor”, l’equivalente del La minore nel pentagramma anglosassone. Nell’half time un personaggio vestito da Zio Sam vestito nei colori della bandiera a stelle e strisce ha invitato Lamar, il primo rapper premio Pulitzer, a controllare il suo show: “Troppo ghetto”. Ma e’ stato all’insegna della diversita’ tutto il pre-game con l’interpretazione jazz di Star Spangled Banner del premio Oscar e Grammy Jon Batiste e l’inno ‘black’ Lift Every Voice and Sing della premio Grammi Ledise, piu’ una serie di numeri musicali in omaggio alla tradizione musicale di New Orleans tra cui una brass band composta da sole donne.

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