Collegati con noi

Cronache

Dalle bombe contro Ranucci ai martiri del giornalismo: la lunga scia di minacce ai cronisti italiani

L’attentato a Sigfrido Ranucci riaccende la memoria di una lunga catena di intimidazioni e violenze contro i giornalisti italiani, da Siani a Saviano, da Costanzo a Impastato, simboli di libertà e coraggio civile.

Pubblicato

del

L’attentato contro Sigfrido Ranucci viene già considerato uno dei più gravi atti di intimidazione ai giornalisti italianidegli ultimi decenni.
Il procuratore di Roma Francesco Lo Voi ha parlato di “tempi bui che non devono tornare”, sottolineando il rischio di un clima di paura che mina la libertà d’informazione.
Il gesto ricorda episodi drammatici della storia del giornalismo italiano, segnato da una lunga serie di violenze, minacce e attentati contro chi indaga sui poteri criminali e sulla corruzione.

Dai tempi di Saviano e Capacchione alle nuove intimidazioni

Un’azione così grave non si vedeva forse dai giorni in cui furono minacciati i giornalisti anti-camorra Rosaria Capacchione e Roberto Saviano.
Solo pochi mesi fa, il 14 luglio, un’aula di tribunale ha messo fine a sedici anni di minacce partite nel 2008 da Francesco Bidognetti, boss dei Casalesi, e dal suo legale Michele Santonastaso.
Le intimidazioni scattarono durante il processo d’appello “Spartacus” a Napoli e portarono all’innalzamento della scorta per Saviano, simbolo della resistenza civile contro la camorra.

Il tentato attentato a Maurizio Costanzo

Andando più indietro nel tempo, la memoria torna al 14 maggio 1993, quando Cosa Nostra tentò di uccidere Maurizio Costanzo a Roma.
Una Fiat Uno imbottita di 100 chili di tritolo esplose in via Fauro, subito dopo la registrazione del Maurizio Costanzo Show.
Costanzo e Maria De Filippi si salvarono per pochi secondi. Dopo quell’attentato, il giornalista decise di non occuparsi più di mafia, segnando una ferita profonda nella storia della televisione italiana.

L’assassinio di Giancarlo Siani e il sacrificio dei cronisti uccisi

Diversa, tragicamente, la sorte di Giancarlo Siani, giovane giornalista de Il Mattino ucciso nel 1985 dalla camorra a Napoli per le sue inchieste sui clan.
L’assassinio dei giornalisti è un assassinio delle nostre libertà”, ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel 40° anniversario della sua morte.
In quella giornata di memoria si sono evocati i nomi di tanti colleghi caduti per la verità: Mauro De Mauro, Carlo Casalegno, Walter Tobagi, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno.
Tutti uccisi da Cosa Nostra, Brigate Rosse o gruppi criminali per il solo fatto di raccontare ciò che altri volevano nascondere.

Impastato, la voce che sfidò la mafia

Nella storia del giornalismo italiano resta indelebile anche il nome di Peppino Impastato, militante di Democrazia Proletaria e fondatore di Radio Aut, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 a Cinisi.
Solo anni dopo, la sua storia è diventata simbolo grazie al film I cento passi, che ha fatto conoscere a una nuova generazione il coraggio di chi non si piegò al silenzio.

L’eredità di chi non si è arreso

Dall’attentato a Ranucci ai martiri del passato, emerge un filo rosso che lega tutte queste vicende: la libertà di stampa come presidio di democrazia.
Le parole di Mattarella risuonano ancora oggi: ogni volta che viene colpito un giornalista, viene ferita la libertà di tutti.
E il Paese che ha dato al mondo figure come Siani, Saviano e Impastato non può permettersi di dimenticarlo.

Advertisement

Cronache

Bambina di due anni muore dopo le dimissioni dall’ospedale: inchiesta della Procura di Belluno

Una bambina di due anni è morta poche ore dopo essere stata dimessa dall’ospedale di Feltre. La Procura di Belluno apre un’inchiesta e dispone l’autopsia. Indagine interna dell’Ulss 1 Dolomiti e esposto dei genitori.

Pubblicato

del

Profondo dolore a Borgo Valbelluna per la morte di una bambina di due anni, deceduta sabato mattina poche ore dopo essere stata dimessa dall’ospedale Santa Maria del Prato di Feltre, dove era stata portata la notte precedente per problemi respiratori.

Inchiesta della Procura e autopsia disposta sul corpo della piccola

La Procura di Belluno ha aperto un’inchiesta, al momento senza indagati, e ha disposto l’autopsia per chiarire le cause del decesso. L’esame sarà eseguito nei prossimi giorni dal medico legale Antonello Cirnelli di Portogruaro. In parallelo l’Ulss 1 Dolomiti ha avviato un’indagine interna. Ogni accertamento si svolge nel pieno rispetto della presunzione di innocenza.

I primi sintomi e i giorni precedenti il ricovero

Secondo l’esposto presentato dai genitori, i primi segnali risalgono a mercoledì, quando la bambina, mentre era alla scuola dell’infanzia, ha manifestato una febbre elevata a 39°. Dopo il rientro a casa, la madre le ha somministrato paracetamolo e la piccola sembrava aver reagito bene.
Giovedì mattina stava meglio, ma nel pomeriggio sono comparsi dolori alla fronte e agli occhi. La pediatra aveva consigliato un aumento del paracetamolo. La febbre, però, è rimasta alta per tutta la notte fra giovedì e venerdì.

La visita della pediatra e la diagnosi di virus influenzale

Venerdì la pediatra di base ha effettuato una visita, parlando di un virus influenzale accompagnato da un leggero arrossamento della gola. Nonostante ciò, la bambina appariva spossata, priva di vivacità e preferiva restare in braccio ai genitori.

La corsa al Pronto soccorso e le dimissioni

Alle 2:30 di sabato il quadro è peggiorato: respiro affannoso e un insolito strabismo hanno spinto il padre a portarla al Pronto soccorso di Feltre. Alla bambina è stato attribuito un “codice bianco” e somministrati un aerosol e un antibiotico.
Secondo la ricostruzione della famiglia, meno di un’ora dopo l’arrivo la piccola è stata dimessa con prescrizione di proseguire la terapia a domicilio.

Il malore improvviso e il decesso

Una volta rientrata a casa, la bambina avrebbe continuato a mostrare affanno respiratorio, strabismo e una crescente debolezza. Sabato mattina, attorno alle 9:00, si è verificato il malore fatale. I soccorsi del 118 hanno tentato di rianimarla, ma senza esito.

L’esposto dei genitori e le verifiche in corso

I genitori hanno presentato un esposto chiedendo di accertare se la situazione clinica fosse più grave di quanto valutato e di sequestrare la cartella clinica. Le verifiche della Procura e dell’Ulss mirano a ricostruire con precisione ogni passaggio, nel pieno rispetto delle procedure e della presunzione di innocenza per tutto il personale coinvolto.

Continua a leggere

Cronache

Arrestati a Casablanca due latitanti italiani legati al filone apriliano dell’indagine “Assedio”

Arrestati a Casablanca i latitanti Patrizio Forniti e Monica Montenero, ricercati dal 2024 nell’indagine “Assedio”. Avviate le procedure di estradizione dalla Dda di Roma.

Pubblicato

del

Sono stati arrestati a Casablanca, dalla Gendarmeria reale del Marocco, due latitanti italiani ricercati dal 3 luglio 2024 nell’ambito del filone apriliano dell’indagine “Assedio”, condotta dal Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Roma con il supporto dell’Arma territoriale. L’operazione aveva già portato all’arresto di 25 persone e allo scioglimento del Comune di Aprilia.

Il profilo dei ricercati

Il 14 novembre sono stati individuati e fermati Patrizio Forniti e Monica Montenero. Forniti era inserito nell’elenco dei “Latitanti pericolosi” ed è ritenuto dagli inquirenti il capo dell’organizzazione mafiosa che porta il suo nome. La coppia è stata trovata in possesso di passaporti svizzeri falsi.

Le procedure di estradizione

La Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ha già avviato le procedure per ottenere l’estradizione dei due arrestati. L’operazione è stata resa possibile grazie al Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale della Polizia Criminale nell’ambito del progetto I-CAN e con il supporto dell’Esperto per la sicurezza dell’Ambasciata d’Italia a Rabat, in coordinamento con la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga.

Continua a leggere

Cronache

Condono edilizio 2003, perché in Campania la sanatoria non è mai partita: numeri, ritardi e nuove tensioni politiche

In Campania il condono edilizio del 2003 non è mai stato applicato per intero. Tra conflitti istituzionali, sentenze della Consulta e migliaia di pratiche inevase, il tema torna ora nella campagna elettorale.

Pubblicato

del

La questione del condono edilizio del 2003 torna al centro del dibattito politico in Campania, complice la campagna elettorale e un emendamento del centrodestra alla legge di bilancio che propone la riapertura dei termini.

Per capire le tensioni attuali bisogna risalire alla legge nazionale varata dal governo Berlusconi, che avrebbe dovuto regolarizzare gli abusi realizzati entro il 31 marzo 2003. In Campania, però, la norma non fu recepita nei tempi previsti: la Regione approvò nel 2004 una disciplina autonoma, poi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale.

Le tre sanatorie e una montagna di pratiche inevase

La mancata applicazione del 2003 si sovrappose ai ritardi accumulati nei condoni del 1985 e del 1994. Migliaia di cittadini pagarono l’oblazione senza ricevere risposta, mentre verande, ampliamenti e manufatti minori restavano sospesi tra atti non definiti e ordinanze di demolizione.
Dopo il 2003, in 84 comuni campani si registrarono circa 20mila richieste, con oltre 8.700 solo a Napoli. Nell’area vesuviana si stima che siano rimaste senza esito almeno 50mila istanze riferite ai condoni precedenti.
Parallelamente, nel perimetro del Parco del Vesuvio sono state emesse circa 2.500 ordinanze di demolizione in trent’anni.

Il nodo delle zone vincolate

Il condono del 2003 escludeva le aree sottoposte a vincolo paesaggistico, idrogeologico o ambientale: le cosiddette “zone rosse”. In molti territori della provincia di Napoli, come l’area vesuviana, questi vincoli coprono porzioni significative del territorio.
Senza il recepimento regionale, la sanatoria è rimasta bloccata, generando un cortocircuito tra cittadini, Comuni e uffici tecnici.

Tentativi legislativi falliti

Negli anni si sono succeduti diversi tentativi parlamentari di introdurre criteri uniformi per demolizioni e regolarizzazioni. Un disegno di legge del 2014, che distingueva tra abusi speculativi e abitazioni “di necessità”, fu approvato dal Senato ma modificato radicalmente dalla Camera, fino a scomparire dal calendario parlamentare.
La Regione Campania tentò poi di trasformare gli immobili abusivi in patrimonio pubblico da destinare in affitto agli occupanti, ma la legge fu impugnata dal governo e la Consulta nel 2018 la dichiarò incostituzionale, ribadendo che lo Stato ha competenza esclusiva sul condono e che la demolizione resta la sanzione ordinaria.

Un tema che torna con la campagna elettorale

Oggi, in piena campagna elettorale, la proposta di riapertura dei termini del condono del 2003 riaccende lo scontro tra chi invoca certezza giuridica per migliaia di famiglie e chi teme un indebolimento della tutela del territorio.
La Campania è l’unica regione a non aver beneficiato del condono del 2003, ma il problema reale è strutturale: una massa enorme di pratiche inevase, un contenzioso sedimentato e un rapporto irrisolto con le demolizioni.

Tra legalità e attese sociali

Il dibattito si concentra sul difficile equilibrio tra la necessità di contrastare l’abusivismo e quella di fornire risposte a situazioni abitative pendenti da decenni.
La cronistoria mostra un ritardo accumulato in oltre vent’anni, dove conflitti istituzionali, norme disattese e decisioni politiche mancate hanno prodotto ciò che oggi molti definiscono “la perenne emergenza edilizia” della Campania.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto